seconda e ultima parte
Dottor Medici, a oggi quante tombe avete trovato?
Una ventina di sepolture: tra i soggetti ci sono molti giovani, alcuni sono anche bambini. Molti di questi avevano avuto delle patologie, inoltre, dall’analisi delle ossa, si evince che erano persone che facevano lavori fisici, probabilmente contadini. Di queste venti sepolture, di scheletri interamente integri ne abbiamo tre, degli altri abbiamo trovato una parte del corpo, questo perché dobbiamo finire di scavarli e anche perché sono tombe sconvolte da sepolture successive, o da scavi moderni che hanno intaccato le fosse con i corpi.
È probabile che con gli scavi successivi troviate altre tombe?
Faremo un saggio stratigrafico per capire: è ipotizzabile che il cimitero sia più ampio e tutto attorno alla chiesa, ma dobbiamo indagare quanto esso si estenda.
Le tombe che avete trovato siete riusciti a datarle?
Ad oggi siamo riusciti a datare solamente alcune tombe perché abbiamo trovato al loro interno delle monete o della ceramica che vanno dal XI secolo al XVII.
Quindi la datazione di una tomba è basata prevalentemente sugli oggetti ritrovati per cui le monete, a quanto mi pare di capire, sono utilissime per la datazione…
Le monete ci danno notizie precise. Si tratta di quello che noi chiamiamo: terminus post quem, ovvero: se una moneta è stata coniata nel 1308, sicuramente quella tomba risale dal 1308 in avanti, non prima, quindi possiamo dire che quella tomba è una sepoltura che risale al 1308 o in avanti, potrebbe essere un po’ più tarda, ma orientativamente siamo lì. Questo sistema di datazione è stato possibile applicarlo ad alcune tombe; altre, che abbiamo trovato e scavato finora, sono abbastanza disturbate quindi è più difficoltoso datarle. Con il procedere degli scavi, quando ne troveremo altre più intatte avremo qualche informazione in più. Nel riempimento di alcune di esse abbiamo trovato ceramiche e maiolica arcaica, quindi anche questo ci dà un termine. Vuole un altro esempio? In una tomba abbiamo trovato una medaglietta giubilare del 1600, sul retro è rappresentata la Porta Santa.
Che monete avete trovato finora?
Dal periodo romano a tutto il medioevo, il maggior numero sono medievali e questo ci fa capire il periodo in cui c’era una maggior frequentazione del sito. Sono tutte monete di uso corrente, monete piccole: ciò significa che si trattava di gente povera. Abbiamo trovato anche un solido d’oro, parliamo quindi del V-VI secolo, probabilmente qui sono passati o c’erano dei soldati romani. È anche vero, però, che potrebbe essere un’imitazione, cioè essere stata coniata, imitata, da zecche dei regni barbarici non autorizzate. In fondo l’oro era oro e il suo valore non veniva alterato, anche qualora fosse stata un’imitazione. Per quanto bella questa moneta sia, è stata trovata fuori contesto, cioè in superficie e non aiuta a datare il periodo storico, mentre il ritrovamento di una moneta, anche se di valore inferiore, nello strato, mi entusiasma maggiormente, perché mi è utile per datare.
Quale significato ha per un archeologo il verbo scavare?
Per noi ha un doppio significato. Sì, scavare, ma anche capire cos’è il nostro passato. Scavare non è solo trovare, che ovviamente per noi è importante, ma è anche sinonimo di comprendere, capire. È attraverso l’atto di scavare che percorriamo gli anni all’indietro. È ovvio che quando scavi e trovi un oggetto la sensazione che si prova, la potrei definire fanciullesca: di stupore, di gioia. Vieni ripagato dello sforzo di togliere terra dura, e metti in luce un oggetto, dandogli voce, dopo che è stato muto da secoli. Potrebbe essere anche un pezzo di mattone, non solo una collana, un anello, o altri oggetti: ciò che conta è far venire alla luce qualcosa che era nascosto da tanto tempo. E poi, a quel qualcosa stai dando un nuovo significato, perché permette di capire qualcosa di più di un pezzo che era sconosciuto. Magari sono sassi o piastrelle senza valore, ma il procedere anche un millimetro alla volta è un pezzetto di ricerca.
A questo proposito, un millimetro alla volta… quanta pazienza è necessaria nella sua professione?
Tanta, le basti pensare che in una tomba abbiamo trovato delle perline della grandezza di uno-due millimetri, l’idea è che facciano parte di un ornamento, o di una collana o di un velo. Sono almeno trecento! Mi riallaccio a quanto le dicevo prima riguardo al solido d’oro che, per quanto bella, quella moneta non mi racconta granché, quelle perline mi danno delle indicazioni. La pazienza che abbiamo messo per estrarle è stata in parte ripagata, perché ci racconta qualcosa. Lo stesso vale per le ossa dei poveri morti: per riportarli alla luce è necessaria molta pazienza, si procede pezzetto per pezzetto. Spesso sono i particolari dei ritrovamenti a fornirci informazioni per esempio sul cibo, sul quotidiano e questo contribuisce ad aumentare la conoscenza.
Oltre ai dati scientifici e alle indagini necessarie per datare un reperto, quanto la fantasia e l’immaginazione aiutano in questo lavoro?
Aiutano e sono anche un problema: più che la fantasia, ciò che aiuta è avere una capacità intuitiva e di collegamento. Troppa fantasia è un problema: c’è il rischio di scavare con la probabilità di cercare ciò che si vuole trovare. Si deve scavare senza idea, perciò in maniera oggettiva. Se parto convinto che in quel punto ci sia la fossa di una sepoltura, io alla fine vedrò il taglio della fossa, è quindi facile essere tratti in inganno se parti con l’idea di trovarla, perciò è fondamentale fare ipotesi senza farsi inquinare dall’idea che ci siamo fatti. È con questo atteggiamento mentale che devi porti quando ti accingi a uno scavo, quindi ad osservare.
Cosa la affascina del passato così lontano nel tempo?
A me quello che affascina dello studio del passato è capire da dove vengono le cose. Quando scavo mi interessa capire perché, per esempio, oggi abbiamo le case fatte in questo modo, mentre in altre parti del mondo sono diverse. Quali elementi hanno caratterizzato lo sviluppo di una cosa proprio in quella maniera.
Ma il passato quanto è presente?
La storia è ciclica, ma non è ciclica, sembra ripetersi perché sono sempre gli umani che la scrivono. Noi ragioniamo in quanto umani, e, in quanto tali, deriviamo da un’unica specie. È chiaro che poi la cultura ci plasma in maniera diversa. Lo studio delle civiltà passate ci può aiutare a capire certi meccanismi con cui pensiamo. Capire la dinamica storica ci consente di analizzare nel concreto le caratteristiche diverse, ci può far capire meglio il perché certi eventi succedono. Un esempio: si può capire perché in quasi tutte le civiltà i monarchi abbiano una corona, si può studiare il processo mentale per cui praticamente tutte le popolazioni abbiano adottato questi copricapi, ma questo non significa che tutte le corone siano uguali, anzi, sono tutte diverse, proprio perché ognuna è legata alla propria cultura di provenienza. Un processo mentale simile, ma un oggetto mille volte diverso. L’archeologia e la storia ti permettono di veder queste dinamiche. Ovviamente c’è anche il fascino di scoprire qualcosa di una civiltà perduta, qualcosa che non si conosceva e quindi di “riscoprire”. Un aspetto che noto, e che trovo curioso e interessante, è che spesso si è attratti da quello che è più antico e sconosciuto, tralasciando magari qualcosa di più recente, ma in verità ogni periodo ha il proprio valore.
In questa intervista più volte ha usato il plurale per parlare del lavoro di scavo. Ho avuto il piacere di conoscere la sua collega, la dottoressa Natascia Druscovic, ma anche altri hanno contribuito al risultato di questi scavi, faccio due nomi: Claudio Bonci, nostro amico comune, Vito de Meo ed altri volontari appassionati di archeologia. Quanto è importante lo spirito di gruppo?
È importante. Alla base di tutto ci deve essere il rispetto fra persone e, nel caso di Natascia, anche tra professionisti. Quando lavori a stretto contatto con più persone, avere una buona dinamica è fondamentale. In un gruppo di lavoro devono esserci gli stessi obbiettivi e ciascuno deve rispettare il ruolo dell’altro. Quando lavori con il contributo dei volontari è fondamentale che questi sappiano che ciò che per loro è una passione, per altri è una professione, in quel caso le dinamiche funzionano molto bene perché c’è rispetto reciproco e consapevolezza che ciascuno ha il proprio ruolo e non c’è prevaricazione della professionalità di chi professionista è. Il contributo in questo caso è utile.