Più di venti anni fa, durante una serata in cui l’alcol la fece da padrone, assistetti ad un litigio che per poco non finì a bicchierate in testa, in cui rimasero coinvolti due ufficiali dell’esercito, uno inglese e l’altro danese. Poco prima che riuscissimo a separare definitivamente i due, uno urlò all’altro, con un inglese decisamente sguaiato e condito di apprezzamenti poco simpatici indirizzati alla linea femminile della sua famiglia, che un giorno sarebbero tornati. Lì per lì non diedi peso a quella minaccia, ma, poco dopo, quando tornò la calma ed i sorrisi sostituirono la tensione, mi confrontai con il mio collega di allora e ne convenimmo che quel “torneremo” era riferito a quanto avvenuto quasi mille anni prima nella ormai famosa battaglia di Hastings, in cui i Normanni presero il potere in Inghilterra a danno degli anglosassoni.
Questo episodio, riaffiorato casualmente dalla mia memoria, mi ha fatto ricordare anche la storia pazzesca di chi quella battaglia la vinse diventando all’epoca il nuovo re d’Inghilterra. Molti re, condottieri e sovrani si sono guadagnati nell’arco delle loro esistenze appellativi come Magno che significa Grande, vedi Alessandro o Carlo, oppure Magnifico come il nostro avo Lorenzo de Medici, a causa delle gesta compiute in vita. Il sovrano di cui parlerò qui si chiamava Guglielmo il Conquistatore.
La sue origini sono già di per sé anomale, perché nato da una relazione “more danico” tra il Duca Roberto I il Magnifico e Herleva di Falaise detta Arletta, figlia a sua volta di tale Fulberto, cameriere del duca e Duda o Duwa, il cui padre era un altro Fulberto, conciatore di salme, un modo elegante per dire che si occupava dei funerali delle persone. Non davvero una discendenza regale, ma una delle tante leggende vuole che Roberto si innamorò della bella e giovane Arletta, vedendola danzare insieme ad altre giovinette su un prato e la prese con sé alla maniera dei danesi, cioè in una condizione a metà tra il matrimonio ed il concubinato. Questa strana posizione, che la Chiesa di allora condannava, secondo la tradizione norrena non levava nulla ai potenziali figli, che entravano in linea ereditaria tanto quanto quelli provenienti da un normale matrimonio. Questa sua, chiamiamola scomoda situazione, non solo gli procurò il primo appellativo, “Il Bastardo”, ma lo coinvolse in una serie di battaglie e contese, tipiche di quel tempo, per la corona di questo o quel ducato in un ambiente ed in un contesto storico, che spesso vedeva fratelli, cugini e parenti uno contro l’altro per il controllo dei territori. Così, dopo essere stato nominato duca all’età di otto anni, passò sotto la tutela di arcivescovi e condottieri che, uno dopo l’altro, morirono in battaglia o avvelenati o assassinati, vittime delle loro stesse mire di potere. A 19 anni, sfuggito all’ennesimo tentativo di rapimento al fine di sostituirlo nel dominio dei suoi territori, grazie all’aiuto del re di Francia Filippo I, iniziò una campagna militare che lo portò alla sconfitta di tutti i suoi nemici, ponendolo sul trono che gli spettava. Si recò qualche anno più tardi in Inghilterra a trovare suo cugino, il re Edoardo il confessore, strappandogli la promessa che, alla sua morte, lui sarebbe diventato il legittimo re d’Inghilterra. Nel 1052 decise di prendere come sua sposa, la cugina Matilde delle Fiandre, in disaccordo con il Papa Leone IX, che oltre a condannare le nozze per consanguineità, lo scomunicò. La coppia fu assolta sette anni dopo quando, grazie alla promessa di costruire per penitenza due monasteri, si vide revocato il provvedimento da papa Nicola II. In quegli anni le alleanze, le promesse di fedeltà, spesso siglate con matrimoni di comodo, non sempre venivano onorate e quando le circostanze sembravano più favorevoli ad uno o all’altro era un attimo passare dall’altra parte. Guglielmo passerà tutta la vita a sedare rivolte, sia in territorio francese, sia in Inghilterra, nazione che conquisterà proprio perchè Aroldo, figlio di Edoardo, pur avendo promesso che gli avrebbe giurato fedeltà, si auto nominò erede della corona d’Inghilterra alla morte del padre. Questa fu la causa della battaglia di Hastings che determinò l’ascesa della casata normanna sul regno d’Inghilterra (e della litigata tra i due ufficiali) e che fece guadagnare a Guglielmo l’appellativo di Conquistatore. Le vicende di quel conflitto possiamo osservarle ancora oggi in quella specie di fumetto ante litteram, conosciuto come “l’arazzo di Bayeux”. Nel 1086, un anno prima della morte, Guglielmo, riunitosi con i suoi consiglieri decise di fare un censimento, il primo nella storia, di tutti i suoi possedimenti al fine di conoscere nei dettagli quali erano i suoi possedimenti, senza dove passare attraverso il filtro dei suoi feudatari. Ne nacque un libro conosciuto come il “Domesday book” , ovvero il “libro del giorno del giudizio”, fonte inesauribile per gli storici che hanno potuto indagare vari aspetti della società dell’epoca attraverso genealogie, topografie ed ogni dato utile al riconoscimento di persone, luoghi, dipendenze dinastiche ed ecclesiastiche. Forse anche grazie a questo preziosissimo manoscritto è stato possibile stabilire che Guglielmo fu, con ogni probabilità, il regnante più ricco della storia europea, stimando il suo tesoro in più di 179 miliardi di euro attuali! Guerre, battaglie, scaramucce lo videro sempre in prima linea , sui campi di battaglia, luoghi cioè che rappresentavano per lui l’ambiente ideale ma che, ironia della sorte, determinarono anche la sua morte che tanto quanto la sua vita, ebbe dell’incredibile. Se per i posteri viene ricordato per le sue gesta belliche e politiche, i contemporanei lo ricordavano anche per una sua caratteristica non proprio invidiabile, Guglielmo aveva infatti una fame insaziabile che lo portò ad essere un obeso cronico, con tutte le problematiche che questo poteva portare.
La sua gloria gli invise i regnanti di Francia che, per ritorsione, gli aizzarono contro i vari baroni in un sfilza continua di ribellioni. Proprio al termine di una di queste, sconfitta e incendiata la città di Mantes, per ragioni non ben chiare cadde da cavallo e seppur feritosi con il pomello della sella, vi risalì in cima per ritornare all’accampamento. Quello che non poteva sapere e che all’epoca sarebbe stato fatale per chiunque, era che si era procurato una ferita perforante all’intestino che gli aveva provocato una peritonite. La sua agonia durò sei settimane al termine della quale passò ad altra vita lasciando il suo regno al figlio. Nessuno è immortale, ma, a memoria, quello che accadde dopo è più unico che raro. A forza di fare guerra a chiunque, Guglielmo non godeva di tanta stima nemmeno tra i suoi familiari che, dopo la sua dipartita, non si presero cura del cadavere, abbandonandolo dove si trovava. Fu un suo cavaliere che, mosso da compassione decise di recuperarne la salma per dargli degna sepoltura e come luogo di sepoltura fu scelta Caen, che distava però cento chilometri da dove si trovavano. La carovana si mise in moto, ma, arrivati in città, dovettero rimandare le esequie perchè la chiesa di Sant’Etienne aveva subito danni a causa di un incendio e in più, il proprietario del terreno dove sorgeva l’edificio, vantava dei crediti che non erano stati ancora saldati. La situazione fu infine sanata, ma intanto, erano passate settimane ed il corpo già imponente del monarca, ormai putrido e puzzolente per le infezioni che avevano causato il decesso, era diventato davvero enorme. I problemi si moltiplicarono quando, all’interno della chiesa, i becchini dovettero infilare il corpo nel sarcofago che ormai era diventato troppo piccolo e la soluzione che trovarono, fu la peggiore che potessero inventarsi. Si misero a spingerlo dentro con tanta veemenza che alla fine il cadavere letteralmente esplose ricoprendo le pareti e gli astanti di membra marce e purulente senza contare il tanfo che ormai aveva pervaso tutto l’ambiente. Molti scapparono, altri svennero e possiamo solo immaginarci cosa dovette sembrare quella scena. Gli addetti, alla fine, non poterono fare altro che raccogliere i brandelli infilando il tutto in una tomba senza troppe cortesie. I suoi resti non ebbero pace nemmeno nei secoli a venire, vittime di riesumazioni, delle guerre di religione e della rivoluzione francese, vennero tutti dispersi ad eccezione di un femore che ancora oggi si trova al di sotto di una lapide nella medesima chiesa.
Una vita incredibile e pazzesca, tanto quanto le vicende che lo videro protagonista dopo la sua morte e chissà se quei due litiganti, pieni più di birra, che di odio, che si sfidarono davanti ai miei occhi ne erano davvero a conoscenza. A ripensarci mi viene da sorridere.