Ecco, non confondiamoci: quando propongo alla compagnia un’escursione sul monte Cavallo, non intendo il bel massiccio delle Apuane settentrionali, che con le sue caratteristiche gobbe che svettano a 1895 metri sovrasta le valli di Forno, bensì il più modesto, omonimo, monte conosciuto anche come Cavallino di Azzano che con i suoi 1021 metri di quota offre comunque spettacolari panorami.
Stavolta si uniscono anche i due amici che avevamo conosciuto sul monte Pelato. Appuntamento all’ampio parcheggio del Palazzo Mediceo di Seravezza, dove ci ritroviamo puntuali e poi: via, lungo la strada tortuosa che ci porterà ad Azzano.
Superata la località La Cappella, con la sua bella Pieve di San Martino, giungiamo in paese a quota 452, una comunità di circa 400 abitanti posta su un dolce declivio del monte Cavallo e sovrastante la vallata del torrente Serra dominata dall’imponente mole del Monte Altissimo.
Qui, un tempo, l’attività principale era la coltivazione del castagno che, grazie all’abile lavoro dei “segantini”, forniva travi e tavolame per le costruzioni del Capitanato di Pietrasanta, oltre, beninteso, alle carbonaie che rifornivano del loro prezioso prodotto le popolazioni della piana sottostante. L’apertura, nella prima metà dell’ottocento, delle cave del Monte Altissimo, con i loro splendidi marmi statuari ed arabescati, dette al paese un notevole impulso arrivando ad avere fino ad 800 abitanti che, abbandonata l’attività boschiva, si dedicarono a quella estrattiva diventandone maestri.
Parcheggiamo con un incredibile colpo di fortuna, nell’unico posto ancora disponibile antistante la chiesa di San Michele Arcangelo, che risale al XIII secolo e, subito sulla destra, troviamo le indicazioni per il sentiero CAI n° 142 ex 31 che porta alle cave delle Cervaiole.
Il sentiero, una volta lasciato l’abitato, s’inoltra ripido in un folto bosco di castagni secolari alternando tratti di falsopiano, pochi, a tratti di decisa salita; esso è comunque ben largo e segnalato e, da alcuni squarci fra la vegetazione, si può osservare il crinale della sponda opposta della vallata che va dal monte Folgorito, al mone Carchio ed ai passi della Focoraccia, del Pitone e della Greppia per risalire fino agli Uncini. In poco meno di un’ora arriviamo in località La Fornace che prende il nome da una grossa costruzione tronco conica, ormai in pessimo stato, una volta usata come calchera per arroventare le pietre carbonatiche e trasformarle in calce viva, dalla quale si ricavava poi la calce spenta che veniva utilizzata per fare la malta per l’edilizia.
Abbandoniamo il sentiero CAI per seguire, sulla destra il sentiero SAV (Sentieri Alta Versilia) che conduce all’abitato di Minazzana; si prosegue, fra il fruscio delle foglie di castagno cadute in abbondanza, fino a superare un ponticello in legno che scavalca il canale Botro di Pionico, che vien giù da sinistra, ad incontrare poi una struttura per la captazione delle acque con di fianco un tavolo per le soste e sotto un abbeveratoio.
Poco più avanti, sempre sulla sinistra, ecco un ometto che indica la traccia per salire alla vetta; dunque su per questo ripido sentiero che mal si distingue fra il fogliame, fortunatamente, una serie di ometti ci mantiene sulla giusta via.
Superato il bosco ci inoltriamo in una costa priva di alberi ma infestata da una selva di alte felci, fortunatamente secche, che però nascondono ogni traccia e rendono difficoltoso il cammino. La cresta del monte è però ben visibile per cui non ci resta che risalire, non senza fatica, fino ad incontrare il fitto paleo superato il quale siamo finalmente sul bel crinale roccioso.
Ci arrampichiamo con l’uso delle mani su divertenti passaggi di roccia, fra spinose ginestre selvatiche e rami di biancospino non meno pungenti, fino ad arrivare, dopo circa tre ore dalla partenza, all’antecima, dove ci rifocilliamo, anche perché sulla non spaziosa cima vera e propria c’è una numerosa compagnia di altri escursionisti.
Il panorama attorno a noi è veramente mozzafiato: la cresta che va dal Folgorito all’Altissimo, dietro di essa il golfo di La Spezia ed il Monte Sagro quindi il Fiocca, il Sumbra, il Freddone, le Panie e tutte le Apuane meridionali giù giù fino ad incontrare di nuovo il mare.
Ora che non c’è più nessuno possiamo salire sulla vetta scendendo dall’antecima e risalendo con passaggi leggermente esposti; conquistata la vetta e fatte le foto di rito non ci resta che prendere la via del ritorno. Fortunatamente nella zona delle felci troviamo una labile, ma scivolosa, traccia, seguendo la quale, in poco tempo e con qualche ruzzolone siamo di nuovo al bosco dove ritroviamo il ripido cammino dell’andata che ci porta al sentiero SAV.
Pieghiamo a sinistra verso Minazzana lungo il sentiero che si apre fra stipe e ginestre selvatiche, lasciando intravvedere in basso i tetti di Azzano; c’è poi un tratto che un tempo doveva essere protetto da ringhiere in legno, ma di cui restano soltanto i paletti d’acciaio fissati a terra, alcuni scivolosi gradini scavati nella roccia e poi si prosegue di nuovo nel bosco fino ad incontrare il bivio con il sentiero che, sulla destra, scende senza alcuna difficoltà ed in mezz’ora di cammino ci riporta al punto di partenza.
Ormai siamo prossimi all’imbrunire, abbiamo camminato per oltre cinque ore penso che la merenda che ci attende a casa sia più che meritata.