Manrico Viti nacque a Carrara nel 1928 in una famiglia di tradizione anarchica e di idee libertarie, particolarmente vivaci nel contesto carrarese, di cui egli si nutrì fin dall’infanzia e fu convinto sostenitore per tutta la vita. Non partecipò direttamente alla lotta di Liberazione, ma ne condivise sinceramente gli ideali che la animarono: fu testimone angosciato di molti avvenimenti di quel periodo e subì le vicissitudini che la durezza dei tempi impose ai giovani della sua generazione. Oltre a poesie, in lingua e in dialetto, egli fu autore di racconti, di novelle, di testi drammatici. Saggista prolifico firmò interventi critici, indagini storiche, ricerche linguistiche e collaborò intensamente a giornali e riviste di importanza nazionale. Fondò e diresse giornali e pubblicazioni periodiche locali. I frutti di questa multiforme attività non sono facilmente reperibili ed esistono molti suoi scritti sono ancora inediti. Tale situazione rende difficile formulare un giudizio critico complessivo sulla qualità della produzione letteraria di Manrico Viti. Si può in ogni caso esprimere una valutazione altamente positiva almeno per tre delle sue numerose pubblicazioni: il bellissimo racconto dal titolo “La lunga Cisa”, che narra con vivacità di colori e realistica rappresentazione le penose vicende delle donne carraresi durante l’ultima guerra. Un’opera che è da collocare tra le più interessanti e riuscite di quelle ambientate nella terra apuana. Il secondo testo è una raccolta di poesie dedicate al tragico periodo della guerra di resistenza: “I chorus e le voci”, dove il termine “voci” indica diciotto poesie dedicate al sacrificio di singole persone, uccise dopo essere state torturate. Sono liriche destinate alla recitazione di una voce sola. I “chorus” invece denotano otto carmi che richiamano vicende tragiche che coinvolgono più persone o interpretano un dolore collettivo, per cui richiedono un canto a più voci. Il professor Gualtiero Magnani, nella sua prefazione al volumetto, pone l’attenzione sull’“assoluto valore etico e civile delle liriche di Manrico Viti, che a buon diritto può essere collocata nell’ideale biblioteca delle più belle poesie ispirate alla Resistenza”.
Il terzo titolo, da poco di nuovo disponibile nelle librerie del territorio al prezzo di 10 euro, è “O pi segna segna pi – Vita, morte e apparizioni di Garibaldi Benedetto Vanelli detto Gregò”, nel quale Viti ricostruisce la vicenda umana di Gregò, la cui voce dissacrante si è levata contro la guerra – scriveva “abass la guera” sui proiettili stivati nella fabbrica Winkerstein di La Spezia – e durante il fascismo. Quando, secondo Viti, i pochi antifascisti rimasti a Carrara “se ne stavano zitti con la coda fra le gambe” il “lucido-matto” Gregò continuava a sbeffeggiare ricciani e pocherriani. Il monolite diventava “la più grande segata del secolo”; Vittorio Emanuele era il “re di paglia” e Mussolini il “re di piglia”; i cacciatori erano accusati di uccidere gli “angioletti”, anziché i Ricci; i nuovi ricchi e prepotenti del regime, cafoni patentati, erano bollati (“i n’ avev’n né cà né campi e mo p’r ’ndar al cess i voin i guanti”).
Dopo la riedizione de “La lunga Cisa” e “I chorus e le Voci”, SEA, Società Editrice Apuana, specializzata nella letteratura e saggistica legata al territorio apuano, riporta in libreria “O pi segna segna pi – Vita, morte e apparizioni di Garibaldi Benedetto Vanelli detto Gregò”, un testo meno noto, perché meno diffuso, del grande Manrico Viti e arricchisce il suo catalogo, ormai attestato come fondamentale memoria culturale delle terre sotto le Apuane.