Nell’anniversario della vittoria conviene ricordare, oltre a quello dei caduti e dei feriti, anche lo straordinario sacrificio delle donne, soprattutto nella vita civile. Basti dire che furono circa 6 milioni quelle occupate nell’industria e nell’agricoltura, sia in sostituzione degli uomini al fronte, sia nel potenziamento delle attività produttive imposto dalle esigenze belliche: al riguardo, raggiunsero quota 200 mila quelle occupate nella produzione di armi, mentre superarono il milione le occupate nel settore tessile, senza parlare dei servizi assistenziali, postali, tranviari e via dicendo, senza citare il potere d’acquisto dei salari in rapida decrescita, fino ad essere dimezzato nel corso dei quattro anni di guerra. A quest’ultimo riguardo, conviene aggiungere che le tutele sindacali non esistevano: in molti casi era stato abrogato il riposo domenicale, e non si faceva luogo al pagamento degli straordinari, sebbene il tempo di lavoro fosse stato innalzato fino alle 13 ore giornaliere. È facile comprendere come in tali condizioni il rischio aumentasse in misura più che proporzionale, come avrebbe dimostrato il terribile incidente occorso a Woellersdorf (Austria) dove 500 ragazze addette alle produzioni di materiale bellico scomparvero nell’esplosione della fabbrica.
Non mancarono le italiane cadute, nel numero di oltre 70, fra cui 44 crocerossine come la Medaglia d’Argento Rosetta Francescatti: nella maggior parte dei casi persero la vita per malattia contratta nell’esercizio della propria missione, ma si ebbero pure quelle colpite dal nemico, come la portatrice carnica Maria Plozner Mentil che riposa nel sacrario di Timau e che venne insignita della Medaglia d’Oro al Valore, dopo parecchi decenni, dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Al pari delle sue compagne, Maria portava quotidianamente in quota una gerla carica di cibo e generi di conforto, ma talvolta anche di armi, alle truppe alpine di montagna: lo faceva per una mercede minima e con alto senso del dovere patriottico, quando cadde per una palla di fucile in fronte, sparata da un cecchino. Si deve sottolineare in modo particolare il contributo delle infermiere volontarie, passate dalle quattromila unità del 1915 alle diecimila del 1918, che operarono in oltre 2 mila ospedali a fronte di 694 mila ricoveri con 17 milioni di giorni/degenza.
Tra quelle scomparse nel vortice del conflitto si deve ricordare, in chiave simbolica, la ventunenne Margherita Parodi, Medaglia di Bronzo al Valore, che dopo essersi prodigata nell’assistenza ai feriti sotto le bombe nemiche scomparve a Trieste subito dopo la vittoria per causa di malattia contratta in guerra, e venne accolta nel sacrario nazionale di Redipuglia assieme a 110 mila caduti (il sacrificio delle “sorelle” infermiere ha trovato imperituro ricordo nel monumento di Colle S. Elia). Va aggiunto che le cifre sono approssimate per difetto, non essendo note, fra l’altro, quelle delle donne friulane e venete scomparse durante la terribile ritirata del 1917 dopo il disastro di Caporetto, e durante l’occupazione austriaca protrattasi fino alla vittoria, quando le madri, mogli e figlie che non avevano potuto o voluto prendere la via dell’esilio vennero sottoposte ad ogni tipo di angherie, stupri compresi, da parte dei momentanei vincitori, abbrutiti dalla fame e dalle vicende belliche.
Resta il fatto che per l’ampiezza dell’impegno e dei sacrifici imposti dalla guerra le donne svilupparono una maturazione delle coscienze ed una consapevolezza dei propri diritti largamente accelerate rispetto a quanto sarebbe accaduto in condizioni normali: ciò, nel quadro di una solidarietà unitaria analoga a quella che avrebbe affratellato gli uomini al fronte, e che si sarebbe protratta e consolidata dopo la vittoria.
Una ventina di anni dopo o poco più, le donne, saranno nuovamente chiamate ad apportare il loro contributo nel secondo e ben più tragico conflitto che insanguinerà nuovamente l’Europa e che vedrà, per la prima volta nella storia dell’esercito italiano, la creazione di un corpo militare ausiliario formato esclusivamente da donne: il SAF, il Servizio Ausiliario Femminile della Repubblica Sociale Italiana, al cui comando delle 10 mila donne che si arruolarono venne posta una donna che ricoprì – per la prima volta nella storia italiana – il grado di generale di brigata: Piera Gatteschi Fondelli di Greve in Chianti. Anche in questo caso, specie al termine del conflitto, moltissime di queste donne pagheranno un altissimo prezzo in termini di vite umane.
Paolo Camaiora Architetto. © 2021 Carrara, lì 04.XI.2021