Appena le ragazze furono indipendenti e le finanze famigliari migliorarono, e dopo aver acquistato la nostra prima casa, dando fondo a tutti i nostri risparmi, pensammo che fosse arrivata l’ora di realizzare il sogno che cullavamo da tanto tempo: le zingarate. Il termine è ripreso dallo spirito del film “Amici miei”, la cui serie tanto successo ebbe negli anni 70 ed 80, ma non ha niente a che vedere con i cinici scherzi che i protagonisti facevano alle loro malcapitate vittime. Per noi lo spirito della zingarata era questo: partire senza una meta precisa e decidere poi durante il tragitto quale strada prendere. Per fare un esempio: un anno decidemmo di andare in Austria ma, dato il caldo imperante – e a quel tempo le macchine non avevano l’aria condizionata – la sera ci ritrovammo al fresco dell’Isola del Giglio.
La domanda di mia moglie, Sara, era: “Dove si va?” . “In Francia” rispondevo io, senza una meta precisa. Unici supporti erano una carta topografica e la guida rossa Michelin per trovare alberghi e ristoranti lungo il percorso. E così si partiva per gite che duravano una settimana, percorrendo una media di 4/ 500 chilometri al giorno dopo aver valicato le Alpi evitando rigorosamente le autostrade. C’erano solo due cose di cui Sara aveva un sacro terrore e per le quali la prendevo un po’ in giro: l’attraversamento del Ponte Morandi a Genova ed il Tunnel del Monte Bianco. Visto quello che è successo non posso che fare una tardiva ammenda. Negli anni, ovviamente, abbiamo visitato Parigi, Lione, i Castelli della Loira, la Provenza, la costa atlantica fino alla Bretagna e Normandia, ma le nostre vere mete erano i meravigliosi paesi, le foreste ed in genere tutte quei luoghi poco battuti dai turisti alla scoperta della cucina locale e dei…Brocante.
Il brocantage era, infatti, la passione di Sara ed ogni volta che ne trovavamo uno nei posti più remoti era d’obbligo una sosta, durante la quale la vedevo razzolare felice fra gli oggetti più disparati. Spesso trovava dei pezzi interessanti e qui partiva la lunga trattativa, di cui mi vergognavo un po’, ma che a lei ed al brocante sembrava piacesse molto. Alla fine tutto si concludeva con un prezzo equo che soddisfaceva acquirente e venditore. Una volta, sulla via del ritorno da Tours, ci imbattemmo in un rigattiere che fra mille cose di poco valore aveva uno splendido “table da nuit”, un comodino insomma, in stile cappuccino; è superfluo dire che anche qui la trattativa fu lunga, ma alla fine il pezzo fu caricato in macchina, che, peraltro, era già strapiena. L’anno dopo, proprio nel nostro periodo di ferie, scoprimmo che a Le Bourget si teneva una fiera di brocantage, nella quale spervaamo di trovare un comodino uguale a quello acquistato nel precedente viaggio; e allora perché aspettare? Via per Le Bourget.
Nel primo pomeriggio, sulla strada che da Fontainbleu porta a Parigi, Sara notò un cartello che pubblicizzava una piccola fiera di antiquariato in un paesino nelle vicinanze. Piccola deviazione e, presso un brocante, all’uscita del paese, trovammo un comodino, se non uguale, quasi identico al nostro; acquisto fatto e “Adesso che si fa? Beh, già che siamo qui si fa un salto a Londra”. Verso sera arrivammo a Compiegne, trovammo, grazie alla nostra guida, un grazioso albergo in centro città ed un ristorante sulla sponda del fiume Oise. La cena fu ottima e l’abbondante dose di eccellente Armagnac che ci venne servito a fine pasto ne fu la degna conclusione. Ci avviammo mollemente verso l’albergo e Sara, poco avvezza all’alcol e felice per la bella giornata trascorsa, mi promise che avremo ricordato la notte di Compiegne. Infatti, lei che se non leggeva mezz’ora non riusciva a prendere sonno, quando uscii dal bagno la trovai lì sul letto che già dormiva il sonno dei giusti. Anzi avvertii anche un leggero russare, scherzi dell’Armagnac! Il mattino dopo ben riposati e scherzando sulla “notte a Compiegne”, ci avviammo verso Londra; Calais, la Manica, le bianche scogliere di Dover e sosta a Canterbury dove ci rifocillammo in un ristorante con una grossa patata farcita di fagioli con sopra una salsa agrodolce che si ripropose fino a sera.
Finalmente Londra. A Greenwich i famosi prati inglesi erano gialli per la siccità, ma, appena arrivati a Marylebone, dove avevamo il b&b, si scatenò un inferno d’acqua che riportò un po’ di verde nei numerosi parchi. Londra è bellissima e Sara, appassionata di storia inglese, ne fu estasiata; visitmamo i luoghi più belli, La torre con i gioielli della regina, Westminster, Piccadilly Circus, Portobello con acquisto di piccola ma graziosa cornice d’argento, Oxford street e così via ma rimaneva il problema del cibo. Consultai la guida rossa che mi indicò, lì vicino, in Marylebone street un ristorante italiano: Caldesi. Giungemmo lì nei pressi e un signore ci apostrofò con un bell’accento toscano “Siete italiani e, sicuramente, avete fame. Venite dentro.”. Era il proprietario, Mr.Caldesi natio di Mosummano, che ci fece accomodare e preparò una cenetta che ci rimise al mondo; diventammo amici e fu chiaro che questa sarebbe diventata la base operativa del nostro stomaco per tutto il tempo che restammo a Londra.
La zingarata era finita: rientrammo in Francia, pernottando a Troyers, la bella cittadina con le case dalle facciate a graticcio, in un albergo il cui bagno era fornito di bidet, cosa quasi impossibile da trovare in questa nazione, quindi attraversammo le terre del famoso vino Chablis, di cui facciamo scorta, poi Auxerre; altri 893 chilometri ed eccoci a casa. Con questo spirito abbiamo bighellonato in Scozia, Germania ed Austria e…Italia fino a quando il male si è portato via la mia adorata Sara.
Le zingarate sono finite, ma quelli, veramente, sono stati i giorni in cui non si poteva chiedere di più.