Per chi ama fare delle facili passeggiate fra vasti prati ed ombrose faggete, che comunque offrano il brivido di arrivare su una vetta, il Monte Borla è l’ideale: alto 1470 metri, strapiomba dal versante est sulla Foce di Pianza che lo divide dal più imponente Monte Sagro, mentre il versante ovest è più accessibile ed adatto ad escursionisti di tutte le età.
Si parte dal Rifugio Carrara ed una volta arrivati agli ampi prati di Campocecina si sale su una pista ben battuta, il sentiero CAI 183, che sale dalla Torre di Monzone, fino a superare sulla destra la vecchia Casera, ormai completamente diroccata, per proseguire attraverso una folta distesa di piante di lamponi, meta nel mese di luglio degli estimatori di questo profumatissimo frutto.
Ancora pochi metri e, superata una prima faggeta, si scollina sul lato nord del monte, godendo di uno spettacolare panorama sul Pizzo d’Uccello, la Cresta del Garnerone, il monte Grondilice, il Contrario e, più ad est il monte Cavallo.
Avanti in falsopiano fino a trovare sulla destra un sentiero che sale verso la sommità del monte, mentre il 183 prosegue fino alla Foce di Pianza; ancora uno strappo in salita ed in breve si arriva sul crinale del monte fino ad incontrare la Casa Martignoni, una bella costruzione risalente al 1923, oggi di proprietà del comune di Carrara, a libera disposizione degli escursionisti secondo le leggi della montagna. Altri cinque minuti di salita e, a mezz’ora dalla partenza, ecco la vetta con la sua vista meravigliosa sui monti anzidetti, sul Sagro e, verso sud, sulle cave di marmo ed il mare.
Mia moglie Sara amava particolarmente questa montagna perché lassù, diceva, si sentiva in paradiso ed invidiava falchi, poiane ed aquile che potevano librarsi liberi sopra le vette; a quel tempo ci salivamo con le bambine ancora in tenera età e così è stato ancora per tanti anni. Dopo la sua morte non ero sono più salito fin lassù, fino a quando, una domenica, le mie figlie mi propongono di tornare sul Borla come ai vecchi tempi. Faccio una macchinata con loro, i due nipoti più piccoli, il nostro cane Pluto e via verso la meta.
Arrivati sul Borla, con Pluto che saltella felice, mi viene incontro un uomo e mi chiede gentilmente se possiamo trattenere il cane al guinzaglio in quanto sta addestrando al volo una poiana e non vorrebbe che il cane la spaventasse; peraltro ci invita ad assistere all’addestramento.
Curiosi ci avviciniamo lentamente ed eccola lì, appoggiata su una roccia, una splendida poiana che ci osserva, per nulla intimorita, con sguardo fiero e nel contempo dolce; c’è qualcosa in quello sguardo che mi inquieta e quando Carlo, così si chiama l’addestratore, mi dice che la poiana si chiama Sara mi sento mancare il fiato. Ecco, la metempsicosi ovvero la reincarnazione. Molte dottrine orientali, ma anche alcune correnti filosofiche ritengono che l’anima del defunto trasmigri, un certo tempo dopo la morte, da un corpo ad un altro fino a quando non si sarà liberata completamente della materialità per prendere quindi posto nell’eterno.
Si, lo so che ciò non può essere, ma in un angolino del mio cervello quanto vorrei che il sogno di mia moglie si fosse avverato! Ovviamente la realtà è diversa; la poiana Sara è stata allevata amorosamente fin da quando era implume ed ora ha un grosso problema: non sa di essere un uccello proprio come nel bel romanzo di Luis Sepulveda “La gabbianella ed il gatto che le insegnò a volare” e, soprattutto, non ama staccarsi da Carlo che lei considera il suo “babbo”. E come un babbo premuroso fa compiere i primi passi alla sua creatura, così lui le fa compere i primi piccoli timidi voli finché lei, spalancando le sue splendide ali, riesce a librarsi in alto; un improvviso colpo di vento insidia il precario equilibrio di volo e la poiana, spaventata, si rifugia sui rami di un faggio poco distante.
Niente paura, Carlo dice semplicemente “Sara vieni” e l’uccello abbandona il ramo per planare dolcemente vicino a lui che la ricompensa con un pezzetto di carne subito divorata. Gli racconto di mia moglie, della strana coincidenza dei nomi e del fatto di trovarlo proprio qui, su quel monte che lei amava tanto, dopo anni che non venivo e lui, di religione buddista, comprende il mio stato d’animo e senza parlare si sfila il guanto di protezione e me lo fa indossare; poi prende con delicatezza la poiana e la posa sul mio braccio. Ci fissiamo intensamente e a questo punto il cuore prende il sopravvento sulla ragione. Mi fa felice credere che ancora una volta io e Sara siamo assieme sul monte Borla.
Due settimane dopo Carlo, dimostrando una sensibilità fuori del comune, mi telefona: “Sara ha imparato a volare ed ora è libera sulle nostre amate Apuane”.