Fra le centinaia di grotte, forre, buche, pozzi ed orridi che caratterizzano le Apuane, forse, la Grotta all’Onda è quella che ha offerto agli archeologi le più importanti testimonianze di frequentazione umana a partire dall’Uomo di Neanderthal, quindi dell’Homo Sapiens, fino ai pastori ed agricoltori del Neolitico ed al successivo Eneolitico ovvero l’età del rame. Bene, vale proprio la pena di andare a dare un’occhiata.
Partiamo dunque di buon mattino: il nostro cane Pluto appena visti gli zaini si è fiondato in macchina, e ci avviamo verso Camaiore, l’antica Campus Maior di epoca romana; oggi nella cittadina c’è la Fiera di Ognissanti, una delle più importanti ed antiche della Toscana, risale infatti al 1477, ed ha una durata di tre giorni.
Dobbiamo pertanto fare un po’ di deviazioni per dirigerci verso Casoli, un ridente paesino posto in zona collinare a quota 378 metri, famoso per i suoi graffiti realizzati sui muri delle case da artisti e studenti della scuola d’arte. Da qui, proseguiamo verso Trescolli a quota 600 dove, una volta parcheggiata le macchina, troviamo, dopo un breve tratto di asfalto, una deviazione per Grotta all’Onda che ignoriamo, perché quello sarà in nostro punto di ritorno.
Ancora un pezzetto di strada asfaltata ed eccoci all’inizio del Sentiero CAI n° 106 che s’inerpica fra le rocce in un bosco di lecci. A pochi minuti dalla partenza incontriamo, sulla sinistra, una croce di notevoli dimensioni e più avanti, dopo una ventina di minuti, un grande muro a secco che sorregge un terrapieno; lo aggiriamo sulla destra per arrivare alla Foce di San Rocchino a quota 801 con la sua bella e modesta chiesetta.
Avanti a destra, sul sentiero a doppia numerazione, 3 e 121, che prosegue abbastanza pianeggiante costeggiando un bell’agriturismo, oggi molto frequentato. Da qui la vista si apre sul lago di Massaciuccoli, tanto caro a Giacomo Puccini, e sul mare. Di nuovo nel bosco con il sentiero sempre ben segnalato che sale leggermente fino ad arrivare alla Foce di Grattaculo a quota 839.
Il vocabolario Treccani così recita: Grattaculo nome popolare del falso frutto della rosa canina; ora sembra che questa pianta dai frutti rossi ed asprigni abbondasse un tempo lungo il sentiero che va da San Rocchino alla Foce e che gli ignari viandanti fossero adusi a consumarne in quantità per dissetarsi, avvertendo però dopo pochi minuti, giusto il tempo per arrivare alla foce, un fastidioso prurito, non dico dove, provocato dai frutti ingeriti; da qui l’insolito nome. Poiché non abbiamo fatto uso di tali bacche, proseguiamo senza problemi sul sentiero n° 3 che si stacca a destra; avanti ancora risalendo in quota ai 900 metri, fino a trovare un quadrivio.
Qui abbandoniamo il sentiero 3 e pieghiamo a destra seguendo con il GPS una traccia che scende rapidamente a quota 720, dove incontriamo un nuovo sentiero, non segnato, che ci porterà alla meta, non senza aver trovato prima alcune decine di bei funghi di cui accerteremo a casa la commestibilità. Pluto sparisce, deve aver fiutato qualcosa. Poco dopo due splendidi caprioli ci passano davanti come fulmini; mentre risalgono il bosco sembrano volare vanamente inseguiti dal cane che ancora una volta ritorna ansimante e deluso.
Ci siamo: davanti a noi si erge la parete maestosa dei contrafforti del monte Matanna; la parete è aggettata verso l’esterno e da alcuni fori naturali della tecchia sgrondano cascatelle d’acqua; ancora poche decine di metri ed eccoci alla grotta, una grossa cavità larga quaranta metri, profonda una sessantina e non più alta di tre.
Fu esplorata la prima volta nel 1867, in seguito, ci furono numerose altre esplorazioni sempre degne di maggior interesse, fino ad arrivare ad uno strato con reperti risalenti a circa 40 mila anni fa.
Guardando la montagna di profilo, essa precipita a strapiombo, ma ad un tratto la verticalità s’interrompe per formare una specie di onda pietrificata che sovrasta tutto il fronte della caverna; ecco spiegata l’origine del nome.
Breve sosta per rifocillarci sui massi antistanti l’ingresso della grotta, per poi incamminarci sulla via del ritorno; scendiamo ancora per tracce lungo il torrente formato dalle cascatelle che sgorgano dalla roccia e ci addentriamo in un bosco di castagni fino ad arrivare al Prato del Pallone a quota 550.
Qui nell’agosto del 1910 fu inaugurata la stazione di partenza dell’aerostato “Rosetta”, un pallone frenato del diametro di 14 metri in grado di trasportare sei viaggiatori oltre al comandante. I turisti, fra i quali si annovera il re del Belgio Alberto I con famiglia e seguito, venivano prelevati alla stazione di Viareggio, quindi portati in carrozza fino a Candalla, e da qui, a dorso di mulo o in portantina, fino alla stazione per proseguire, via aerea nell’emozionante salita fino a quota 1100, all’attuale Foce del Pallone .
Alla stazione d’arrivo una carrozza trasportava gli incliti ospiti fino all’Albergo Alto Matanna, tutt’ora esistente.Purtroppo pochi mesi dopo, nel febbraio del 1911, una tremenda tempesta si abbatté nella zona distruggendo tutto in una notte; oggi sul posto resta soltanto la base di partenza del pallone transennata con catene dell’epoca.
Ripartiamo e dopo circa un chilometro risaliamo a quota 650 fino ad incontrare un ameno stradello che corre su una gora coperta, proveniente da monte e passa sopra l’abitato di Mezzana, fra prati illuminati dalla luce del pomeriggio che mette in risalto il verde smeraldo dell’erba. In poco più di venti minuti siamo di nuovo sulla strada asfaltata, ancora un pezzo di sentiero nel bosco e finalmente arriviamo alla macchina.
Oggi sette chilometri e mezzo, quattro ore di cammino e 450 metri di dislivello; è superfluo dire che un’ora dopo siamo con le gambe sotto il tavolo a consumare il rituale spuntino.