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Diari Toscani

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La Fossa dei leoni: il luogo in cui i carraresi si sono innamorati del calcio

DiVinicia Tesconi

Giu 7, 2022

Il nome, la Fossa dei leoni, che risuona di mito e di imprese epiche, venne coniato nella stagione ’46-’47 da un giornalista sportivo che era venuto a Carrara per seguire una partita del campionato di calcio di serie B, ed era rimasto impressionato dallo spettacolo di quel campo, in cui giocava la Carrarese, praticamente infilato in un buco, le cui pareti erano ripide mura umane di tifosi. Scendere in campo in quell’imbuto di folla animosa e vociante sembrò al giornalista, come il ripetersi dell’antico rito dei gladiatori che scendevano nelle fosse in cui venivano liberati i leoni e nel suo articolo definì il campo della Carrarese, “una fossa dei leoni”, non sapendo che la sua metafora sarebbe diventata il nome di quel luogo, da quel momento per sempre. La Fossa dei leoni, aveva avuto svariati nomi ufficiali ed era già, da tempo entrata nel cuore dei tifosi e degli appassionati di calcio carraresi, anche perché la sua creazione, fortemente voluta e mantenuta, all’inizio, a prezzo di grandi sacrifici, era stata la ragione che aveva permesso a quel nuovo appassionante sport che era il “football”, di restare a Carrara. Il calcio era arrivato in città sulla lunga onda sportiva portata dalla Pro Patria, la prima società sportiva carrarese, che aveva i suoi fiori all’occhiello nella ginnastica e nella scherma. Alla fine della prima decade del ‘900, un po’ per imitazione delle prime squadre calcistiche che si erano create nelle città vicine, un po’ per l’interesse suscitato da questo nuovo sport importato dall’Inghilterra, che aveva già un campionato nazionale, anche a Carrara venne creata una squadra giovanile di calcio, voluta dai vertici direttivi della Pro Patria. La primissima squadra Carrarese, tuttavia, non venne iscritta ad alcun campionato e venne impiegata solo per delle partite collaterali alle gare di ginnastica. Da subito, comunque, emerse il problema dello spazio in cui poter giocare a calcio. Il cuore della città era ancora fortemente radicato nel centro storico che, per conformazione fisica, non aveva aree abbastanza grandi per le misure di un campo da calcio. Non essendoci, però, la partecipazione a campionati regolari, quella primissima compagine di calciatori – dei quali, peraltro, non è rimasta alcuna memoria – disputò le partite dimostrative in uno spazio agricolo che, all’epoca si trovava nella periferia ad est della città, nella zona in cui scorreva Canal del Rio, un piccolo torrente. Anche di questo primo campo da calcio non è rimasta traccia, ma, di certo, si sa che la sua inadeguatezza fu all’origine dell’idea della Pro Patria di lasciar perdere il football. Il calcio è una passione profonda, difficile da estirpare, una volta innescata, e in qualcuno, a Carrara aveva attecchito, anche nonostante quegli inizi così incerti. A far ripartire la determinazione di avere una squadra di calcio a Carrara, fu proprio la Fossa. Alla vigilia della prima guerra mondiale, a Carrara si stava lavorando alla costruzione del viale XX Settembre, la grande arteria che avrebbe collegato, direttamente, la città al mare. Quando i lavori giunsero nella zona chiamata La Fabbrica, appena fuori dal centro cittadino, la nuova strada si trovò ad incrociare il corso del fiume Carrione, che scorreva molto più in basso rispetto al livello della carreggiata e, per poter mantenere il piano del viale uniforme, si decise di creare un grosso terrapieno a sostegno dell’asse stradale delimitato da un’imponente massicciata sul lato sinistro del fiume. Con la realizzazione di quest’opera, venne a crearsi un ampio spiazzo poco sopra il livello del fiume, fatto di ghiaia, sassi e terriccio portati dal Carrione, che, tuttavia, era perfettamente pianeggiante, anche se in mezzo aveva due pali della luce e, praticamente, non aveva erba. Fu sufficiente perché dei ragazzini cominciassero a ritrovarsi lì con un pallone e riprendessero a giocare delle partite. La fiammella che non si era mai spenta, divampò: alla Fossa che all’inizio veniva chiamata “campo del viale”, si giocava, in maniera anche fortunosa. Per delimitare il campo si usavano le corde con cui i lizzatori tenevano i blocchi da far scendere dalla montagna, sui tre pali delle porte venivano messe reti di pescatori andate a prendere ogni volta al porto e poi c’erano le craniate, inevitabili, che, ogni tanto, qualcuno dava contro quei due pali della luce. Ma si giocava lo stesso. Tanto che, subito dopo la prima guerra mondiale, con la nascita effettiva dell’Unione Sportiva Carrarese e con la donazione del terreno della Fossa alla società, da parte di Petro Ceci, direttore della Ferrovia Marmifera e proprietario del campo, la Fossa venne dotata di un edificio per gli spogliatori, un’aerea in cui i calciatori potevano riscaldarsi prima della partita, di una tribuna, prima in legno e poi in cemento e, sul lato che fiancheggiava il viale, di quei sei ripidissimi spalti a gradoni che le diedero l’aspetto di un antico anfiteatro. Negli anni venti la Carrarese cominciò la sua epica storia sportiva e il suo campo di gioco prese alternativamente varie intitolazioni. Nel 1921 venne dedicato a Alfredo Mungai, il figlio di uno dei più appassionati dirigenti della società, pisano d’origine e carrarese d’adozione. Già nel 1924 il campo cambiò nome e venne indicato come Campo del viale – eredi Ceci, per ricordare chi lo aveva donato alla squadra. Nel ’31, altra intitolazione: a Pietro Binelli, giocatore della Carrarese scomparso in giovane età. I carraresi, noti per la loro spigolosa e disincantata ironia, tuttavia, in tutto quel tempo lo avevano chiamato “Il buco” e il riferimento è fin troppo comprensibile. Sin da quando la Carrarese cominciò il suo percorso sportivo, era stata presa in considerazione la necessità di costruire uno stadio veramente adeguato, perché il buco, aveva, oggettivamente, un’infinità di difetti e di problemi. Lo spazio per effettuare le rimesse e anche quello dietro alle porte era troppo limitato. L’invadenza dei tifosi era talmente dirompente che, i calciatori si trovavano a giocare quasi a contatto con il pubblico. E il pubblico era fatto davvero da leoni. La Carrarese dell’immediato secondo dopoguerra, ammessa in serie B per merito sportivo, per aver concluso l’ultimo campionato, durante la guerra, giocando eroicamente ogni partita anche in ranghi molto ridotti a causa della chiamata alle armi di tanti giocatori, fu una squadra mitica, che incendiò i cuori carraresi, che con la passione per il calcio riuscivano ad allontanare i troppi fantasmi del passato recente. La Fossa cominciò ad esplodere di gente ad ogni partita casalinga, consolidando la sua fama nei campionati successivi, anche quando, dopo due annate, la squadra tornò a militare in serie C. E se sul terreno di gioco andavano in scena grandi battaglie sportive con indimenticati talenti del calcio, su quegli spalti a precipizio, il tifo diventava il dodicesimo e, a volte, anche il tredicesimo uomo in campo. Alla Fossa non vinceva nessuno. Soprattutto perché quel corpo unico e aggettante formato dai tifosi incuteva vera paura agli avversari e agli arbitri, che raramente riuscivano a fischiare contro alla squadra di casa. Così, nelle imprese leggendarie della Fossa, si ricordano gol entrati in porta, respinti dai tifosi e annullati da arbitri intimoriti da orde di tifosi urlanti; assedi fino a notte fonda fuori dagli spogliatoi dei pochissimi arbitri che avevano osato sfidare la Fossa e assegnare un rigore contro la Carrarese; tifosi arrampicati sugli altissimi muri che delimitavano il campo e perfino sul tetto degli spogliatoi. La Fossa era il loro territorio, una roccaforte invincibile, il palcoscenico di ogni riscatto. Per questo, quando finalmente venne inaugurato il primo vero stadio da calcio della città, a fine gennaio 1955, i tifosi lasciarono con grande rimpianto la Fossa dei leoni: il campo era perfetto, gli spalti comodi e sicuri, tra tifosi e giocatori c’era il corretto distanziamento, ma la magia della Fossa non c’era più. Il suo ricordo, tuttavia, così vivido e forte, è riuscito a restare vivo, passando di generazione in generazioni di tifosi, fino ad arrivare intatto ad oggi, con l’indomito zoccolo duro degli ultras giallo-azzurri che continuano a seguire con incredibile, antica, passione la loro squadra.

Fonte: “Cuore azzurro” di Maurizio Beccherucci, Massimo Braglia e Gualtiero Magnani (editrice SEA).

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