L’Apoteosi di Claudio è un’opera scultorea in marmo risalente al I secolo dopo Cristo, quando a capo dell’impero romano c’era, appunto, Tiberio Claudio Druso, ma che non era stata creata affatto con l’intenzione di celebrare la grandezza dell’imperatore. Con ogni probabilità, il gruppo marmoreo che raffigura un’aquila, simbolo dell’impero, ai cui piedi ci sono le armi romane, venne realizzato per adornare l’urna cineraria di Marco Valerio Messalla Corvino, che era stato un militare a fianco di Bruto, Cassio e Antonio e poi era diventato scrittore e patrono dell’arte letteraria, amico di Orazio e di Ovidio. Il percorso che quest’opera di puro gusto imperiale romano fece per arrivare a stretto contatto con la celebrazione della grandezza della terra apuana dominata da Alberico Cybo Malaspina è davvero singolare.
Il titolo dell’opera Apoteosi di Claudio venne dato molti secoli dopo la sua realizzazione, poco dopo la metà del ‘600 quando la statua venne restaurata dallo scultore romano Orfeo Boselli su richiesta del cardinale Girolamo Colonna che aveva deciso di regalarla a Filippo IV Il Grande, re di Spagna. L’opera venne abbinata a un busto gigantesco, andato perduto, che raffigurava l’imperatore Claudio, da qui il nome, e a un basamento che era, a sua volta, un’imponente opera d’arte. È proprio questo piedistallo ad aver creato non poco mistero.
Realizzato in marmo bianco di Carrara, il piedistallo presenta sulle quattro facciate, in bassorilievo, le vedute dell’epoca dei principali possedimenti su cui regnava Alberico Cybo Malaspina, che fu, peraltro, il committente dell’opera.
Massa, Carrara, Moneta e Lavenza sono i borghi raffigurati sul piedistallo che ha, sugli angoli, quattro aquile, molto simili a quella che rappresenta il simbolo dell’impero romano, e quattro cicogne, simbolo dei Cybo, che sostengono dei cartigli con il motto della casata. Un’opera, quindi, voluta, pensata e ideata, per celebrare la figura di Alberico, la cui importanza era stata accresciuta grazie alla sua abile politica estera e all’amicizia stretta con i reali di Spagna.
Un’opera, tuttavia, che non c’entrava nulla né con l’imperatore Claudio, né con il re di Spagna, alla cui grandezza, Colonna voleva rendere omaggio. Ad accrescere l’aura di mistero intorno all’opera, per secoli, ci fu anche la difficoltà dell’attribuzione. Importanti e recenti studi effettuati dal professor Claudio Palandrani, storico dell’arte massese, dal professor David Garcia Lopez, storico dell’arte e cattedratico alla università della Murcia e dalla dottoressa Alessandra Migliorato, hanno permesso l’identificazione praticamente certa dell’autore del grande basamento. Si tratterebbe dello scultore carrarese Andrea Calamecca, appartenente a una famiglia di scultori che prese il nome dalla località in cui viveva che corrisponde alla attuale zona di San Francesco a Carrara, che ebbe una discreta fortuna come scultore soprattutto presso la corte siciliana. Apprezzato e ben noto ad Alberico, che fece in modo di trattenerlo il più possibile in terra apuana, Andrea Calamecca realizzò, su ordine del sovrano, il piedistallo nel quale è ben riconoscibile il suo gusto per la realizzazione di vedute dall’alto dei borghi su bassorilievi.
L’opera, dal 1665, epoca in cui venne portata a Madrid e donata a Filippo IV, non ha più cambiato nome né è stata scissa dalla scultura di epoca romana.
Da allora è conservata all’interno del museo del Prado di Madrid e continua a celebrare la potenza romana accanto a quella del marchesato di Massa e della signoria di Carrara.
Fonti:
“Una nuova attribuzione per il Piedistallo Cybo” di Alessandra Migliorato
“Correva l’anno…” di Franco Frediani