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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

“Il re silenzioso” di Gianni Ammavuta (prima parte)

DiDiari Toscani

Giu 12, 2022

Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse interrogarmi. Se ne stava immobile, lambito da una lama di luce e mi fissava con i due piccoli occhi neri che non parlavano di niente, come due biglie riempite d’inchiostro. C’era veramente qualcosa di pazzesco nella mia attuale situazione, però mi resi subito conto che non era tanto dovuto al fatto – già di per sé piuttosto curioso, effettivamente – che un enorme serpente si trovasse nei pressi della panchina su cui mi ero appisolato; né al fatto che il giardino sembrasse deserto o innaturalmente silenzioso. No, non era tanto questo. L’aspetto straordinario risiedeva nel trovarsi ad osservare quell’essere, ad incrociare il suo sguardo, così da vicino da coglierne l’essenza. Compresi che quel baratro, quella vacuità nei suoi occhi costituivano la sua vera natura e che io, studentello universitario al secondo anno di legge, appisolatomi nel tepore primaverile, riverso di fianco su una panchina, con due tomi di diritto pubblico e un maglioncino di lana leggera a farmi da cuscino, ero a venti centimetri da una forma di vita puramente chimica, priva di luce, un complesso congegno biologico che vive senza saperne il motivo, senza porsi alcuna domanda: realizzare l’abisso che ci separava era talmente disorientante da soppiantare la paura. Almeno per qualche secondo. Perché subito dopo, un terrore puro, inesplorato, fece irruzione nella mia mente, militarizzandone le sinapsi, inibendo il pensiero logico-razionale e la capacità di agire di conseguenza. Fui sopraffatto dall’istinto di fuggire, naturalmente, ma per mia fortuna ciò non accadde. Non fu per mia scelta, ma solo perché all’improvviso, dal nulla, come uscito da un varco dimensionale, ecco che un dolore totale e lancinante mi investì con la forza di un tir a 120 all’ora. Lo sentii salirmi in gola e cercare nella mia bocca una via d’uscita sotto forma di urlo disperato, ma serrando le labbra lo trattenni per non turbare quell’immobilità che forse mi stava salvando la vita. L’onda d’urto si riversò allora nel setto nasale, uscendone violentemente, con un suono simile allo sfiato di una balena. Non successe niente, il serpente non sembrò aver colto in quel lieve rumore un segnale di pericolo e continuò a fissarmi, immobile. Persi il senso del tempo, ma notai che l’animale era in parte all’ombra. La violenza del passaggio d’aria aveva rotto i capillari del naso e un rivolo di sangue, non seppi quantificare quanto copioso, cominciò a fuoriuscire dal setto di sinistra, quello rivolto verso l’alto. Ne sentii il calore mentre tracciava il suo percorso dal tratto di pelle sopra le labbra, solcando per intero la guancia destra, fino a raggiungere il tessuto del maglioncino, cominciando ad impregnarlo. Mi sorpresi a pensare alla chiazza di sangue rappreso che sarebbe rimasta per sempre sulla copertina del libro e a quale insperata capacità attrattiva avrebbe potuto offrirmi essa, in occasione di alcune specifiche interazioni sociali con rappresentanti del corpo studentesco femminile. La battuta mi provocò un abbozzo di sorriso, che tuttavia venne spazzato via quando una nuova fitta di dolore mi trapassò da parte a parte. Crampi, probabilmente: meno intenso di prima ma pur sempre fortissimo. Fu chiaro che l’impossibilità fisica di muovermi e di non dare seguito all’idea della fuga fosse in quel momento la mia salvezza, ma allo stesso tempo che si sarebbe trasformata presto nella mia condanna a morte e che quella panchina sarebbe diventata il mio patibolo. Lui, intanto, continuava a rimanere perfettamente fermo, mentre la sua figura era quasi completamente fuori dalla luce. Poi, rapidissima, la sua lingua biforcuta uscì e rientrò dalle sue fauci chiuse con un sibilo. Una, due, tre volte. Un comportamento normalissimo per un rettile, ma per noi esseri umani un potente richiamo al pericolo e per me, nello specifico, un’insostenibile iniezione di terrore e adrenalina insieme. Dovevo provare ad alzarmi: certo, il serpente avrebbe attaccato – ed era il morso che forse m’impauriva di più – ma tra il momento in cui il veleno fosse entrato in circolo e quello in cui avesse raggiunto i miei organi vitali, forse avrei potuto uscire da quel giardino assurdamente deserto, fermare qualcuno e farmi portare al più vicino ospedale. Il piano aveva molte zone buie, tipo la possibilità che il veleno di quel serpente fosse uno di quelli così rapidi e potenti da immobilizzarmi dopo pochi metri ed uccidermi subito dopo, ma non sembrava rimanermi altra scelta: continuavo a sanguinare e il dolore provocato dal mio stato di atrofizzazione muscolare era diventato insopportabile. Fu allora che l’animale si mosse. Respirando affannosamente dal naso, lo osservai voltare la testa verso un punto alla mia sinistra. Mossi le pupille nella stessa direzione per capire cosa avesse attratto la sua attenzione, ma non vidi niente. Lui vi si diresse ugualmente e mentre si muoveva, l’incredibile particolarità del suo essere si manifestò nell’atto stesso di quel movimento. In pochi istanti e con un lieve fruscio, si era srotolato e ora, fluido ed elegante, si stava allontanando dalla panchina. Era chiaro che aveva perso interesse verso di me e che quello era il momento giusto per provare a fuggire. Invece me ne stetti lì disteso ad osservarlo. Mi resi conto che non stavo semplicemente limitandomi a guardarlo: il mio era una sorta di rapimento e stupore, come l’immutevole incanto che ci coglie difronte alla neve che cade o al luccichio del mare al tramonto. Mi sorpresi a nutrire, verso quell’animale, un’ammirazione profonda. Vi era qualcosa di imperioso e solenne nelle sue movenze, qualcosa che aveva innescato in me un sentimento di rispetto e deferenza, le stesse che sono dovute ad un re che si dimostra clemente e ti risparmia la vita: un re silenzioso e alieno, al cui cammino, lì e adesso, mi ero involontariamente, quanto pericolosamente, frapposto, ma agli occhi del quale, per qualche benevola, ancorché misteriosa, ragione, avevo perso interesse.

Illustrazione di Margherita Barbieri, nata a Carrara, ha 19 anni. È appassionata di animazione e di fumetto fin dall’infanzia e a questi due ambiti si ispira quando realizza le sue opere. Spera in futuro di poter lavorare nel settore della concept art e dell’illustrazione.