Quella di Vasco Pratolini è una storia fatta determinazione, coraggio e passione profonda per l’arte, la cultura. Nasce a Firenze nel 1913. Suo padre Ugo è un commesso di un negozio che vende colori e articoli da disegno, sua madre una sarta. Il padre viene richiamato per combattere nella Prima guerra mondiale, viene ferito nel 1917. La madre muore nel 1918, a causa della Pandemia della spagnola, Vasco è costretto a crescere in fretta. Viene espulso dalle scuole Pie fiorentine e dai dodici anni, fino ai diciotto, è costretto ad interrompere gli studi. Riesce a conservare l’amore per la letteratura, acquista testi che riescono a donargli quella profonda felicità che provano le persone che amano i libri, li annusano, li conservano come oggetti preziosi. Svolge molti lavori, ma continua a leggere molto, si impegna per la propria formazione culturale.
Esistono durante la nostra esistenza, momenti che fanno da spartiacque tra una vita ed un’altra. Nel 1929 Pratolini si trasferisce nell’abitazione del padre, attigua a quella del pittore Ottone Rosai. Grazie a quella conoscenza scopre nuove forme di letteratura. Ha l’occasione di incontrare Aldo Palazzeschi, comprende che la strada da percorrere è quella della scrittura, quella artistica, lastricata di incognite e costellata di sogni. Vasco Pratolini inizia a scrivere i primi racconti. Scrive anche recensioni di film, libri, articoli di carattere politico-sociale. Dopo una parentesi di fermo dovuta ad una tubercolosi che mina il suo fisico, torna a Firenze e conosce Eugenio Montale, si innamora dell’ermetismo. In quel momento capisce che talvolta non servono molte parole, che la sintesi può essere amica per descrivere meglio una situazione.
Nel 1939 arriva in una Roma già ministeriale e prossima all’entrata in guerra. Trova impiego presso la Direzione generale delle belle arti, continua a collaborare con varie testate giornalistiche. Nel 1941 sposa Cecilia Punzo, una giovane attrice napoletana. Forse grazie a sua moglie inizia a pensare a scrivere qualcosa per il cinema, è affascinato dal mondo della celluloide. Pubblica il Tappeto verde e poi Cronache di poveri amanti, la storia di giovani proletari alle prese con le prime esperienze sentimentali e la loro condizione sociale; come sempre le prime opere hanno carattere autobiografico. Si trasferisce a Parma fino al 1943. Torna a Roma dove diventa responsabile politico del Partito Comunista Italiano per il settore Flaminio-Ponte Milvio. Quel ponte che gli raccontava la battaglia tra Costantino I e Massenzio, lo prepara alla resistenza e alla liberazione dal fascismo, di cui è parte attiva.
Nel 1944 nasce sua figlia Aurora. Il suo nome evoca l’ideale collegamento tra Roma e la Toscana, quella via consolare antica e significativa per chi arrivava e partiva dalla capitale. Nello stesso anno inizia la collaborazione con Luchino Visconti e Michelangelo Antonioni; la sua scrittura si presta bene al mondo dell’immaginario cinematografico. Vasco Pratolini ha il carattere irrequieto e creativo dei toscani, lascia il giornalismo e si dedica all’insegnamento nell’Istituto Filippo Palazzi di Napoli. Inizia la stesura di Cronaca familiare, la sua fanciullezza nella Firenze di inizio secolo, tralascia Cronache di poveri amanti che riprende nel 1946.
In Italia chi ha molte qualità diverse viene sempre guardato con sospetto, come se ognuno di noi dovesse saper fare solo una cosa. Vasco Pratolini ha il desiderio di sperimentare, provare nuove strade. Si ritira a Procida dove scrive: Una storia italiana, che diverrà Metello per il cinema. È la storia di Metello Salani, un orfano allevato da contadini, che partecipa ai primi scioperi, a quel movimento socialista tanto caro a Pratolini. La sua scrittura è tagliente, fotografa l’attualità dell’epoca parlando di un passato recente, dipinge i corsi e ricorsi di memoria vichiana. Torna a Roma dove scrive: Le ragazze di San Frediano, il suo cuore toscano, i ricordi della sua adolescenza, che Valerio Zurlini porta al cinema nel 1955. Sempre a proposito di sentimento, scrive: Il mio cuore a Ponte Milvio, la sua personale battaglia contro Massenzio. Se una persona avesse veramente la voglia di migliorarsi ogni giorno, dovrebbe guardare poco al passato, trarne solo il meglio per non essere fagocitato da quei ricordi che ancorano al suolo, non ci permettono di progredire. Pratolini accelera e collabora con Luchino Visconti e Suso Cecchi D’Amico al soggetto di Rocco e i suoi fratelli.
Vasco Pratolini è ormai uno scrittore, uno sceneggiatore affermato. Quel ragazzo che aveva dovuto interrompere gli studi, grazie alla forza di volontà, all’amore per la cultura, l’arte, è un letterato. Se di qualcuno si può dire: si è fatto da solo, è il caso di Pratolini. Muore a Roma, la sua città adottiva nel gennaio del 1941, riposa nel cimitero delle Porte Sante, presso la Basilica di San Miniato. Osserva quella città che lo ha visto diventare uomo, prima che scrittore. Quella Firenze che lo ha forgiato, gli ha dato la forza di tagliare quei traguardi che la vita sembrava avergli precluso.