La tradizione degli stornellatori romani esisteva, e persiste, nelle osterie della città eterna. Forse il primo che fu stornellatore, un attore di strada, un cantastorie, fu Pietro Capanna, conosciuto come Er Sor Capanna. Nacque a Roma il 9 aprile del 1865 in via Luciano Manara 47, in quello che all’epoca era il quartiere più romano, Trastevere. Da ragazzo lavorò come banchista in una macelleria e poi come ceraiolo, nella storica fabbrica di via della Lungara. Ci sono istanti nella vita nei quali accadono delle piccole tragedie che sembrano irreparabili, invece possono essere degli spartiacque. Pietro Capanna fu vittima di un incidente che lo rese quasi cieco durante il suo lavoro alla fabbrica di candele.
Da quel momento indossò degli occhiali affumicati e abbandonò il lavoro. Iniziò a fare il posteggiatore fuori dalle osterie e la sua vena ironica e poetica, lo spiccato senso del ridicolo, ne fecero un’attrazione romana. La sua fama si sparse presto e Pietro Capanna ebbe il suo primo ingaggio nel teatro Alcazar in via dei Coronari. Si presentò al pubblico con una spalla dal nome molto onomatopeico, Ciancaribella. Erano i primi anni del novecento e un esponente del movimento futurista, Giuseppe Zucca, lo definì: “Un menestrello dalla pancetta abbondante e dagli occhiali notturni. Chi non conosce a Roma il Sor Capanna? Egli è, ormai, un istituto fondamentale, una figura rappresentativa.” Pietro Capanna, er Sor Capanna era ormai divenuto un emblema della città, di quella Roma che amava e del potere che rappresentava e sbeffeggiava con arguti stornelli. Formò una sua compagnia itinerante. Pietro Capanna indossò i panni di un Rugantino dai tratti pasquineschi, usando la satira e la burla per mascherare l’aspra critica sociale. Pietro Capanna si spostava nelle strade, tra i quartieri di Roma, su di un carro, un palcoscenico ambulante che era trainato da un cavallo alquanto malandato. Lo accompagnavano sua moglie, Augusta Sabbadini, che lo supportava nel canto, indossando i panni di Nina, una donna corpulenta e molto greve, una specie di avanspettacolo itinerante. Insieme alla coppia c’erano: Cesare Palombini, detto Caruso, Giovanni Giovannini, detto er Comparetto e Gallo Galli, detto Galletto, perché a Roma la maggior parte della popolazione ha un soprannome, spesso non si conosce neppure il vero nome della persona. Pietro Capanna spesso preferiva girare la città a piedi, vestiva in borghese con giacca e cravatta e l’immancabile bombetta. Si esibiva con un aiutante che indicava al pubblico il brano che stava per eseguire. Er Sor Capanna, il novello Pasquino con la chitarra, ne aveva per tutti, se la prendeva con il costo della vita, con la condizione femminile, contro la disoccupazione e la guerra. Poi ancora contro gli arricchimenti e con l’attualità sempre piena di nuove da raccontare. Sempre il futurista Giuseppe Zucca lo incensò sulle pagine di un giornale locale: “E’ il sor Capanna, fustigatore implacabile dei bagarini e dei padron de casa, del governo che ci amareggia di tasse e delle paine co’ le vesti strette, dei preti e del blocco, di uomini e di cose, di leggi e di costumi.” Ora chiudete gli occhi e pensate che dopo un secolo Er Sor Capanna potrebbe cantare delle stesse identiche cose, il tempo che passa senza passare. Un grande ammiratore di Pietro Capanna fu Ettore Petrolini, che lo definì il suo maestro. Pietro Capanna alternò i caffè-concerto alla strada e divenne ispirazione per molti comici dei teatrini popolari. Una sera uno di questi comici lo scorse in platea e lo chiamò sul palco e lui, l’unico Sor Capanna, accordò la chitarra e fece impazzire il pubblico. Tornando a Petrolini la stima verso Capanna gli fece realizzare una fortunata macchietta dedicata appunto al Sor Capanna e ne realizzò un’incisione discografica che gli fruttò molta fama anche fuori da Roma e un discreto guadagno. Pietro Capanna commentò in modo unico e dissacrante: “Petrolini? Un bravo ragazzo, un mio imitatore. Lui fa li bijetti da mille e se li gioca, io fo li sordarelli e me li magno.” La stima di Petrolini non vacillò e durante un’esibizione al Teatro Sala Umberto, si truccò da Sor Capanna per dileggiare un nobile di tendenze socialiste che non si era alzato durante l’esecuzione della Marcia Reale. Pietro Capanna, er Sor Capanna, morì nella sua amata Roma, al policlinico Umberto I, il 22 ottobre del 1921. Per sua fortuna e per nostra sfortuna non ebbe modo di vivere il ventennio fascista, altrimenti il suo spirito romanesco, il suo sarcasmo, forse lo avrebbero condotto al confino. Pietro Capanna, er Sor Capanna ha lasciato un’eredità di profonda romanità che ancora oggi vive negli angoli nascosti della città eterna. Claudio Villa gli dedicò una canzone che si intitolava: Sentite che ve dice er sor Capanna, le cui strofe resero omaggio a un vero romano.
Sentite che ve dice er Sor Capanna
Che la miseria c’è arivata all’osso
So’ debbole e la vista me s’appanna
L’uno co l’antro se cascamo addosso
Mo’ le sorti pò cambialle
Giusto er piano de Marscialle
Sinnò è destino
De fà la fine der conte Ugolino
Sinnò è destino
De fà la fine der conte Ugolino