Anonimo istituto alberghiero G. Minuto di Carrara
Parlare di pandemia ai giorni nostri è una cosa comune: ormai dopo due anni ci siamo abituati. Sicuramente quando, e se, torneremo alla normalità vera e propria, sembrerà un po’ strano non portare più le mascherine, non dover mostrare il green pass e non chiedere più se siamo negativi o positivi ad un tampone.
Io personalmente in questi due anni ho pensato molto: mi chiedevo come saremo andati a finire, soprattutto se saremo tornati alla normalità. Nel primo lockdown, quando avevano detto che saremo stati a casa per quindici giorni, ero anche contenta. Pensavo che ci sarebbe servito staccare un po’ dalla scuola e riposarci dallo sport, ma quando hanno annunciato che saremo dovuti stare in casa per un tempo non precisato, lì mi sono spaventata e ho cominciato a chiedermi come avrei fatto senza amicizie e soprattutto senza lo sport.
Il periodo di marzo 2020, l’ho passato segregata da sola in casa perché mia mamma era a lavorare in ospedale con i malati di Covid e mio babbo a lavorare anche lui. In casa la situazione era un po’ tesa: mia mamma dormiva in camera mia per paura di attaccare io virus a me e mio babbo. Non ci si coccolava più, nessun bacino, nessun abbraccio, proprio per la paura: avevamo paura delle nostre persone più fidate perché la pandemia ci ha “manipolato mentalmente”.
Il mio compagno di questa avventura è stato il mio cane, anche se le giornate era tutte uguali e stressanti. Per fortuna ho un giardino e ho potuto mettermi a prendere il sole, ma non era come andare al mare.
Quando ci hanno “liberato”, non sapevo nemmeno più come si faceva ad approcciarsi con la gente. Ho visto persone che conosco tuttora, cambiare fisicamente e mentalmente, che ci trattavano come sconosciuti, perché ormai eravamo diventati quello. Eravamo tutti sconosciuti al di fuori delle nostre quattro mura di casa, non eravamo più in grado di socializzare senza telefono fra le mani. Ecco, il telefono in questi due anni è diventato il mio migliore amico: è stato difficile non usarlo 24 ore al giorno, per questo penso che sono e siamo, tutti “drogati” da questo apparecchio tecnologico.
In questi due anni ho capito anche l’importanza dei nonni. Sembrerà una cosa alquanto stupida, ma per me non lo è. I miei nonni abitano a La Spezia: è già tanto se li vedo una volta a settimana e non vederli per due mesi e mezzo è stato un vero e proprio colpo basso, soprattutto per chi come me ha un rapporto fortissimo con i propri vecchietti. Quando li ho rivisti dal vivo è stata una sensazione strana, non so come spiegarla, molto probabilmente perché dovevo ancora metabolizzare tutto: ero fredda, immobile, non perché non avessi voglia di vederli, anzi, ma proprio perché mi ha fatto strano vederli di nuovo dal vivo. Passare da vederli solo in videochiamata a toccarli di nuovo e abbracciarli è stato qualcosa che mi ha scombussolata.
Insomma in questi due anni di pandemia ho perso amicizie e fatte di nuove, ho perso e acquistato peso, sono cambiata e maturata. Siamo cambiati, parlo al plurale, perché in questa situazione siamo coinvolti tutti, chi più chi meno, ci siamo evoluti e adattati a “sopravvivere”. Chissà come saremo tra qualche anno: io penso che i miei figli potranno studiare questa situazione come noi abbiamo studiato la guerra, raccontata dai nostri bis nonni; pensandoci bene la guerra che hanno passato loro e la “nostra”, sono un po’ simili, sicuramente sono circostanze diverse, ma non così lontane.