Per preparare grossi quantitativi di marmellata bisognava attrezzarsi: ed ecco, le serate passate nell’aia di Stabbio mentre sul fokón bollivano i pomodori, le marmellate di fichi, di more o di pesche di vigna, peski spizki. Mio padre ingegnosamente aveva fatto saldare dei piedi di ferro a un grosso bidone, ne aveva foderato l’interno con dell’argilla e praticato un’apertura sul davanti, e dopo averlo dotato di una griglia, aveva ottenuto un utilissimo fuoco fokon, che riempito di carbone coke consentiva, con pochissima spesa, la preparazione e sterilizzazione di marmellate e passate di pomodoro. Quelle erano serate speciali, un’occasione per restare a veglia e socializzare.
L’aia assumeva un’atmosfera incantata, come incantati restavamo noi bambini, nell’ascoltare le storie raccontante dai grandi. Nell’aria il profumo della marmellata e il babbo, vigile, con un grosso cucchiaio di legno provvedeva a girarla affinché non si attaccasse, sulle nostre teste un cielo splendente di stelle e intorno quella serenità, quella pace, che solo le cose semplici e vere sanno donare. Naturalmente il babbo prestava il fokón alle altre famiglie e le belle serate in questo modo si moltiplicavano.
La frutta per la preparazione delle marmellate era a costo zero: avendo la fortuna di abitare in una zona ricca di orti e di vigne, quasi tutti avevano una pianta di fichi o di pesche. La raccolta delle more, poi, era un compito affidato a noi ragazzi. Si partiva in gruppo, con un grosso cesto in cui metterle, armati di una lunga canna che finiva con una specie di forcella atta a catturare le pizède ovvero i lunghi grappoli di more mature. Tutti noi avevamo acquisito nel tempo la capacità di prendere le pizède, quella che in dialetto viene definita la smanikatura. Così, dopo qualche ora, si tornava a casa con due o tre chili more. Con molti graffi, ma soddisfatti per il bottino, perché spesso, presi dalla foga, ci si gettava a corpo morto sulla mazéra, l’ammasso di rovi in cui crescevano le more, senza badare alle spine.
A onor del vero, devo dire che il mio babbo preparava la marmellata di more a uso industriale, partecipando attivamente alla loro raccolta. Si partiva la mattina prestissimo alla volta di Pulica dove avevamo individuato una zona di campi recintati da siepi di rovo, e l’avevamo battezzata Morea, per la quantità di more, anzi di moroni, che lì maturavano. Naturalmente nella raccolta veniamo aiutati dai miei cugini.
Dopo aver consumato la colazione al sacco, si tornava a casa con 15 o 20 chili e più di more dolcissime e mature. La fida Vespa Piaggio 150 del babbo, ci riportava felicemente a casa, dove ci attendeva il rito della preparazione: lavatura, bollitura, passatura ed altra bollitura con lo zucchero. A cottura ultimata, la marmellata veniva versata nelle albanelle di vetro sterilizzate in precedenza con alcool a 90 gradi, sigillate e fatte bollire di nuovo nel pentolone per 40 minuti, il tempo richiesto per la sterilizzazione. Una volta fredde, alle albanelle veniva incollata l’etichetta di carta a quadretti che riportava la data di preparazione e il tipo di frutta utilizzata.
A quel tempo non esistevano ancora né le merendine, né la Nutella: la merenda dei ragazzi era rappresentata da una fetta di pane con olio e sale, olio e aceto, pomodoro, o anche olio e un pizzico di zucchero. La merenda con pane e marmellata rappresentava una vera e propria golosità che addolciva non solo il palato, ma anche i freddi pomeriggi invernali, riportando, nel gusto, i sapori e i profumi intensi dell’estate.
Ricetta per la marmellata di more
Ingredienti
1 kg di more – 700 g di zucchero – il succo di un linone.
Preparazione
Lavate con cura le more. Se non si è provveduto durante la raccolta, togliere il picciolo ancora presente, versarle in una capace pentola e metterle a bollire con mezzo bicchiere d’acqua, a fuoco vivace, per un quarto d’ora. Dopo averle fatte raffreddare, passarle al setaccio o al passaverdura, utilizzare il disco a fori piccoli per eliminare i semini (chi possiede il mixer, può dare una bella frullata in modo da agevolare l’operazione). Rimettere in pentola la polpa ottenuta, aggiungendo il succo di limone e lo zucchero. Far bollire a fuoco lento per circa 90 minuti mescolando spesso. Ogni tanto schiumare con la mestola forata per eliminare il residuo che emergerà in superficie. Quando il composto avrà raggiunto la giusta consistenza (versarne un cucchiaino sopra un piattino per saggiarne la solidità) spegnere la fiamma e lasciare a riposo per 10 minuti. Intanto preparare i vasetti di vetro ben lavati con acqua calda e scolati ben bene.
In famiglia abbiamo sempre utilizzato questo metodo: dopo aver sterilizzato i vasi di vetro con dell’alcool a 90 gradi, si riempiono fino al bordo, si ripuliscono da eventuali sbavature e si chiudono ben bene i coperchi poi, dopo aver posizionato un canovaccio sul fondo di una grossa pentola, si distribuiscono i vasetti pieni di marmellata sul fondo, si ricoprono con acqua fredda, e si mettono sulla fiamma e, dal momento del bollore si lasciano sterilizzare per 40 minuti. Si lasciano raffreddare e poi si estraggono i vasetti di marmellata per metterli al riparo in un luogo fresco e buio. In casa, abbiamo utilizzato la marmellata preparata in questo modo anche dopo due o tre anni e, meraviglia delle meraviglie, ha sempre mantenuto tutta la sua fragranza come fosse stata appena preparata. C’è chi invece usa questo metodo: riempie i vasetti quasi completamente lasciando solo 1-2 centimetri d’aria. Ripulisce se necessario i bordi e chiude i coperchi. Capovolgere i vasi, li copre con una coperta di lana o tessuto di pile e lascia raffreddare la marmellata poi la ripone in luogo fresco e buio.
© Foto di Cristina Maioglio