Il cibo, nel periodo estivo, più che in altri, rappresentava in maniera speculare il territorio.
La produzione orticola familiare era sostenuta da quella più vasta delle zone immediatamente limitrofe, Massa e Sarzana, servizio offerto dalle “ar’v’nduge”, ossia dalle rivenditrici, che vendevano i loro prodotti nella storica “Piazeta”, Piazza delle Erbe. Tra i primi piatti dell’estate prevalevano i “Tajarin ‘nti fasoli”, preparati con il fagiolo bianco avenzino, detto “moscatello” che, negli anni ’60 venne sostituito dal borlotto gigante, detto localmente “badoton”.
Seguivano “i string’on col pist”: una tagliatella sottile simile a grosse stringhe, condita con il pesto alla carrarina, che prevedeva l’impiego di basilico, aglio, noci e pecorino. Il tutto, tritato rigorosamente con la mezzaluna o, per le più pazienti, con il classico mortaio. La versione preparata con la mezzaluna, era preferita al mortaio, perché dava un pesto croccante e ruvido. Una ramina di zinco o una pentola di smalto, piena di basilico, non mancava mai su nessuna finestra del centro storico.
Poi c’era di rito la pomarola , ‘l pancot coi zuchèdi”, pancotto con le zucchine, o “l pan zup o cunz”, pane bagnato con l’acqua, strizzato condito con pomodori, cipolla, porcellana (erba porzèda), olio, aceto, sale: un piatto povero che oggi, ha assunto il nome tipicamente toscano di panzanella.
Sempre con le zucchine cucinate a funghetto, si condivano i “cazalà”: polenta tenera, condita abitualmente anche con sugo di funghi, carne, o semplicemente con olio e formaggio.
Il minestrone estivo prevedeva la rosolatura delle verdure compresi i fiori di zucca, e anche la minestra in brodo di pesce.
La domenica si usava preparare lasagne bianche o verdi con il sugo di coniglio o ragù. Oppure c’erano “i topeti”, ossia gli gnocchi di patate che un tempo si preparavano con sola farina e acqua calda, conosciuti anche con il nome di “macaron al dit, perché scavati con il dito”. C’erano, poi, il risotto con i muscoli, ” i furatedi”, bucatini con il sugo di funghi o di tonno ed infine l’acciugata.
Questa l’atmosfera delle cene sotto il pergolo: le falene impazzite giravano intorno alla lampada. Nell’aria l’odore del fieno maturo, il verso lento dei grilli che si fondeva con il respiro della sera, le lucciole ed il profumo del cibo. Sulla tavola della cena si potevano trovare: frittate di zucchine, di cipolle, di bieta, zucchine ripiene e torta di zucchine, torta di patate, torta di barbe, tipica di Avenza e di Marina. E ancora, tonno sott’olio con fagioli bolliti, cipolle a fette e pomodori, acciughe con patate al forno, cicale fritte o al sugo, muscoli bolliti o ripieni, ranocchi e anguille fritte o in umido. Il venerdì c’era il baccalà marinato o in umido con la bieta, la frittura di barca, i calcinelli con il sugo, le seppie accomodate con la bieta oppure con le patate o i piselli; a volte anche i verdoni o spagnoli arrosto o marinati, e le sardine fritte: tutto pesce che costava molto poco. Gradevoli erano anche le uova con il pomodoro, le polpette sia di patate, sia di bollito tritato, o ricomposto come spezzatino con le patate.
Nei giorni di festa comparivano il coniglio o le cotolette impanate e fritte, insieme alle zucchine e alle barbe di prete, ma anche il pollo in umido con le barbe. Una versione per le cotolette, era quella di metterle in umido con i fagiolini di Sant’Anna, cioè il fagiolino dolico.
Per la festività di Ferragosto, Santa Maria, la tradizione voleva che sulla tavola vi fossero i tordelli, l’anatra con le fagioline bianche, e, come dolce, la torta di riso, che precedeva la chiusura del pranzo con cocomero a volontà.
I contorni dell’estate erano: pomodori, fagioli, fagiolini verdi e di Sant’Anna, cipolle crude e cotte al forno, fagiolini stortini, fiori di zucca fritti, peperoni della nostra zona, poco carnosi e molto piccanti.
Le melanzane erano meno apprezzate e venivano cucinate quasi sempre a funghetto. Ugualmente poco amate erano le zucchine bollite tanto che gli uomini di casa, al loro apparire in tavola, esclamavano rivolti ai figli:” bèlo vam a piar ‘l capot ch a i ho fred”(bello vammi a prendere il cappotto che ho freddo, riferendosi alla convinzione che le zucchine rinfrescassero lo stomaco).
Ciò che la mente ricorda con più nostalgia, delle serate estive passate sotto il pergolo, sono le frittelle, sia di sola farina di grano spolverizzate con sale o zucchero, sia di fiori di zucca o di cipolle, le famose Pote Ar’volte o di baccalà. Il ricordo del loro profumo rappresenta quello dell’infanzia.
Con l’arrivo di settembre si mangiavano i primi fichi e ricompariva la polenta con lo stoccafisso in umido o al forno: mentre l’aria, che diventava fresca e frizzantina, annunciava il prossimo autunno e la festa di San Michele – chi port la merenda ‘n zel – segnava l’accorciamento delle ore di luce delle giornate che causano l’anticipo dell’ora della cena, e, di conseguenza, l’eliminazione della merenda, che andava, appunto in cielo.
Allora il pergolo solitario, ornato dai grappoli giunti a maturazione, attendeva solo la vendemmia ed il sonno invernale, certo che al proprio risveglio avrebbe ritrovato le voci, i rumori ed i profumi del cibo consueti.
© Foto Cristina Maioglio