foto di Silvia Meacci – foto alluvione Free Getty Images
Cammino su selciati che hanno risuonato di voci e passi antichi. Cortei, celebrazioni, parate militari o funebri, giochi, roghi e vita quotidiana. Ogni strada parla. Parto da Piazza della Signoria, dove il Savonarola fu arso nel 1498, o dove quattrocentoquaranta anni dopo, nel 1938, una folla accolse i saluti di Hitler e Mussolini dal balcone di Palazzo Vecchio. Provo ad immaginare. Sento la “Martinella” suonare per annunciare la liberazione della città dai tedeschi, l’11 agosto del 1944. Mi dirigo verso Borgo Santa Croce. Qui il Vasari aveva il suo studio e io me lo figuro entrare svelto nel portone ombroso. Arrivo poi in Piazza Santa Croce con la omonima basilica che è la chiesa francescana più grande al mondo. All’interno sono sepolti artisti, musicisti e letterati: Foscolo, in primis, Michelangelo, Galileo, Alfieri, Rossini, solo per nominarne alcuni.
E pensare che nel duecento era una palude! Furono i frati francescani a bonificarla e a stanziarsi lì. Le loro prediche erano un richiamo per tanti fedeli che giungevano copiosi. Nel 1228, quando Francesco fu proclamato santo, per la prima volta si nominò la chiesa di Santa Croce. E tutto intorno, nelle stradine laterali, pullulavano i tintori, i conciatori. In quella zona, poi, nella seconda metà del millequattrocento, pare ci fosse la bottega del Verrocchio, frequentata da un giovane Leonardo. Nella piazza si facevano i tornei di cavallo e qui nel 1530 si decise di giocare comunque l’incontro di calcio storico, la celebre “partita dell’assedio”, schernendo le truppe imperialiste di Carlo V che stavano accerchiando la città. È emozionante pensare che i miei piedi poggiano idealmente sulle orme di Lorenzo de’ Medici e Clarice Orsini che qui festeggiarono il fidanzamento. Certo, la chiesa appariva differente ai loro occhi: la facciata era “incompiuta”, di pietraforte. L’attuale, trionfale e di marmo, ammirata da fiorentini e turisti, fu mostrata nella sua compiutezza nel 1863. Io, pur apprezzandone la bellezza, la trovo una copertura celebrativa, quasi un corpo estraneo. Da antichi dipinti ho potuto ammirare la vecchia, grezza e non finita, ma bellissima.
La celebre statua di Dante Alighieri fece la sua comparsa nella piazza il 14 maggio 1865, quando fu inaugurata alla presenza di Vittorio Emanuele II, in occasione del sesto centenario della nascita del poeta ed anche in concomitanza con il primo anno di Firenze Capitale. Tra coloro che vollero la statua ricordiamo Carducci, Verdi, Manzoni e Ricasoli: un omaggio al sommo come a volerlo ripagare per “l’esilio datogli dai suoi cittadini”. Dante finì i suoi giorni a Ravenna ed è buffo pensare che Enrico Pazzi, l’artefice del monumento dedicato all’Alighieri, sia nato a Ravenna e morto a Firenze. Destini inversi!
Originariamente la statua di Dante fu collocata al centro di Piazza Santa Croce. Solo nel 1971 fu collocata nella posizione attuale, in angolo, proprio con le spalle alla basilica, per lasciare la piazza libera di accogliere eventi, manifestazioni, calcio storico. Tale cambiamento fu deciso nel 1966, allorché, per l’alluvione del 4 novembre, la statua fu danneggiata e rimossa per essere restaurata. Rido sotto i baffi ripensando a Riccardo Marasco che nella sua canzone “L’Alluvione” gli dedica due righe: “Dante di marmo poeta divino mira sdegnato l’immane casino. O fiorentini mi avete sdegnato, prendete la cacca che Dio v’ha mandato!”
Osservo il volto del Poeta la cui espressione severa voleva in origine ben esprimere sdegno verso la servitù dell’Italia nei confronti della dominazione straniera. Sdegno che ora sembra indirizzare alla vita notturna troppo animata e all’ingombrante presenza dei turisti. Ci guarda tutti dall’alto con quell’aria sprezzante: noi fiorentini che gli gettiamo solo un’occhiata frettolosa e tutti i visitatori che di certo gli paiono bizzarri, a piedi, in bici, su golf cart o sui trenini ciuf ciuf, armati di macchine fotografiche e telefonini per immortalarlo. Anche io faccio qualche scatto e poi mi siedo sulla scalinata davanti al sagrato a leggere un brano de “Il Quartiere” di Vasco Pratolini. È ambientato nel rione di Santa Croce negli anni trenta”: “Sotto la statua del Poeta sono seduti i vecchi dell’Ospizio a godersi il sole; conversano con le mature prostitute che si riordinano i capelli e si scuotono dal grembo le briciole di pane, sulle quali piombano i piccioni. I tipografi e i mosaicisti, in camiciotti gialli e neri, lunghi fino al ginocchio, oziano sulle panchine in attesa della sirena”.