Aspettante concavo silenzio.
Vibra l’alluminio inchiodato da otto bulloni alla lamiera centrale del piccolo ponte di ferro sospeso che domina divide dell’alto di 100 metri le due voragini abbaglianti delle cave di Ravaccione e Fantiscritti.
Vi passeggia la fluida elettrica poesia di singhiozzi strozzati e lagrime vaste quanto il mare invadendo e scuotendo ogni cosa e uomini dall’occipite ai talloni e marmi svenati soavemente.
Ne geme il piccolo ponte mentre sussulta sotto 800 chili di scarponi umani.
Appesantirsi del metallo fra la brillantissima cipria che piove dopo ogni varata da detriti sparati in alto in giro dalla mina di polvere nera.
Aspettante concavo silenzio. Il sole tenta ma non riesce a sbiancare questo incalcolabile teatro di marmi in ribalta palchi loggione e di detriti all’assalto.
Cocciutamente questi difendono e conservano la loro granulazione blu di Prussia di muro al chiaro di luna. Tutto appare cesellato in quella balenante ondulazione di riverberi irti e spietati. Specchianti strapiombi ripercuotono raggi e voci come palle di ferro.
Stupefacente piccolezza microscopica delle squadre di lizzatori quasi invisibili in salita o discesa per le piste scoscese degli immensi costoni su su verso le cime parlanti o giù verso il cuore taciturno della Terra.
Aspettante concavo silenzio.
Spettacolosamente in levigata mostra come sui piatti di una bilancia favolosa luccicano 6 picchi marmorei 4 alberi verdi e 7 giocattoli abitabili a tetto rosso.
Grandi gialle ferite della montagna ognuna col suo labbro inferiore offerto fra la rovina dei detriti.
Complottare stridendo con la teleferica contro la vagolante ombra lentissima del carrello che s’arrampica per conto suo mentre languidamente la fune metallica sogna di ornare il conico femminile collo del più alto ravaneto.
Fuma spiralicamente la pipa masticata dall’oscillante tecchiaiolo sospeso davanti alla parete liscia della tecchia a picco sull’inferno delle irte profondità.
In fondo echeggia romantico il drin-drin delle valvole dei lunghi tubi delle pompe musicalmente col crudo crudo crudo carrello che talvolta sculetta spavaldo fra gli abissali suicidi sottostanti.
Tre metri più in su pesante e mordente d’odio saltella le perforatrice ad aria compressa nelle mani coriacee dello sbozzatore che la punta contro il marmo buco di 25 centimetri in 1 minuto pari ad 1 ora di lavoro di due martellatori.
Aspettante concavo silenzio.
Splendida insurrezione di marmi agli ordini del sole tutti aguzzi fuor dalla massa dei detriti.
Lo salutano brontolando pei canaloni gli scoppi delle mine con echeggianti cannoneggiamenti di battaglie montane dissepolte.
Aspettante concavo silenzio.
Prudentissimi polveroni assonnati salgono pei dirupi a strangolare soffocare gli sproporzionati castellacci e casupolami formati di frantumi di marmi.
Questo fortilizio aiutato da una foia di aggrovigliate scale di corda trattiene la diabolica frana dei ravaneti.
In alto troneggiano come dittatori i cilindrici rossi serbatoi d’acqua per la manovra del filo elicoidale ma devono con guaiti penosi obbedire anch’essi piegando di 1 millimetro le loro compagini molecolari alla enorme lassù prepotente pressione della montagna.
Pesa dalle cime nevose al fondo buio e opprimendo chiude tutti i meati tutte le screpolature e tappa finalmente il taglio della ferita aperta dal filo elicoidale del marmo.
Preciso quanto quello che affetta la polenta il filo elicoidale veicola acqua silice quarzo nel tagliare utilizzando il 30% della montagna mentre il lavoro manuale ne utilizzava il 10%.
Lunghi vuuu vuuu vuuuu della buccina rotti dalle voci. A da foooc ! A da foooc !
Scalpiccio degli operai in fuga e tutuuuuum tutuuuum dello scoppio.
Aspettante concavo silenzio.
Splendono riemergendo dal polverone con brilli di collera i picchi di marmo senza curare scalatori perforatrici e mine.
A modo loro vogliono pretendono scendere con mezzi propri nell’abisso.
Invano gli uomini offrono loro caute rotaie e lente chirurgie.
Accetterebbero le lizze ma guai se si rompono.
Allora piombando e precipitando i picchi mozzi acciuffano quei fragili tormentatori e li travolgono.
Chi può vietare a quei superbi la gioia di contemplare al di la delle valli abbaglianti di Fantiscritti e Ravaccione tante verdi montagne montagne sorelle che si slanciano su al contrattacco !
Piatto azzurro attento a questo dramma di anime centrifughe e pesi centripeti il Mare marmo in potenza arteriato di naufragi.
Filippo Tommaso Marinetti
Dalla “ Gazzetta del Popolo ” di Torino del 31 Ottobre 1934 – XII
Questo articolo di Marinetti venne da lui scritto all’indomani della conclusione della Prima Mostra Celebrativa del Marmo (la madre di tutte le fiere espositive apuane del marmo) che si tenne da luglio a settembre del 1934 a Carrara. La mostra, fu ideata e voluta dal Presidente dell’ Accademia di Belle Arti di Carrara Adolfo Angeli in occasione dell’inaugurazione della Sala del Campionario dei Marmi. La mostra, ebbe come fulcro la sede dell’Accademia e i suoi laboratori, ma anche la sede della Scuola del Marmo e diversi laboratori delle principali aziende di estrazione, lavorazione e trasformazione dei materiali lapidei.
Bibliografia essenziale: Sinfonia del marmo – Adolfo Angeli Presidente dalla R. Accademia di Belle Arti di Carrara – Raccolta di articoli pubblicati per la Prima Mostra Celebrativa del Marmo – Estate 1934-XII – E. Bassani – Istituto Editoriale Fascista Apuano – Carrara 1935-XIII
Le immagini: il comprensorio di Carrara raffigurato nella aeropittura futurista di Uberto Bonetti – Portatori d’acqua alla cave. Lorenzo Viani
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