Tantissimi anni fa, a Carrara, nel quartiere di Caina, viveva una povera donna che per campare faceva la lavandaia. Il suo lavoro era molto duro: estate e inverno scendeva a lavare i panni nel fiume in un punto in cui vi era una grande pozza profonda, scavata dal lento lavoro di erosione dell’acqua. La donna passava il maggior tempo della sua giornata sul fiume, lavando e rilavando i panni, sciacquando e risciacquando, poiché questa era l’unica risorsa a sua disposizione per mantenere se stessa e la figlioletta di sei anni. Il marito, purtroppo, era morto: un grave incidente nella cava dove lavorava, aveva stroncato la sua giovane vita.
Quell’autunno, le giornate erano umide e grigie, la donna non riusciva a far asciugare i panni delle sue ricche clienti, così, aveva dovuto lavarli più volte per evitare che prendessero cattivo odore. La bambina, per non restare in casa tutta sola, aveva seguito la madre buscandosi, in questo modo, una bruttissima bronchite. Quelli erano tempi molto tristi per le malattie dei bambini, i rimedi conosciuti per curarli, erano veramente pochissimi. La bambina cominciò a tossire, a respirare male e poi cominciò ad avere la febbre. La sua faccia era rossa e aveva la fronte sudata, bruciava come fosse stata una torcia. La mamma, le aveva applicato sulla fronte delle pezzuole bagnate con acqua e aceto, aveva preparato una pappa di semi di lino e, dopo averla versata su una pezzuola fresca di bucato, l’aveva messa sul petto della bambina per darle sollievo. La bambina però non dava segni di miglioramento, anzi, la febbre aumentò a tal punto che, ad un momento, si mise a delirare. La povera donna capì che per la sua piccola le speranze, di salvarsi, erano veramente poche. L’unico conforto le derivava dalla fede, che sempre l’aveva sostenuta, anche nei brutti momenti come quello che stava vivendo. Con il cuore pieno di angoscia, prese l’ago che le serviva per cucire i materassi, lo infilò con del cordino sottile, poi, presa la scodella delle ballotte (castagne bollite), che erano posate sul tavolo della cucina, e cominciò a infilarle, alternandole con delle piccole mele di montagna che le aveva regalato, qualche giorno prima, la vicina. La donna pregava la Madonna e anche le anime dei propri cari defunti. Infilando le ballotte e le mele, riuscì a farsi un rosario semplice ma utile al suo scopo. La bambina continuava a scottare: le guance ancora rosse, mentre il respiro era diventato un sibilo. La donna si mise in ginocchio e pregò, pregò così tanto, che l’alba la sorprese in una intensa e avvolgente preghiera. Quando il gallo cantò, la donna si scosse e guardando ancora una volta la piccola, si accorse che il faccino non era più rosso, ma di un colore naturale. Le toccò la fronte e, miracolosamente, la sentì fresca come una rosa. Il suo sonno era un sonno profondo e ristoratore, il sibilo era scomparso. La mamma, diede un bacio leggero sulla fronte della piccola, mentre il per la gioia, sembrava volesse uscirle dal petto. Il miracolo era avvenuto, con la sua fede e quel rosario improvvisato, (quello vero, per lei, era troppo costoso) aveva ricevuto la grazia che aveva chiesto alla Madonna ed ai suoi cari. In quel momento, la porta della stanza si aprì ed entrò la vicina di casa che portava un poco di latte caldo, dopo che nella notte, più volte era venuta a vedere le condizioni della piccola e si era unita alla preghiera della madre. Ad un tratto la bambina aprì gli occhi, guardò la madre e le sorrise, era ritornata in salute. La voce di quella guarigione, fece il giro di tutta Carrara, dai monti fino al mare, e si diffuse anche la notizia di quel rosario miracoloso fatto di ballotte e piccole mele. Era il 2 novembre, il giorno della ricorrenza dei defunti, la piccola si era sentita male il giorno prima, quello dedicato a Ognissanti e proprio in quella notte, la mamma aveva preparato quel semplice rosario. Da quel momento, tutti gli anni, nelle famiglie carraresi si prese l’abitudine, che poi diventò tradizione, di preparare la collana di ballotte e mele, per onorare quel prodigioso miracolo e per ricordare tutti i nostri cari morti, come aveva fatto quella notte, la madre della bambina.
© Foto di Elena Mosti