È uscito nel corso dell’estate 2021 ma ha già raccolto grandi consensi: Per horror intendo… è l’ultimo documentario realizzato da Paola Settimini, regista, documentarista e giornalista spezzina, autrice di molti cortometraggi e documentari di successo e ideatrice e direttore artistico del La Spezia Film Festival. Il documentario Per horror intendo…, prodotto dalla casa editrice spezzina Cut-up, si basa su un soggetto della stessa Settimini nato da un’idea del grande regista Lamberto Bava e mescola la fiction alle interviste con i più grandi maestri dell’horror italiano da Dario Argento a Pupi Avati, allo stesso Bava, solo per citarne alcuni, con lo scopo di indagare in una delle emozioni più affascinanti: la paura.
Per horror intendo… ha appena vinto il premio come miglior documentario al Cubo Festival e sarà premiato nel corso della manifestazione che si terrà a Caprarola in provincia di Viterbo, da venerdì 3 a mercoledì 8 dicembre, nella quale verrà consegnato il premio alla carriera a Enrico Vanzina. Il documentario dopo le presentazioni a La Spezia e a Pisa, sarebbe dovuto arrivare anche a Marina di Carrara nell’ambito dell’iniziative di Comix is coming, manifestazione organizzata da Il signore dei fumetti con Confesercenti e con il patrocinio del comune di Carrara, dedicata al fumetto e all’horror in programma sabato 4 e domenica 5 dicembre. Purtroppo per una serie di problemi legati alla disponibilità dei molti e illustri editori di fumetti che avevano aderito al progetto, la manifestazione è saltata e, come ha confermato l’assessore al commercio, Daniele Del Nero, è stata spostata alla prossima primavera. Il documentario, comunque, continua il suo percorso mietendo successi: di questo e dell’ infinita passione per il cinema, Paola Settimini ne ha parlato con Diari Toscani.
Come mai ha scelto l’horror per il suo nuovo documentario?
È stato un suggerimento di Lamberto Bava che ho conosciuto quando ho girato il documentario “Bava puzzle”, dedicato al cinema fantastico del grande regista italiano, prodotto sempre dalla Cut-up che ha pubblicato anche il romanzo di Bava “Il terzo giorno”. Da lì siamo diventati amici e dopo che avevo terminato il mio penultimo documentario dedicato al mondo della lirica, Lamberto mi ha lanciato l’idea di dedicarne uno al cinema horror italiano.
È un genere di cui era già appassionata?
Veramente no. Lo conoscevo una maniera piuttosto relativa e non me ne ero mai occupata direttamente. Grazie a questo documentario ho avuto la possibilità di conoscerlo molto meglio.
Il documentario ha una parte di fiction in puro genere horror…
Sì, sono scene che ripercorrono i momenti topici della paura. C’è una figura incappucciata e vestita di nero, che simboleggia una strega o anche la personificazione della morte, che esce dalle acque e insegue un ragazzo terrorizzato. Ci sono anche richiami ai vampiri, ai misteri dei castelli, insomma a tutti gli elementi tipici dei film horror. Ho volutamente evitato scene cruente in stile splatter e ho inserito un’unica scena in cui compare del sangue.
La parte di fiction è stata girata in Lunigiana, perché questa scelta?
Perché è un luogo a cui sono molto legata ma, anche e soprattutto, perché è uno scenario perfetto grazie ai suoi castelli, alle molte leggende e ai molti misteri legati ad esse, ai suoi borghi e ai suoi boschi incontaminati.
Nel documentario lei indaga anche sulla paura…
La paura è un elemento fondamentale del genere horror ed è la molla che richiama lo spettatore. È una delle grandi emozioni dell’uomo che, nel genere horror viene ricercata forse nel tentativo di esorcizzarla.
Il documentario si occupa del cinema horror italiano dagli anni ’60 agli anni ’90. Come venne considerato rispetto alle grandi produzioni horror hollywoodiane?
L’horror italiano ha avuto grandissimi maestri, che sono quelli che ho intervistato, e che hanno fatto grande il genere anche a livello internazionale. Quentin Tarantino ha affermato più volte di essersi formato con i film horror italiani. Il genere ha aspetti differenti che arrivano fino allo splatter. La sostanziale differenza dell’horror italiano sta nel fatto che comprendeva sempre un risvolto secondario alla semplice trama di terrore. Film come “La lunga notte delle bambole di vetro” o il filone horror di Pupi Avati mostrano importanti spunti di riflessione al di fuori del genere stesso. Un altro esempio è “Profumo di signora in nero”, un film incentrato sul cannibalismo che offre anche una lettura di denuncia sociale perché i cannibali erano banchieri.
Lei ha girato il documentario nel corso del 2020, in piena pandemia. Quali difficoltà ha incontrato rispetto a prima del covid?
Abbiamo iniziato a novembre 2020, nel secondo lockdown. La lavorazione è stata dura e impegnativa perché ho dovuto fare quasi tutto da sola, per quanto riguarda le interviste, per limitare tutti i permessi da richiedere dovuti alle restrizioni per la pandemia. Andavo a Roma con la telecamera, i microfoni e le luci e sistemavo tutto da sola. Un importante aiuto mi è venuto da Katia La Galante, che ha fatto l’aiuto regista per la fiction e che è una grande appassionata di horror, genere a cui ha di recente dedicato un cortometraggio. Le riprese della fiction sono state ugualmente faticose perché dovevamo portarci da mangiare da casa, non essendoci alcun locale aperto.
Quando lo avete terminato?
A maggio di quest’anno. E subito abbiamo cominciato a farlo partecipare ai vari concorsi. È stato selezionato al Festival del fantastico della Catalogna che è uno dei più importanti del mondo. Poi ha partecipato all’Apulia Euro festival e all’Abruzzo horror festival nel quale ha vinto il Vespertilio d’oro, come miglior lungo metraggio.
Quali sono gli obiettivi da raggiungere?
Per adesso sta andando ad altri concorsi ed è nei cinema. Ovviamente la speranza è di venderlo a una tv. Abbiamo già delle offerte che stiamo vagliando. Il documentario adesso è al festival Magicinema di Salsomaggiore e al Film festival a Roma, poi andrà all’estero.
E i suoi obiettivi personali?
Io sto già lavorando a un secondo docufilm sul cinema di fantascienza italiano sempre prodotto da Cut-up ed ho un progetto che lega cinema, letteratura e fumetto. Sul lungo termine sicuramente mi piacerebbe fare un film, magari di stampo felliniano, perché Fellini è uno dei miei registi di riferimento insieme a Sorrentino, ma al momento sono contenta di quel che sto facendo. Mi piace fare documentari e dedicarmi ad argomenti diversi. Insomma sto bene qui, dove sono ora.
Lei ha scritto anche sceneggiature, inoltre è giornalista, organizzatrice di un importante festival e regista. Quale il ruolo che le corrisponde di più?
Sicuramente la regia. Io adoro il cinema e amo fare film.
Quanto ha inciso la pandemia sul cinema, inteso proprio come luogo di fruizione di cultura?
La pandemia ha inciso molto su tutti i settori della cultura, ma io credo che nel cinema ci sia un margine di sopravvivenza. La grande concorrenza al cinema la fanno le piattaforme, ma io sono convinta che andare al cinema a vedere un film sia una magia più grande di qualunque piattaforma. Il fascino della sala è impareggiabile e nulla lo eguaglia secondo me. Piattaforme e home video sono sicuramente interessanti, ma il cinema è come il teatro: lo spettacolo può avvenire solo in quei luoghi.
© Foto per gentile concessione di Paola Settimini