prima parte
Tempo fa vi avevo raccontato la storia di un sogno diventato realtà, grazie alla ferrea volontà di due amici, amanti della corsa e della montagna, convinti che grazie allo sport si sarebbe potuto dare lustro ad una terra tanto bella e poco conosciuta come la Lunigiana. Ricordate? È la storia della Lunigiana Sky Race, la corsa durante la quale gli atleti, nel tratto più alto del loro percorso, vanno letteralmente a toccare il cielo con le dita. Una storia di perseveranza, di coraggio, di sforzo portato all’estremo per raggiungere più di ciò che una normale gara di atletica può regalare. È però anche una di quelle storie che, come le uova di Pasqua, possono nascondere una meravigliosa sorpresa all’interno e siccome le cose belle chiamano altre cose belle, ecco che a manifestazione terminata, quando si cominciano a fare i conti con le emozioni che ognuno dei partecipanti ha provato e mette a disposizione degli altri, sul profilo ufficiale della Lunigiana Sky Race su Instagram compare un messaggio che non posso evitare di riproporre per intero: “Era il 4 giugno e mi vedo arrivare una mail che inizia così: “Ciao Ginevra, stiamo organizzando la Lunigiana Skyrace (45 km D+ 2500 m), una gara di trail running in un territorio selvaggio ed antichissimo! Il 28 settembre si terrà l’edizione zero, una gara solo ad inviti e ci farebbe piacere averti..” La mia mente si accende e subito do conferma della mia presenza in prima linea, spiegando però ad Andrea e Domingo che non saprò se come e per quanti km riuscirò a correre, questo lo decideranno le mie gambe la mattina stessa, ma cascasse il mondo ci sarei stata! E così questo 28 settembre ero lì, in quella piazzetta di Fivizzano che profuma di storia, pronta a partire al nono rintocco delle campane, senza sapere né come, né fino a dove avrebbero corso le mie gambe, ma con in testa il sogno di arrivare almeno a punta la Nuda in soli 19 km di pura salita! Ebbene sì, insieme ad un angelo di nome Elisabetta (alias Mela), le mie gambe sbilenche e la mia testa dura mi hanno fatto toccare il cielo con un dito in vetta alla Nuda, mi hanno fatto sognare su tutto il crinale selvaggio e roccioso, ed esplodere di gioia sotto l’arco dell’arrivo, fra gli abbracci di persone VERE. Ho avuto l’onore di portare fino al traguardo dell’edizione zero della Lunigiana Sky race la mia compagna di vita, che porta il nome di Sclerosi Multipla (Sua Maestà come la chiama la mia amica maratoneta Marilù anche lei “sclerata”)..una presenza costante, scomoda, invadente, debilitante, che tenta ogni volta di bloccarmi le gambe, le braccia ,il respiro ma non la testa, quella no, decido io come usarla. E così, passo dopo passo, tra cadute, risate, sorrisi e saluti ai volontari, ho lasciato che Sua Meastà calmasse la sua furia, ho ascoltato cosa il mio corpo fosse capace di fare in quel momento…senza forzare l’ho presa per mano per tutti e 45 i km e sono volata a godermi il traguardo. Sclerosi Multipla, una parola che fa paura, una malattia che non guarisce, che degenera, che porta disabilità, che viene cercata di tenere sotto controllo da terapie devastanti, si la sclerosi multipla è tutto questo e molto altro, ma si può scegliere come reagire di fronte ad un muro che sembra invalicabile…e io ho scelto la VITA. Oggi sono arrivata al traguardo e no, non ho vinto la Lunigiana SkyRace, ma oggi ho vinto una giornata di pura vita. Grazie Andrea e Domingo questa emozione è pure vostra. La sclerosi multipla l’ho incontrata correndo, quella volta mi ha fatto cadere talmente forte che mi ha fermata, ma appena l’ho conosciuta la mia mente si è fermata per una manciata di minuti, ha resettato tutto e ha detto bene, da ora inizia il mio tostissimo ma bellissima Ultratrail lungo una intera vita, e me lo voglio vivere tutto, a pieno, e sulle mie gambe! Scegliete di essere forti, di ascoltarvi, di non fermarvi, imparate a vivere ogni giorno senza rinunciare ad essere voi stessi, senza rinunciare a ciò che vi fa sentire vivi. Io di correre non smetterò mai.”.
A scriverlo è stata Ginevra Cusseau, fresca partecipante della gara. Il suo è un messaggio che arriva dritto al cuore, scavandoci una bella tana dentro e poco importa se questo sia fatto di pietra o di tenera carne, ci entra per rimanerci, trovando uno spazio tutto suo, dal quale difficilmente se ne andrà. Decido allora di conoscerla e attraverso la mediazione di Andrea Jacomelli, uno dei due organizzatori, incrocio le dita e le chiedo lo spazio di una piccola intervista, convinto che la sua storia possa essere di ispirazione per tutti. Nel giro di pochi minuti mi arriva, non solo il consenso, ma anche un messaggio da parte di Ginevra che, con un entusiasmo quasi spiazzante, acconsente ad una video chiamata un paio di giorni dopo. Per quanto la sua storia (cinicamente parlando) potesse essere interessante anche a livello giornalistico, rimango un paio di giorni a pensare a come poter affrontare un argomento così difficile, come la malattia, la sofferenza, la voglia di riscatto. Arrivati al giorno prescelto, non faccio in tempo a presentarmi che vengo subito investito da un turbine di entusiasmo e di gioia di vivere, che mi porta quasi a scusarmi per dovere affrontare un tema così delicato e scabroso, ma Ginevra mi mette subito a mio agio e alla fine tra una domanda e l’altra si finisce per parlare di noi, delle nostre vite come se fossimo stati amici da chissà quanto tempo.
È lei stessa a levarmi dall’impaccio di farle la domanda fatidica sulla sua malattia:
Ho scoperto la malattia nel 2019 quando, correndo la maratona del Monte Bianco, dopo due chilometri, ho sentito delle fitte alle gambe e passo dopo passo delle parestesie dolorose non mi permettevano più di proseguire, non riuscivo neppure a sentire il suolo sotto i piedi. Mi sono ritirata al diciottesimo chilometro tra lacrime di rabbia e frustrazione di non potermi vivere fino in fondo quel viaggio fra i monti. Dopo diversi esami, il prelievo del midollo ha dato il verdetto: sclerosi multipla. All’istante ho bloccato la mente, ho guardato il neurologo e gli ho detto: chiamala come vuoi, io di correre non smetterò. Ho provato tante terapie, prima di trovarne una che il mio corpo tollerasse senza troppi effetti collaterali, e ad oggi mi sottopongo ogni sei mesi ad un’infusione di quattro ore per via venosa che ha l’effetto di azzerare i linfociti B, ritenuti i responsabili dell’attacco autoimmune.
Chiedere l’età ad una ragazza non è cortese ma sei giovane per cui mi azzardo…
Ho 38 anni, ne avevo 33 quando ho scoperto la malattia
Hai un compagno?
Ero fidanzata quando ho ricevuto la diagnosi, lui per me è stato un punto di riferimento. Devi capire ch, la corsa nel suo significato più puro ed intimo, è un momento tutto mio, per questo adoro allacciarmi le scarpe e uscire da sola nelle prime luci di un’alba estiva, o in un gelido e buio mattino invernale. La corsa ha mille facce, è condivisione, è famiglia, è gioco, è libertà, ma, per me, la corsa è prima di tutto un momento per stare da sola con me stessa. Non è facile correre con una persona che ha una malattia come questa, perché non sai cosa faranno le tue gambe quando parti: spesso cadi perché non senti il corpo, non hai coordinazione, la mente vuole volare, ma le gambe non seguono. Cadi, ti rialzi, riparti cosi per tante volte, tieni duro perché sai che se non molli piano piano gambe e testa andranno nella stessa direzione. Ma intanto ti arrabbi, te la prendi con quelle povere gambette sbilenche. Lui, senza parlare mi abbracciava, una pacca sul sedere e via. Questo mi serviva. Mi ha sempre supportata. Ancora oggi siamo molto amici e non ha mai smesso di starmi accanto. Anche la mia famiglia si è subito stretta a me, ho una sorella più grande ed un fratello gemello, il quale, al mio annuncio della malattia, mi disse: “Ginevra, come fai ad essere così tranquilla?” Beh quando a 33 anni mi hanno detto che avevo una malattia degenerativa che può portarmi all’invalidità, è stato immediato il pensiero di volermi vivere ogni istante a pieno, senza rinunciare a nessuna delle mie passioni né alla mia voglia di vita . É più dura, ma sono sempre io con la stessa grinta che avevo prima. L’ho presa di petto senza perdere il sorriso.
Immagino sia cambiato anche il modo di correre…
È cambiata la mia prospettiva di corsa, ma non ho mai avuto intenzione di rinunciare alle mie passioni. La malattia ti insegna ad ascoltarti, prima mi portavo al limite della rottura. Il corpo ti dà dei segnali e bisogna sempre saperli ascoltare, interpretare, capire e reagire di conseguenza . La sclerosi multipla è una malattia di natura infiammatoria, per cui è importante evitare e ridurre tutto ciò che porta a stressare l’organismo, a partire dallo sforzo eccessivo, dal cibo, dallo stress mentale. Oltre ad una non coordinazione delle gambe, parestesie e talvolta blocco degli arti, una cosa che ho costante da quando si è palesata la malattia, è un senso di pesantezza e stanchezza devastante situazione a cui non ero minimamente abituata. Io imparo ogni giorno ad ascoltare il mio corpo , e non mi fermo, se non riesco a correre vado in bici, oppure in palestra. Continuo a fare gare anche se con più criterio, selezionando distanze che non superano i 40 chilometri e percorsi non troppo tecnici vista la possibilità che improvvisamente possa perdere l’equilibrio, cadendo a peso morto (ho di fatto le gambe martoriate). Io parto, ma non so come si comporta il mio corpo. A Fivizzano, ad esempio, ad un certo punto, mi si è bloccata la cassa toracica bloccandomi il respiro. Anche nelle fasi di recupero devo stare attenta perchè è come se facessi il doppio dei chilometri. Quando faccio una gara ora poco mi importa della velocità a cui vado, ascolto ogni mio passo, ogni mio respiro, mi guardo intorno, mi perdo nei paesaggi, senza tener conto dei chilometri che scorrono, perché ogni emozione vissuta in quel viaggio è vita, e ogni metro che mi avvicina al traguardo è una conquista.
continua…