Durare da Natale a santo Stefano è un detto popolare, molto diffuso anche in terra apuana, per indicare cose che sopravvivranno molto poco nel tempo. Lo dicevano le mamme dei giocattoli che i figli ricevevano a Natale; lo si dice, ancora oggi, in relazione all’affidabilità di tecnologie di dubbia origine e anche, a volte, riferendosi a sentimenti d’amore e d’amicizia, sempre più spesso in modalità usa e getta. Il povero santo Stefano – già relegato ad essere solo il giorno in più di festa che allunga il Natale – è diventato, nel tempo, anche il simbolo della fine delle brevi illusioni: il giorno del risveglio, dopo i gozzovigli del Natale, quando ci capisce che si è mangiato troppo e forse, che si è anche sognato troppo. Un carico ingrato per una santo che, per molti secoli è stato amatissimo, tanto da aver causato una vera e propria caccia alle reliquie con abbondante proliferazione di improbabili copie disperse un po’ in tutto il mondo cristiano. Ancora fino alla metà del secolo scorso era frequente l’usanza di celebrare matrimoni proprio nel giorno di santo Stefano, prima che la macchina del wedding planner intuisse il business e collocasse le date predilette per le nozze in stagioni più a favore di feste e reportage fotografici. Il culto di santo Stefano è tra i più antichi perché il suo martirio avvenne a soli tre anni dalla crocefissione di Gesù. Stefano, era sicuramente un uomo colto che conosceva il greco. Forse era lui stesso di origine greca, come testimonierebbe il suo nome che significa: “incoronato”; di certo fu uno dei primi a convertirsi al cristianesimo. Per le sue doti di cultura e di saggezza venne scelto per primo, dagli apostoli, per aiutarli a diffondere la parola di Cristo. Subito dopo la morte e resurrezione di Gesù il numero dei seguaci di Cristo cominciò ad aumentare esponenzialmente e per gli apostoli divenne difficile riuscire ad arrivare ad ascoltare tutti quanti, specialmente coloro che parlavano il greco, lingua molto presente nella Gerusalemme del primo secolo dopo Cristo. Gli apostoli scelsero sette persone sui cui capi imposero le mani: la prima di queste fu santo Stefano. Questo rituale venne considerato l’inizio del diaconato della chiesa cristiana e santo Stefano divenne così il primo diacono. Stefano sapeva parlare ed era pervaso dall’amore per Cristo, così negli incontri che faceva con i discepoli trasmetteva il suo fervore religioso tanto da spingere alla conversione molte persone e questo cominciò ad irritare gli ebrei. Stefano fu accusato di bestemmiare contro Mosè e contro Dio e venne trascinato di fronte al Sinedrio che in quegli anni, tra il 34 e il 36 dopo Cristo, aveva il potere di eseguire le condanne a morte perché il governatore romano, Ponzio Pilato, era stato deposto a causa della sua eccessiva crudeltà e non era ancora stato nominato un suo sostituto. L’episodio dell’interrogatorio fatto dai sommi sacerdoti ebraici a santo Stefano è narrato negli “Atti degli Apostoli” che riportano anche una lunga tirata del santo, contro gli ebrei colpevoli di aver sempre perseguitato ed ucciso chi predicava nel giusto e nella vera volontà divina. Anche in quel momento santo Stefano parlò con il fervore che lo aveva sempre contraddistinto e questo fu letto come ulteriore insulto dagli ebrei presenti che lo aggredirono e lo trascinarono all’aperto cominciando a colpirlo con delle pietre. La lapidazione era la tipica condanna a morte usata dagli ebrei, differente dalla crocefissione praticata dai Romani. Proprio l’uso della lapidazione ha permesso di collocare la morte di Stefano nel 36 dopo Cristo, sebbene a confermare la condanna non ci sia alcun atto ufficiale. Gli ebrei inferociti cominciarono a togliersi i mantelli lasciandoli in custodia a un giovane di nome Saulo, che aveva già preso parte a persecuzioni contro Stefano e altri cristiani e che di lì a breve, fuggendo a Damasco avrebbe scoperto la verità di Cristo, diventando San Paolo. Stefano, secondo il racconto degli evangelisti, non si oppose al linciaggio, restò immobile, in ginocchio, pregando Dio di perdonare i suoi persecutori e chiedendo di essere accolto nel regno dei cieli. Nella storia della chiesa, santo Stefano è, quindi, considerato il primo martire cristiano, anche se prima di lui, per difendere la figura di Gesù, era stato giustiziato Giovanni Battista. Per questo motivo la data della festa di santo Stefano venne collocata immediatamente a ridosso del Natale. Il culto cominciò a diffondersi dal quinto secolo in poi, quando venne recuperato il suo corpo dalla sepoltura, che gli era stata data in un giardino privato a Gerusalemme e quando cominciarono a verificarsi miracoli connessi con la reliquia e anche, addirittura, con la terra in cui era stata sepolto. L’ardore religioso che pervase il medioevo e il business delirante dei sacri reperti, fece comparire un numero spropositato di braccia e di teste del santo, trasportate in varie parti d’Europa, ma neppure la constatazione della loro dubbia origine fece mai diminuire l’importanza il culto del santo, che venne indicato come il protettore dei diaconi e dei muratori, invocato per le malattie della testa e per i calcoli (sassi) al fegato, a causa delle pietre con cui era stato ucciso. In Italia, ben 14 località portano il suo nome e circa 200 paesi lo hanno come santo protettore. La memoria e la ricorrenza di santo Stefano sono state appannate dalla travolgente e dissacrante escalation consumistica del Natale che ha ridotto il 26 dicembre ad essere solo il giorno in cui gran parte del bello effimero, finisce.