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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Una vita per la cultura: Diari Toscani incontra Maria Mattei

DiVinicia Tesconi

Feb 3, 2022

Ricercatrice indipendente in ambito letterario, artistico, storico e sociale, traduttrice, esperta di storia locale, autrice di saggi e pubblicazioni, insegnante di inglese. Un passato in politica nell’amministrazione carrarese che l’ha avuta come responsabile del primo Ufficio Progetti Donna nella Giunta di Emilia Fazzi Contigli dal 1994 al 1998 e assessore alle politiche sociali assessore alle politiche sociali nella giunta del sindaco Giulio Conti, nel 2003. L’elenco delle competenze e degli interessi di Maria Mattei è tra i più lunghi e variegati e va di pari passo con i suoi studi, le sue ricerche e i suoi progetti. Maria Mattei è originaria di Caserta ma carrarese di adozione, dove ha frequentato il liceo scientifico. Ha studiato giurisprudenza all’università di Pisa, mentre perfezionava l’inglese presso l’istituto britannico di Firenze conseguendo il diploma TEFL (teaching english as a foreign language), si è poi diplomata in scienze sociali alla open university di Newcastle Upon Tyne Uk ed è membro dell’associazione italiana Anglisti, AIA. In occasione della Giornata della Memoria 2022 ha presentato in due diversi consigli comunali solenni, sue ricerche sul tema della Shoah italiana: a Carrara la storia della famiglia Pesaro Magrini, costretta a fuggire per evitare la deportazione e a Fivizzano una relazione sulle leggi razziali emanate in Italia nel 1938. Diari Toscani l’ha incontrata nella sua scuola di lingue, Open Academy, nel centro di Carrara.

Lei ha un lungo impegno culturale incentrato sulla memoria della Shoah. Da cosa è scaturito il suo interesse?

È un sentire personale, un interesse che è sempre stato presente sin da quando ero piccola. La mia famiglia proviene in parte da Roma e in parte da Caserta. A Roma ho vissuto e ricordo bene il ghetto ebraico in cui si andava a comprare la crostata di ricotta e visciole o i vestiti nei molti negozietti. A Caserta, invece, c’era una vasta presenza di ebrei convertiti. Sono sempre stata in contatto con le storie di queste persone. Di fatto, comunque, ho cominciato ad occuparmi della memoria circa una ventina di anni fa, grazie all’incontro con persone molto speciali. Uno dei primi lavori che ho fatto era sulle donne dei paesi a monte di Carrara – diventato poi un libro – e fu realizzato quando dirigevo l’ufficio Progetti Donna, con la collaborazione di Giovanna Bernardini, Maria Teresa Telara e della fotografa di origine ebrea Digne Marcovitz. In seguito ho conosciuto due donne con le quali ho collaborato, che sono state fondamentali per il mio percorso. Una è stata Liana Borghi, di origine ebraica, fondatrice di Leggendaria, ricercatrice di letteratura inglese delle donne all’università di Firenze e figlia di Lamberto Borghi, uno dei più grandi pedagogisti italiani. Con la Borghi ho fatto un lungo percorso nel quale siamo riuscite a portare a Carrara per un convegno, Jan Lambertz, ricercatrice del United States Holocaust Museum di Washington, tra le maggiori esperte della Shoah italiana. L’altro incontro importante è stata Carla di Veroli, che, purtroppo, è scomparsa quest’anno, e che era la nipote di Settima Spizzichino, unica donna dei 1024 ebrei deportati dal ghetto di Roma ad essere sopravvissuta. Con Carla Di Veroli abbiamo lavorato per anni alla storia di Settimia e siamo riuscite, nel 2008 a porre una pietra col suo nome nel parco di sculture di Campocecina, fortemente voluto nel 2001 da una donna speciale, Marilina Ulivi, all’epoca assessore alla cultura, e, lo scorso anno a far intitolare il parco a Settimia Spizzichino.

Qual è il suo obiettivo nella divulgazione delle tematiche legate alla memoria della Shoah?

Quest’anno ho fatto due interventi nei consigli comunali di Carrara e di Fivizzano. In quest’ultimo ho incontrato molte classi in presenza ed è stato molto bello. Alla fine mi sono resa conto di aver posto domande sul tema della Shoah, più che aver dato risposte a questi ragazzi che hanno partecipato con molto interesse. È un impegno che dà tantissimo, specialmente con le scuole e per questo va portato avanti. È un dovere e un percorso che spero che continui.

Lei sta anche seguendo alcuni progetti per dare una testimonianza tangibile della Shoah sul territorio locale…

Sì, ho chiesto in consiglio comunale che venga avviato un progetto per segnare la città. Ho la fissa sia per la Shoah italiana, sia per la toponomastica. È importante che la toponomastica registri i valori della storia. Io vorrei che venisse creato un percorso che tocchi le vittime delle leggi razziali di Carrara, a cominciare dal caso della famiglia Pesaro Magrini, originaria di Ferrara, che risiedeva sulla via Carriona, in quella che allora era casa Forti, e che furono la famiglia da cui Giorgio Bassani trasse ispirazione per il suo Giardino dei Finzi Contini. Il loro appartamento era poco distante dal luogo in cui i fascisti uccisero Gisella e Renato Lazzeri, madre e figlio, intervenuti in difesa della figlia e sorella Clara, che non si era voluta togliere il garofano rosso che aveva sul vestito. Particolare non da poco: ad ucciderli fu Amerigo Dumini, il feroce squadrista fascista, che di lì a poco, a Roma, ucciderà Giacomo Matteotti. Nel luogo dell’uccisione, lungo un lato del Mulino Forti sulla Carriona c’è ancora una lapide che ricorda il fatto. Il centro della città è pieno di storie di questo genere e sarebbe importante cominciare a segnare i muri con targhe e lapidi in ricordo di chi ha subito le leggi razziali ed è stato costretto a scappare, lasciando la città per salvarsi la vita.

 Nel 2018 lei ha organizzato all’interno dell’Accademia di Carrara un importante convegno internazionale sulla figura di Mary Shelley. Una storia quella dell’autrice di Frankstein e del marito, Percy Shelley, grande poeta inglese, che ha molti punti di contatto con la città di Carrara e che è stata oggetto di molte ricerche da parte sua.

Proprio stamani è arrivata la relazione di Nora Crook, la più grande esperta mondiale di Shelley, che è stata ospite del convegno su Mary Shelley. Da allora siamo rimaste in stretto contatto. Questa relazione farà parte degli Atti del Convegno, che, finalmente, saranno pubblicati dalla casa editrice Loffredo di Napoli, in un volume curato da me, con l’aiuto dell’Associazione Italiana degli Anglisti di cui faccio parte. Nora Crook ha delineato i legami tra gli Shelley e Carrara in maniera ancora più precisa e puntuale di quanto fece durante il convegno. Lei ha messo in evidenza il legame di Shelley, di cui ricorre quest’anno il bicentenario della morte, avvenuta proprio nel mare antistante la costa dell’alto Tirreno, con Carrara, portando argomentazioni molto interessanti. Secondo la Crook il sonetto “The triumph of life” di Shelley, parlerebbe delle cave, tema, insieme al marmo e alla montagna, molto caro anche a Mary Shelley, come la studiosa ha desunto da un’analisi molto approfondita dei testi. Tutto quindi farebbe pensare a un passaggio in città di Mary Shelley avvenuto negli anni ’20 dell’ottocento, nel corso del quale avrebbe visitato la città e gli studi d’arte, senza salire alle cave, dove invece andò il marito, perché incinta. I legami tra la coppia di giganti della letteratura inglese e Carrara quindi, ci sono.

Nel corso del convegno lei presentò un suo studio sul nome di un personaggio del Frankstein di Mary Shelley che richiama moltissimo un toponimo locale a conferma del legame tra Carrara e gli Shelley. Ha trovato ulteriori conferme alle sue ricerche?

Sì, la mia teoria su Elisabeth Lavenza è stata molto ben accolta dagli studiosi che hanno partecipato alla Scuola Estiva internazionale di Studi Romantici organizzata a Lerici dal centro studi dell’università di Bologna, nel 2019, e comparirà negli atti del convegno. Si basa sul legame tra il nome del personaggio e il borgo di Lavenza. La conoscenza dell’esistenza di un luogo chiamato Lavenza potrebbe essere avvenuta grazie alla figura di Pellegrino Rossi, che conobbe gli Shelley sul lago di Ginevra in Svizzera, nel 1816 durante il suo esilio. Rossi era il traduttore di Byron, grande amico degli Shelley e rappresentava in quel momento la figura dell’esule per eccellenza. In quel periodo Mary stava studiando per scrivere Frankstein e probabilmente si confrontò con Pellegrino Rossi. Mary studiava l’italiano e la geografia ed anche la geologia, passione ereditata dalla madre.Il personaggio di Elisabeth Lavenza era nato per essere angloitaliano. La scelta del suo nome non può assolutamente essere casuale perché Mary era solita dare significati politici o comunque nascondere spiegazioni particolari nei cognomi che sceglieva per i suoi personaggi e per il cognome Lavenza non ci sono spiegazioni, come ha fatto notare il professor Charles Robinson, che mi ha spronata in questa ricerca e a cui, io e Nora Crook, dedicheremo il volume degli Atti del Convegno. Ma c’è un’altra serie di fatti e di personaggi che si incrociano e che concorrono a confermare la teoria che il nome Lavenza venne scelto in omaggio alla frazione carrarese. Ho condotto una ricerca insieme allo storico Piero Di Pierro sulla figura di Elisabeth Frances Batty, una pittrice inglese di paesaggi, il cui padre era amico del padre di Mary, che nel 1817 fece un viaggio in Italia fermandosi ad Avenza e realizzando una bella incisione del castello di Avenza (o Lavenza) esposta, poi a Londra alla Royal Academy. Questa incisione venne anche riprodotta su dei piatti di porcellana bianchi e blu, tipicamente inglesi. Si può supporre facilmente che Mary ed Elisabeth potessero conoscersi ed essere amiche, o comunque che Mary abbia potuto ammirare gli schizzi della Batty durante la mostra londinese. Ci sono poi altre trame da indagare che rivelano affascinanti intrecci con molti personaggi del tempo. Contrariamente a quanto crediamo noi, queste figure erano abituate a viaggiare molto e di conseguenza anche a corrispondere molto, per cui hanno lasciato molte tracce negli epistolari.

Lei sta curando anche il progetto di una Route culturale da attivare sul territorio: di cosa si tratta nello specifico?

 La Fondazione Marmo ha finanziato il progetto che si fonda sui miei studi, insieme all’associazione Open Accademy, al Rotary, all’Accademia di Belle Arti di Carrara, a Federalberghi, a Confcommercio, alla provincia, ad alcune Pro Loco e a un collettivo di guide turistiche. Si tratta di una route che ricorda la famosa Route 66 degli Stati Uniti. Un percorso dal centro storico di Carrara, fino a Fossola e ad Avenza, che avrà una serie di stazioni in cui ci si potrà approvvigionare di cultura mediante placche e Qr code, in italiano, in inglese e in russo, dedicati a figure del mondo della scultura, della pittura e dell’establishment americano e inglese che hanno avuto legami con Carrara. È un percorso che può essere fatto singolarmente o in gruppo, adattissimo alle scuole, in cui entreranno anche i commercianti, per i quali si sta attivando Nadia Cavazzini, i cui negozi fungeranno anche da prima accoglienza turistica. Il progetto è stato visionato dalla commissione cultura del comune e dovrà ottenere approvazione del comune e della Provincia, mentre l’Accademia sta lavorando alla realizzazione dello stesso percorso virtuale.

Sono moltissimi gli impegni e i piani culturali su cui lavora: cosa la spinge a questa continua ricerca?

Sono curiosa, credo si essere una specie di poliziotto, per cui mi piace indagare. Ho studiato sempre tanti argomenti diversi. La vita è un’intersezione di piani, non è monotema. È un libro con tante pagine, con capitoli che si possono chiudere e riaprire.

Letteratura, storia, linguistica, politica, arte, storia locale: in quale dimensione si riconosce di più?

Non ce n’è una dominane sulle altre in realtà. Credo di aver imparato tanto dalla politica nel periodo in cui mi ci sono dedicata, soprattutto il saper ascoltare, che ti permette di capire che ci sono sempre tanti piani diversi tra i quali è necessario mediare.

Sicuramente l’elemento comune in tutti i suoi interessi è la passione per la ricerca.

Sì, che io realizzo attraverso l’attenzione alle molte microstorie che ci sono in ogni situazione e in ogni contesto e che ti permettono di indagare su più livelli. Non ci sono mai categorie definitive, il bianco e il nero, ma molte sfumature intermedie, che vanno conosciute per arrivare alla ricostruzione storica più vicina alla realtà. Anche nella mia ricerca sulla Shoah non amo procedere per categorie stagne: i giusti, i salvati, i carnefici, ma vado a ricercare le relazioni tra i vari personaggi. È un metodo che applico in ogni campo e che mi permette di ricevere aiuti dalla grande comunità internazionale degli accademici e dei ricercatori, che sono sempre disponibili quando capiscono che il tuo lavoro è serio e profondo.

Lei è molto legata a Carrara, pur non essendo la sua città di origine.

Carrara mi ha adottato agli inizi degli anni ’60 e io devo molto a questa città come devo molto anche a Pisa dove ho studiato e vissuto per un periodo e dove, insieme ad altri studenti ho aiutato il professore universitario Giuliano Campioni ad aprire il primo centro di accoglienza per immigrati voluto da un’amministrazione comunale. Un progetto davvero unico in quegli anni. A Carrara poi sono tornata e sono rimasta, ho aperto la mia scuola di lingue e ho cominciato a ricercare nelle pieghe della sua ricchissima storia.

© Foto per gentile concessione di Mara Mattei