foto di Silvia Meacci
È apparsa recentemente una scritta sui cassonetti di Firenze. “Yankee go home! Firenze non vi vuole!” Sfogo isolato di un singolo o insofferenza generale come a Las Palmas? Alle Canarie sono scesi in piazza a migliaia contro l’invasione dei turisti, percepiti come minaccia per l’equilibrio dell’isola. Da noi, per dissentire contro la presenza degli americani in città, è stato adottato l’appellativo “Yankee” usato dai soldati britannici, durante la guerra rivoluzionaria, per riferirsi agli abitanti della Nuova Inghilterra. L’espressione è stata riciclata in paesi, epoche e contesti differenti: in Nicaragua, in Chile, a Cuba. Ma anche in Sud Corea e in Giappone, contro la presenza dei militari. E anche in Medio Oriente, in Iran, durante alcune dimostrazioni in Libano e pure in Europa per lo sdegno causato dalla guerra in Vietnam. In ogni caso sempre per esprimere un antiamericanismo ove ci siano stati interventi bellici, politiche imperialistiche o manipolatorie, o influenze di tipo capitalista sulle società. “Yankee” ha una connotazione leggermente dispregiativa. L’imperativo, però, non lascia adito a dubbi. “Go home!” A chi sono indirizzate le scritte? Agli “americani residenti in Toscana che, al 1° gennaio 2023, sono in totale 1079? Ai turisti che affollano i musei e le piazze e che in questa estate 2024 sono molto cresciuti in numero rispetto alla stgione scorsa? O agli studenti e alle studentesse che già a marzo sfoderano impalpabili vestiti quando noi fiorentini stiamo ancora tremando nel cappotto? Per quest’anno a Firenze sono ben diciottomila gli iscritti alle università americane! Indubbiamente i visitatori di oggi, una volta ritornati in patria, saranno i futuri ambasciatori del nostro paese, tuttavia è evidente che Firenze è sopraffatta dalle presenze straniere in generale e, sugli americani, se ne dicono tante: che i giovani, approfittando della possibilità di bere alcol già dai diciotto anni, si ubriacano e ciondolano da un locale all’altro, e che, con un alto potere d’acquisto, contribuiscono a far alzare i prezzi degli affitti in centro, perché tanto, loro, se le possono permettere le cifre a tre zeri. I fiorentini hanno quindi assistito allo stravolgimento del tessuto sociale nei quartieri centrali della città, e anche alla progressiva sparizione dei negozi più comuni a favore di attività che offrono servizi mirati per i turisti.
E allora…”Yankee go home!”. Eppure molti americani, prima di approdare in Italia, si informano, si preparano, si rifanno perfino il guardaroba per non apparire fuori luogo. Cercano in rete consigli e di rimando trovano una grande offerta di blog, siti, forum dedicati a “How to”, a come e cosa fare prima di arrivare in Italia. “Pranzate e cenate alle ore degli italiani! Non mangiate pizza con l’ananas e non mescolate in un piatto la pasta insieme con il secondo per poi coprire il tutto con il parmigiano. Siate gentili e imparate alcune parole in italiano! Non dite sempre e solo “ciao!”, usate “buona sera” e “buongiorno”. Sorridete. Non ordinate un cappuccino insieme alle vostre lasagne, né prendetelo dopo pranzo! Non esagerate con l’alcol perché l’ubriachezza non è apprezzata in Italia. Contenete il vostro entusiasmo ed evitate bagni nelle fontane monumentali. Non schioccate le dita per avere il conto al ristorante e considerate che in alcune trattorie non accetteranno la carta di credito! Sarete in Italia!”. Anche per ciò che riguarda il look, su Internet si trovano mille domande ed altrettanti consigli: “How do I not look like a tourist in Italy?!” or “What if I do something embarrassing?!”. “Se volete avete un aspetto più italiano, non indossate le infradito, bensì scarpe. Magari comode, ma sempre con un certo stile. In Italia le calzature fanno tendenza. Preferite i vestiti ed usate degli accessori, una sciarpina vi sarà sempre utile, per esempio, per coprirvi le spalle in chiesa. Per voi uomini i jeans vanno bene, limitate però le magliette con i logo e le scritte e niente pantaloncini o tuta da ginnastica! “. Anche in inverno girano in ciabatte e poi, sempre in toni!” ha detto il mio barista. “Toni” a Firenze significa “tuta da ginnastica”. Ed è buffo pensare che “yenkee” e “tony” abbiano origini britanniche. Sembra che “Tony” derivi dall’inglese, Anthony, e stia ad indicare “a folish person” uno sciocco, un semplicione. Come precisa l’Accademia della Crusca, “Nella seconda edizione (1923) del Dizionario moderno di Alfredo Panzini al valore di ‘pagliaccio’ e quello di ‘sempliciotto’, già presenti nella prima del 1905, tony (con variante grafica toni) indicava anche “l’àbito unito, o scafandro, degli automobilisti, per somiglianza con la veste larga dei pagliacci”. “Tony” nell’accezione di persona sciocca è diffuso anche in Piemonte, Lombardia e Veneto ed è stato proprio nelle regioni del nord Italia che “toni” ha assunto il significato di ‘tuta da operaio’, per poi passare in Toscana. In un articolo de “La Nazione” del 1920 si leggeva:”…quando mi vedrai vestito con un “tony” di tela turchina, né più né meno elegante di un motorista…”. Nella nostra regione il termine è entrato a far parte del linguaggio comune a dispetto di “tuta”, vocabolo più fortunato nel resto della penisola, grazie sia a una pubblicità di vestiario sportivo anche al suono “inglese”.
E il cerchio su chiude.