Finalmente, dopo settimane, ha smesso di piovere e così è possibile ricominciare a camminare un po’ sulle nostre montagne. Questa volta però, forse per un eccesso di cautela dovuta alle piogge incessanti dei giorni scorsi, decidiamo di stare bassi ed allora: che c’è di meglio del Viottolo delle miniere? Sulla carta sembra un percorso tranquillo, da pensionati insomma, proprio adatto a me che da venti giorni non mi muovo. Si tratta in effetti del Sentiero CAI n° 156 ex 41 che, partendo da Borgo del Ponte arriva a Canevara, per proseguire poi per Antona, Rifugio Città di Massa, Passo del Fratino ed arrivare alle Gobbie. Noi percorreremo il primo tratto che peraltro è anche la parte terminale dell’ultima tappa della Via Vandelli per gli escursionisti provenienti da Modena.
Partiamo dunque da Massa, ma, anziché dirigerci verso il Borgo del Ponte, dove quasi sicuramente sarà difficile parcheggiare, imbocchiamo il ponte Trieste alla fine del quale, sulla destra, troviamo la via del Rotino che percorriamo per cinquecento metri fino allo spiazzo antistante l’ingresso della villa “La Cuncia”. La villa fu costruita sulla sponda destra del fiume Frigido nel 1577 per volere del principe Alberico I, che, qui, amava ristorarsi con battute di caccia e pesca. La villa era unita al Borgo, appunto, da un ponte ben raffigurato nelle vedute di fine 1500 ed era contornata da un vasto terreno ricco di viti, alberi da frutto ed agrumi. Deve il suo nome al fatto che nella zona a quel tempo esisteva una fiorente attività di concerie. Oggi la villa, sede di una azienda agricola di proprietà privata, è stata accuratamente restaurata e nei suoi giardini vi sono tutt’ora circa duemila piante di limoni e mille piante di aranci.
Bene, partiamo, siamo la solita compagnia, con l’inseparabile cane Pluto; oggi cammino spedito e mi sento particolarmente leggero fino a quando qualcuno mi fa notare che ho lasciato lo zaino vicino alla macchina…o sarà l’età?
Saliamo per via Fossa Cieca e dopo paco ci inoltriamo nel Viottolo vero e proprio, che, un tempo, portava alle miniere di pirite che abbondavano su questi monti. Il sentiero costeggia, in un continuo saliscendi, la riva destra del fiume che, oggi, a causa delle recenti piogge, scorre particolarmente impetuoso.
Ben presto si comincia a sudare: l’umidità del bosco, quella che sale dal fiume, la temperatura ben al di sopra della media, nonché la presenza di fastidiose zanzare danno più l’impressione di essere in una foresta amazzonica anziché a pochi passi dalla città.
Tutto comunque procede per il meglio, si va avanti spediti su un tappeto di cardi, castagne, olive cadute da vecchi alberi di terreni, una volta, rigogliosi, ma ormai completamente abbandonati e lunghi aculei di porcospino sparsi qua e là; poi un grosso tronco abbattuto dalle recenti piogge ci costringe ad una gimcana fra rovi e sterpaglie.
Da qui il bosco si trasforma in un fitto lecceto, dal cui humus ecco spuntare tre esemplari di steccherino dorato, detto anche gallinaccio spinoso (Hidnum repandum), un fungo molto apprezzato, col quale si possono fare ottimi risotti.
La camminata spedita ora si trasforma in una lenta ricerca di funghi, che viene premiata da altri steccherini e da una bella distesa di gallinacci (cantarellus cibarius) ancora più pregiati; proseguiamo in continui saliscendi, ai margini del sentiero incontriamo dei vecchi reggipali della SIP in cemento, che portavano un tempo le linee telefoniche per i paesini a monte, oggi sostituite da un cavo interrato sulla strada che corre dall’altra parte del fiume.
Si precede con cautela in un tratto di rocce umide e molto scivolose, fortunatamente ben attrezzato con corde e catene che rendono più sicuro il cammino; poi il sentiero scende deciso verso il fiume ad incontrare La Casetta ed i primi terreni ancora coltivati in prossimità del paese di Canevara, a quota 100 metri, dove giungiamo dopo due ore dalla partenza, ricerca di funghi compresa.
Qui troviamo le indicazioni per il sentiero di ritorno che dovrebbe portarci a Lavacchio, una piccola frazione sulle colline prospicenti la città, ma, con nostro sommo disappunto, lo troviamo invaso da una foresta di fitti rovi che, non essendo noi di machete o roncole muniti, ci impediscono di proseguire.
Torniamo indietro? Neppure per idea! Decidiamo di risalire fino al Santo, un gruppo di case, a quota 300 metri, dal quale parte un altro sentiero più a monte che ci porterà a Bargana, un’ altra frazione sopra Lavacchio.
Davanti a noi ecco due gatti e Pluto, insensibile ai nostri richiami, parte come un razzo all’inseguimento: i gatti in fuga, con una tattica eccellente, si separano e Pluto resta sconcertato, corre di qua e di là, ma presto capisce che i gatti lo hanno fregato e torna indietro con le pive nel sacco.
Il sentiero è in effetti una strada asfaltata che s’inoltra in un bel bosco, per trasformarsi poi in una carrareccia dove troviamo altri gallinacci. Ancora un albero abbattuto ed altra gimcana, poi un bel pianoro e, all’ombra di un castagno secolare, ci fermiamo per rifocillarci. Prima di ripartire raccogliamo un sacchetto di belle e lucide castagne cadute in quantità nei giorni scorsi. La carrareccia si trasforma in un sentiero ben tracciato che si snoda ora fra stipe, corbezzoli e pini fino ad incontrare, sulla sinistra, la pista per ciclocross denominata Ciuffo Luppo che ci riporta, dopo una ripida discesa, al sentiero per Lavacchio.
Ancora venti minuti di cammino ed eccoci sulla strada asfaltata sopra l’abitato di Lavacchio; scendiamo giù fino a Castagnetola e attraverso vecchie stradine ritroviamo la via Fossa Cieca che in breve ci riporta, dopo cinque ore dalla partenza, soste comprese, e circa dieci chilometri di cammino all’ingresso della villa La Cuncia da dove eravamo partiti.
A casa ci attendono, per la merenda d’obbligo, le solite acciughe, una provola lungamente stagionata ed un gruyere che si scioglie in bocca.