seconda e ultima parte
Sorrido al pensiero che Andrea non sapesse nulla della tua malattia…
Io pensavo che lo sapesse, invece, quando mi ha chiamato per la gara ne era totalmente ignaro.
Mi hai già detto che gli obiettivi di ieri non sono più quelli di oggi, ma come è cambiato il tuo modo di correre?
Dal punto di vista meccanico è completamente cambiata, perché non ho molta coordinazione, ho un assetto completamente diverso perché la gamba sinistra “va un po’ per conto suo” e l’appoggio dei piedi non è efficiente nella spinta, per cui ho una corsa sbilenca, stanca e lenta, rispetto a prima della malattia quando mi allacciavo le scarpe e volavo. Non nego che per pochi attimi vengo pervasa da un sanso di frustrazione mista a rabbia, quando parto e le mie gambe non ne vogliono sapere mentre la mia testa ben si ricorda quella sensazione di leggerezza , di velocità di armonia non appena partivo nei boschi. Ma pochi attimi dopo, questa sensazione viene sopraffatta dalla voglia di vita e di libertà che la corsa mi dà, e che a maggior ragione mi regala ora.
Spesso di fronte a tali malattie ci si chiede sempre perché a me? Perché il Signore mi ha fatto questo? Ecco, tu sei religiosa? Hai mai pensato di incolpare qualcuno o qualcosa di questa situazione?
Non sono religiosa, ma non gli chiudo nemmeno le porte in faccia, non si sa mai nella vita. Potrei incolpare quasi me stessa perché, involontariamente, mi sono maltrattata per molto tempo, facendo mille cose tra studio, sport, lavoro, dormendo molto poco e non rispettando, nè ascoltando i mille segnali che il mio corpo mi stava dando. Tornando indietro, ricordo bene tutte le richieste di aiuto di quel poveretto, che non ho ascoltato, perché la testa lo ha sempre spinto oltre, facendolo uscire vincente, fino alla rottura.
A proposito, che studi hai fatto?
Ho fatto il Liceo classico e poi mi sono laureata in Scienze naturali. La tesi triennale l’ho fatta sulle api, insetti meravigliosi da cui dovremmo imparare tanto. Ho fatto uno studio sui sistemi difensivi delle api dagli attacchi dei calabroni, “flagello dell’apicoltura”, scoprendo il potere eccezionale di questi insetti. Amo il loro magico mondo, ho avuto modo di osservare quotidianamente la loro vita frenetica e operosa ,di curarle e raccogliere il frutto del loro lavoro, il miele. Per la tesi specialistica sono stata in Malesia per 1 mese e mezzo, in mezzo alla foresta, per fare uno studio comparato sul sistema difensivo di varie specie di vespe. Un’esperienza straordinaria in una realtà quasi surreale, tra suoni, colori, profumi, animali e frutti di ogni forma e pericolosità. Ora gestisco un agriturismo vicino a Rignano sull’Arno, certo non faccio un lavoro che sfrutti i miei studi ma mi piace perché sono a contatto con le persone, tante sono straniere e poi vivo in piena campagna, l’unico ambiente che considero casa.
Come sei arrivata ad una pratica sportiva così impegnativa come lo Sky running?
Sono nata e cresciuta in campagna, senza televisione, fra campi e boschi, giocando all’aperto con il sole e con la pioggia. Ho sempre fatto sport, iniziando con la pallavolo dalle scuole elementari, in una squadra che faceva un campionato regolare, arrivando ai tempi del liceo in serie C1. Ovviamente mi impegnava moltissimo e facendo il liceo classico non era compatibile con la mole di studio che dovevo affrontare. Fra le lacrime ho abbandonato la pallavolo a livello agonistico, ritenendo lo studio più importante, ma anche in quel frangente non ho smesso di muovermi e nelle mie mille ore di studio matto e disperato, facevo la peripatetica nei boschi, insegnando agli alberi la letteratura e la grammatica greca e latina. Quando sono arrivata all’università il mio ragazzo di allora, mi disse: perché non inizi a correre? E cosi ho cominciato coi miei primi due chilometri e da lì non mi sono più fermata. Sempre lui mi propose di partecipare insieme a lui ad un evento goliardico chiamato “OCR ,obstacle course race” gara podistica con ostacoli naturali e artificiali (tipo percorso da addestramento militare per intendersi. Vinsi quella gara e iniziai a fare il campionato, vincendo per due anni di fila. Un giorno partecipando ad una gara goliardica a Firenze , la famosa “Drink and Run”(che vi consiglio di provare almeno una volta!) dove ai ristori esiste solo birra perché l’acqua fa ruggine, una ragazza, mia futura compagna di squadra mi ha chiesto perchè non andassi a correre in montagna. Non sapevo neppure dell’esistenza di un tale sport, e presa dall’entusiasmo andai con lei a correre il Winter trail del Senio, vincendola e facendo il record del percorso. E da quel giorno mi sono innamorata del trail running e ho mollato le OCR . Ho cominciato a gareggiare, arrivando spesso a podio. Nonostante ricevessi proposte da squadre e sponsor, inizialmente ho sempre rifiutato perche volevo continuare a correre, seguendo solo la mia passione, la mia testa, il mio corpo ,senza vincoli , senza dover per forza ottenere risultati o fare gare richieste. Non volevo neppure un allenatore che bloccasse il mio estro mattutino con tabelle e tempistiche da seguire, ma volevo semplicemente alzarmi la mattina e fare quello che volevano la mie gambe (molto spesso troppi chilometri).
Ma in seguito hai accettato di essere allenata da un professionista…
Sì, alla fine è arrivato Giovanni Zorn (Presidente dell’associazione Mugello Outdoor, n.d.r.) l’unico da cui mi sono voluta far allenare. Lui dice che ha visto in me qualcosa, e capendo le mie esigenze e rispettando la mia natura un po’ ribelle, mi ha allenata portandomi ad avere dei risultati importanti, in gare meravigliose che porto sempre nel cuore. Mi dava degli allenamenti vicini alle mie richieste, al mio senso di libertà per fare chilometri costruttivi. Ho cominciato a fare gare mondiali, finchè non mi ha chiamata Asics, facendomi diventare una sua atleta. Dopo la diagnosi li ho chiamati spiegando loro che, purtroppo, con questa malattia non avrei potuto assicurare la mia competitività a livello atletico e sicuramente non avrei potuto rispettare il calendario gare richiesto da contratto, ma che io non avrei comunque smesso di correre. ASICS per me è sempre stata un Team, una famiglia, un supporto, non solo tecnico, ma soprattutto psicologico, e anche quella volta fu incredibile. Mi ricordo ancora le parole: “Ginevra , tu fai parte di questa famiglia, la malattia non cancella la persona che sei e il messaggio che tu mandi alle persone mentre corri. Inizia le cure e fai con noi la gare che puoi fare. Rimasi nella squadra ASICS Trail per due anni, poi la situazione è peggiorata e non volendo lasciare quel modo e quella famiglia, ho fatto l’Application per diventare ASICS FrontRunner. Quella degli ASICS FrontRunner è una realtà dove è sempre presente il concetto su cui si fonda ASICS, di “mens sana in corpore sano”, ma non per forza è necessario gareggiare. Siamo un Team composto da persone estremamente diverse, c’è chi corre e vince, c’è chi corre mille mila chilometri, chi corre per svagare la mente, c’è chi corre perché è come il caffè la mattina…non importa come corri, dove e quanti chilometri fai, conta allacciarsi le scarpe, muovere il corpo e liberare la mente. La corsa come stile di vita, la corsa come condivisione. Concetto che oggi, più di ieri sposo di cuore . Non importa quanto vai veloce o come arrivi, l’importante è liberare la mente.”
Motivazioni a parte, credo ci voglia un allenamento particolare per questo tipo di gare…
Naturalmente non ci si può alzare la mattina e partire per fare una gara come la Lunigiana SkyRace: ci vuole un’allenamento specifico. Quando riesco, corro, altrimenti vado in mountain bike o in bicicletta, ho necessità di far muovere il corpo, necessità psicologica oltre che fisica. Mente e corpo sempre attivi.
È davvero incredibile il tuo approccio alla malattia…
Ognuno di fronte alla malattia ha reazioni diverse. Io sono riuscita a fermarmi a riflettere e realizzare che abbiamo una vita sola, e di fronte a certe situazioni che ti sembrano irrisolvibili, puoi scegliere come reagire e come affrontarle. Si ho deciso che posso scegliere di essere felice, anche se ad esempio non posso più volare sui sentieri a strapiombo sul Monte Bianco, posso ancora ogni giorno allacciarmi le scarpe e fare la mia corsa nel bosco, e quando l’ho finita, guardo la montagna e non le dico addio, ma arrivederci, perché chissà…
Che cosa ti dà la forza di affrontare tutto?
Una cosa fondamentale sono le persone che decidi di avere vicino. Puoi essere sola ad avere un problema, ma non sola ad affrontarlo. Bisogna contornarsi di persone valide, di cui ci si possa fidare, che ci sono sempre anche solo con un abbraccio o con un pensiero, perché tutto contribuisce a far trovare la forza per aggirare il muro, se non riesci a scavalcarlo e riuscire lo stesso a vedere cosa arriva dall’insegnamento nella malattia. Se la accetti, la prendi per mano e non le permetti mai di passarti avanti, riesci a fare cose che magari la gente ti chiede ‘ma, come fai?’. Io non mi meraviglio di quello che faccio, perché è semplicemente vivere la mia vita. Gioisco perché riesco a fare qualcosa e se non ci riesco oggi, non importa ci riprovo domani.
Hai dei progetti per il futuro?
Dopo la diagnosi vivo molto intensamente il presente a livello di giornata, perché non so domani come sarà, quindi, con la testa sulle spalle. Non penso troppo al futuro, ma penso soprattutto al “qui e ora”. Come progetti di vita, sto bene come sto, non ho intenzione di smettere di correre e vorrei sempre continuare ad avere un lavoro ed una vita molto interattiva con persone di lingue e culture diverse ed avere sempre al mio fianco amicizie vere che mi diano vita, rispetto, appoggio e che mi vedano sempre come la solita Ginevra e non Ginevra con la sclerosi multipla. Perchè, sì, la malattia c’è, ma io malata non mi ci sento. Mi piacerebbe avere una famiglia, non è incompatibile con la malattia, sicuramente ci possono essere delle difficoltà date dalle terapie molto forti.
Ho letto il tuo messaggio pubblicato su Instagram, di grande impatto…
Mi sono emozionata quando Andrea mi ha chiesto di pubblicarlo, io avevo semplicemente voluto raccontargli del mio viaggio e di come l’ho vissuto, renderlo partecipe dell’importanza di quel mio traguardo e ringraziarlo per avermi invitato perché il merito di tutto questo era anche suo e di tutta l’organizzazione. Pensa che, mentre gli scrivevo quel messaggio, pensavo che lui sapesse già della mia malattia. Quando mi ha chiamato praticamente piangendo dall’emozione, ho capito che il mio racconto poteva essere un punto di forza per persone che magari, ancora, non hanno trovato il modo di reagire. A volte basta guardarsi dentro e la forza la trovi, devi solo crederci, provare, buttarti e passo dopo passo, caduta dopo caduta, ti ritrovi magicamente con il sorriso, e allora capisci che puoi essere felice, perché non permetti alla malattia di rubarti la vita. E il modo più naturale e spontaneo per trasmettere è stato proprio il gesto di Andrea di voler pubblicare la storia che io, in privato, gli avevo raccontato.
Cosa vorresti dire a chi legge questa tue parole?
Una cosa che ritengo importante. Bisogna sapersi prendere in giro, anche con la malattia, bisogna saperci scherzare sopra. Come ho già detto io non mi sento malata, ho una compagna di vita scomoda, è vero, devo fare delle cure pesanti e quando corro e cado è per colpa sua, so che lei è sempre accanto a me. Però non mi lascio sopraffare, imparo a conviverci ogni giorno.
Non saprei cosa altro aggiungere a ciò che ci siamo detti io e Ginevra, una ragazza come tante altre, con un viso che si può tranquillamente incontrare tutti i giorni per strada, sull’autobus, al supermercato. Una ragazza che, però, ha una voglia di vivere ed una forza d’animo talmente dirompente e coinvolgente che è difficile starle accanto, perché ogni piccolo problema di tutti i giorni, che a noi sembra insormontabile, svanisce di fronte alla sua voglia di affrontare il destino, alla tenacia ma anche alla gioia che letteralmente sprizza dai suoi occhi. Ho voluto fortemente raccontarvi la sua storia, attraverso le sue stesse parole, perchè altrimenti tutto sarebbe parso come costruito, artefatto, una storia imbellettata ad arte per piacere e, come ho detto all’inizio, cinicamente per “comprarmi” i lettori. La vita a volte ci fa incontrare delle persone, senza darci troppe spiegazioni, solo perché quello, a suo parere, era il momento giusto per farlo per cui non dobbiamo farci troppe domande. Da qualche parte una spiegazione c’è, ma non dobbiamo affannarci a trovarla. Per cui, fedele a quanto ho appena detto, non mi chiedo il motivo per cui l’abbia incontrata, mi accontento di ciò che ha potuto insegnarmi e che io spero di aver trasmesso a chi mi ha seguito fin qui. Soprattutto, come lei stessa ha detto, devo ricordarmi di non aver conosciuto Ginevra con la sclerosi, ma semplicemente Ginevra.