seconda e ultima parte
Voi abitate a Fivizzano…
Damian: Sì, ma siamo spesso in giro per il mondo: è un modo di vivere. Lavoriamo molto in festival, eventi dove rimaniamo per un giorno o, magari, due, tre, siamo sempre in viaggio. Deve piacerti o, forse, non deve dispiacerti, dover stare sempre con le valigie. È più noioso tornare a casa, perché hai un sacco di cose da fare, devi mettere tutto in ordine. Spesso ci chiedono come facciamo a stare tanto tempo lontano da casa, con il bambino. Sono domande fatte senza cattiveria, perché non conoscono, c’è curiosità. Devi accettarti come artista. Insieme a Edvige abbiamo iniziato a fare circo da grandi: io, quando sono tornato in Argentina, ho incontrato la mia direttrice della scuola e lei mi ha ricordato quando le chiesi se si poteva vivere di circo. Noi siamo condizionati da una società, in cui i nostri amici fanno un lavoro dalle 8 alle 17, hanno il posto fisso; noi artisti del circo abbiamo contratti di sei mesi, un anno, massimo due, ma alla fine dobbiamo sempre ricominciare. Per questo bisogna restare allenati. L’artista è sempre un disastro: è uno che vide di speranza. Mentre lavori oggi, pensi a quello che farai domani. In Italia, purtroppo, l’artista passa più tempo a cercare lavoro, che a fare altre cose. Noi ci organizziamo suddividendoci il lavoro: io mando le mail in giro per il mondo, lei risponde, uno si occupa dei bandi, l’altro di altre cose burocratiche. Quest’anno abbiamo festeggiato dieci anni di lavoro della nostra compagnia. Stiamo lavorando ad un nuovo spettacolo con un regista, ci stiamo ampliando. Ormai ci siamo fatti conoscere e ci chiamano anche senza che noi ci si proponga: Capita che facciamo uno spettacolo in un comune ed allora gli amministratori ci richiamano.
Come siete finiti in Lunigiana?
Damian: Abbiamo lavorato per un po’ di tempo a Ponzano, vicino a Sarzana poi, a fine progetto, conoscevamo i Nani Rossi che stanno a Gragnola (frazione di Fivizzano, n.d.r.) e loro ci hanno aiutati a trovare un posto in zona. Noi abitiamo a Panigaletto, una piccola frazione. Cercavamo una casa in questa zona, per non tornare a Torino e, grazie ad un annuncio, abbiamo subito trovato questa casa dove i vicini ci hanno accolti bene. Fivizzano è un bel paese, ci sentiamo a casa.
Quando ho letto per la prima volta il nome della vostra compagnia: “Autoportante” ho pensato ad una ditta di costruzioni. Come mai questo nome?
Edvige: Quando abbiamo fondato la compagnia dovevamo darle subito un nome visto che stavamo vendendo lo spettacolo ed io studiavo ingegneria, architettura: quindi “autoportante”. Del resto avevo un cane che si chiamava Perimetro. La struttura che ancora oggi usiamo l’ho progettata io ed è autoportante perché per come è costruita, si adatta alla necessità di poter essere montata e smontata in poco tempo. Fondamentalmente sono due pali ed un filo, ma in realtà hai bisogno che regga almeno due tonnellate, il filo deve essere regolato in tensione, c’è bisogno di una base solida che regga tutto. È un po’ più complesso
Edvige, la scelta del filo è stata casuale?
Per me è amore. Venendo dalla ginnastica artistica, ho provato tutto, ma quando ho visto il filo mi sono innamorata. È stata una questione mentale, non solo di prestazione fisica. All’inizio ebbi un vecchio maestro, molto severo, che mi indicò quella strada, insieme feci anche trapezio, ma, alla fine, il filo è rimasta la mia passione. E poi il filo non è mai sempre lo stesso per cui devi prepararti, oltre che fisicamente, anche mentalmente, ogni volta che ci esibiamo è una storia diversa, una sfida diversa. Ogni situazione si presenta in maniera differente, magari sei al chiuso e cerchi di capire se il pubblico ti segue oppure sei fuori e tira vento o inizia a piovere a nevicare. Ci è successo davvero di tutto.
Damian: Quando ho iniziato a fare circo, la mamma di un’amica mi ha suggerito di leggere ‘Lo Zen e il tiro con l’arco’ . Lo lessi dieci anni dopo e dissi:‘wow’, è una figata pazzesca. L’ho passato a Edvige. È vero: ci sono delle cose che tu fai e devi essere qui, la famosa teoria del qui ed ora. Lo spettatore ha un rapporto diverso rispetto a quello che abbiamo noi, lui pensa che è tutto divertente, ma per noi ogni volta è una cosa diversa. Anche il pubblico è diverso a seconda di dove andiamo. Nel Nord Europa sono più rispettosi ed applaudono tutti in uno stesso momento, in Italia invece applaudono quando gli pare, durante lo spettacolo ti parlano, ti commentano e a noi piace.
Edvige: A me piace affrontare, ogni volta, una sfida nuova: piazza diversa, tempo diverso, pubblico diverso. Mi piace molto la strada ed è molto difficile: è diverso rispetto al teatro, perché il pubblico è vicino e senti l’energia. È uno scambio molto bello e, viaggiando per il mondo, ti accorgi che ogni paese ha una cultura totalmente differente ed ho dei ricordi molto belli di ogni parte del mondo in cui sono stata. Il nostro primo spettacolo “Fuori al naturale”, che abbiamo fatto mentre io lavoravo e lui studiava, lo abbiamo creato con il pubblico, quasi registrando direttamente le reazioni che aveva. Cosa funzionava, cosa non funzionava, perché era stato creato proprio lavorando sulla strada. Per la nostra nuova creazione abbiamo deciso di affidarci ad un regista, che ne curerà ogni dettaglio: si tratta di uno spettacolo diverso che avrà anche una musicista dal vivo. È un progetto diverso per mettere alla prova le nostre potenzialità con l’occhio di un altro.
Ci vuole più talento o più costanza nell’allenamento?
Edvige: Per me le due cose insieme: il talento muore se non lo alleni. L’artista che non si allena perde tanto e lo vedi, quando uno decide di sedersi, lo vedi. Ogni giorno devi chiederti cosa vuoi fare di nuovo, come puoi migliorare, perché non si smette mai di imparare. Avendo fatto danza, quando faccio qualcosa in quel campo, imparo più in fretta. Una volta ho pensato di imparare il pianoforte, ma per me è stato impossibile perché il linguaggio della danza è più accessibile. Ognuno è portato per qualcosa.
Damian: Per me no, se hai talento meglio, ma devi lavorare. Se ti alleni anche solo un’ora al giorno puoi vivere di rendita, ma prima devi dare tanto. Non penso ci sia un altro modo per diventare bravo. Se hai talento, è più facile apprendere: il talentuoso con lo stesso allenamento di un altro fa più cose, impara più in fretta ma alla base c’è il lavoro.
Camminare sul filo vuol dire anche cadere delle volte. È successo?
Damian: Sì, ed ho avuto anche due belle cadute. Noi camminiamo a circa un metro e ottanta centimetri da terra, devi mettere in conto che puoi cadere sempre ed è successo quando stavo alla scuola di circo, tra l’altro mi tagliai anche, ed un’altra volta scendendo, mi ruppi il ginocchio, ma è la vita. Però ogni volta che cadi, poi ti rialzi e non vuol dire che non sei capace a fare una cosa, semplicemente devi metterlo in conto.
Ho visto che andate sul filo con i tacchi, con le ciabatte, con tutto. C’è qualcosa che forse non avete mai utilizzato? Forse vi mancano le pinne…
Edvige: Una volta ho messo anche quelle e volevo utilizzarle, ma non lo abbiamo mai fatto alla fine. All’inizio vuoi sempre usare le tue scarpine da filo, perfette, però poi ti viene la voglia di giocare, goderti il tuo tempo sul filo, ma sempre con il rispetto per l’attrezzo, senza mai andare oltre, mai dare troppa confidenza a te stesso. Il filo va rispettato perché, se non lo prendi sul serio, poi, ti richiama all’ordine.”
Chi è più bravo dei due?
Damian: La cosa più bella del filo è che ognuno ha il suo stile. Per fortuna nel circo non esiste la competizione. Lei cammina sui tacchi ed io non lo potrei mai fare, ma se lei è più brava in qualche cosa io lo sono in qualcos’altro. Le ultime volte che sono caduto è perché pensavo ad altre cose. Quando siamo sul filo non siamo mai soli, siamo sempre in due, quindi è un lavoro in tre che facciamo. Noi due ed il filo.
Ho visto il loro spettacolo ed è stato sorprendente e, a tratti, anche emozionante vederli camminare con disinvoltura su quel filo. Mi ha appassionato vedere con quale intesa si scambiavano occhiate, suggerimenti e si sostenevano a vicenda. Lo spettacolo è durato poco meno di un’ora, che è letteralmente volata via, quasi senza che ce ne accorgessimo. Durante la presentazione hanno pregato gli spettatori di non fare fotografie ed anche questo mi ha colpito, l’ho preso come un invito a non pensare a tutto ciò che stava fuori da quel tendone e nemmeno al caldo che, lì sotto, si faceva sentire eccome. Ed avevano ragione, quel piccolo lasso di tempo è scivolato via come nulla, ci siamo divertiti, abbiamo riso, abbiamo sostenuto Damian quando ha sbagliato un salto e lo abbiamo applaudito quando è riuscito a farlo al secondo tentativo, come se quel salto lo avessimo fatto noi, insieme a lui. Ci siamo lasciati rapire come se fossimo tornati bambini anzi, per qualche minuto, lo eravamo davvero. La magia dello spettacolo e del circo è anche questa. Non vedo l’ora di rivederli e di poter scambiare ancora due chiacchiere con loro.