foto di Silvia Meacci
È una vera e propria invasione, lo”Sticker bombing“, il tappezzare di adesivi cartelli stradali, pali della luce, porte, muri, mezzi pubblici. Dilaga ormai da tanti anni e, a meno che non sia mera pubblicità di un servizio commerciale, è riconosciuta come espressione artistica, anche se la linea di discrimine è parecchio labile. La cosa fondamentale è che sia “catchy”, vale a dire che acchiappi l’attenzione dei passanti. E noi che camminiamo per la strada, solo per il fatto di notare, vedere o leggere, siamo posti in una relazione dialettica non esplicitata con gli artisti che a loro volta dialogano l’uno con l’altro. Per quanto riguarda gli adesivi, il grande boom risale agli anni 2000, complice la tecnologia e le tecniche per stamparne enormi quantità con spese sempre più abbordabili. Adesivi disegnati a mano, con logo semplici, oppure elaborati al computer, da stampare e successivamente da “slappare” con un gesto rapido nel luogo prescelto. Cosa muove gli street artist? A volte il messaggio è legato a questioni ambientali che stanno loro a cuore, oppure si vuole condividere un problema o una situazione personale per poi estendere un messaggio di conforto e inclusione. L’artista newyorkese Jon Jon attacca adesivi motivazionali che rappresentano la sua famiglia e il cugino suicida. A Bologna il movimento “la lotta è fica” ha disseminato la città di poster artistici per sensibilizzare l’opinione sulle questioni di genere e sul razzismo. In moltissimi casi, però, il messaggio è apolitico, c’è semplicemente la voglia di esserci, di essere una leggenda. Buyit, artista americano, afferma che è un modo molto democratico di esprimersi.
La street art è adesivi, poster, sculture, murales, stencil. Pioniere dello stencil graffiti è Jef Aérosol che ha lasciato le sue opere in moltissime città del mondo, anche sulla muraglia cinese. A Firenze ho scoperto un bellissimo ovale sulla facciata di un palazzo in San Frediano riportante la sua firma. L’arte di strada è una evoluzione dei Graffiti, caratterizzati dallo spray e dal lettering, che implica attenzione e enfasi sulle lettere. Esiste anche la “Guerrilla Art”. Per i suoi esponenti è importante mantenere l’anonimato e forse il maggiore è Banksy che affronta temi come la guerra, l’etica, il consumismo. Famose le sue Monnalisa con il sorriso. L’artista inglese non commercia riproduzioni, ma i banditori d’asta provano a vendere le sue opere fatte in strada lasciando che gli acquirenti pensino poi alla rimozione. Il muralismo, con i suoi disegni complessi su muro, ha invece le sue origini in Messico negli anni venti durante la guerra civile. Diego Rivera, marito di Frida Kahlo, divennne famoso per “Ballata della rivoluzione proletaria” al terzo piano del Palazzo dell’Educazione di Città del Messico. Anche il paesino sardo Orgosolo è conosciuto per i suoi murales, il primo dei quali fu realizzato nel 1969 da un gruppo di anarchici.
La Street Art è generalmente illegale. Un’arte pubblica non autorizzata, da alcuni percepita come invadente, ma da molti amata, soprattutto di fronte a opere di artisti famosi e ormai parecchio quotati. Ne sa qualcosa Clet, sostenuto dai fiorentini, ostacolato dalle istituzioni. Il celebre artista francese, che appone adesivi sui segnali stradali, stravolgendoli per dargli un nuovo, polemico e divertente look, ha ricevuto innumerevoli verbali dall’amministrazione comunale di Firenze e dai vari paesi e città in cui ha lasciato la sua impronta. Eppure tantissimi sono i casi di istituzioni pubbliche che sempre più frequentemente chiedono la collaborazione degli artisti di strada, commissionando loro le opere, sia perché piacciono, sia perché possono valorizzare spazi degradati ed essere accessibili a tutti. Anche molte città hanno dedicato aree e zone in cui gli artisti, spesso writers, possono esprimersi liberamente, senza che i cittadini giudichino questa arte come atto vandalico o bravata. E voi che ne pensate delle scarpe da ginnastica penzoloni sui fili elettrici o dei boxer verdi attaccati al cartello stradale?