Ha spaziato in ogni ambito e in ogni genere musicale, l’unico in cui non si era ancora cimentato era la lirica: adesso ha coperto anche questa casella, addirittura scrivendo un’intera opera lirica dedicata al tratto più distintivo della storia della sua città. Lui è Roberto Martinelli, avenzino doc – come lui stesso si definisce – e l’opera che ha composto è dedicata al marmo, alle cave, alla vita dura dei cavatori e delle loro mogli negli anni ’50. Un tributo a ciò che contraddistingue e segna, da sempre, Carrara, la sua città. L’opera “Marmo Bianco”, interamente composta da lui sul libretto scritto appositamente per il suo progetto dalla poetessa apuana Egizia Malatesta, apparirà al pubblico per la prima volta sabato 18 maggio, al teatro Animosi, e vedrà sul palco il coro Montesagro. In effetti, non si tratterà dell’intera messa in scena dell’opera, ma di un corposo estratto che comprende le arie più significative: una sorta di preziosissima preview che non poteva non svolgersi nella città del marmo. Roberto Martinelli ha un ricco passato nella musica ad altissimi livelli: ha lavorato a Milano e a Boston, ha scritto colonne sonore per film e sceneggiati tv, ha collaborato con moltissimi tra i più grandi artisti italiani e non solo, tra i quali Gino Paoli, nel cui team musicale è stato per dieci anni. Da qualche anno è tornato a vivere nella sua terra d’origine, stabilendosi, però a Caprigliola, in Lunigiana. Lo abbiamo raggiunto al telefono per saperne di più sulla sua ultima creazione:
“Marmo Bianco” si presenta con molti aspetti di originalità a cominciare dall’uso di un coro alpino per un’opera lirica. Perché il Coro Montesagro?
In realtà io sono, da sempre legatissimo al Coro Montesagro. Mio fratello faceva parte di questo coro e io ho conosciuto i vari direttori validissimi che si sono susseguiti dal maestro Enrico Salines, che lo fondò, al maestro Meccheri e all’attuale Alessandro Buggiani che è un grande musicista. L’anno scorso il coro Montesagro ha festeggiato i 60 anni dalla sua fondazione e mi piaceva coinvolgerli perché per me sono come dei fratelli.
Qual è stato il suo percorso nella musica?
Io sono un compositore e un arrangiatore. Mi sono diplomato in composizione e direzione di musica polifonica e corale al Conservatorio di Firenze. Poi ho preso il diploma di clarinetto al Conservatorio di Trento. Di seguito ho vinto una borsa di studio a Boston per studiare sassofono jazz e, dopo, questa, sono rimasto in America per un po’. Avevo diverse proposte per restare per sempre, ma il richiamo dell’Italia era troppo forte e sono tornato, lavorando a Milano e in altre grandi città. Il mio percorso nella musica è molto eclettico e ha compreso un po’ tutto: dalla musica classica, al jazz, al pop, alla canzone popolare italiana. Ho collaborato con Gino Paoli, ho lavorato in Rai per molto temo. Sono stato io ad arrangiare l’ultima versione di Volare di Modugno mandata dalla Rai. Ho suonato con l’orchestra dell’Opera di Roma e poi ho composto molte colonne sonore per varie produzioni.
Come mai, lei che ha toccato tutti i generi musicali tranne la lirica, ha deciso di scrivere proprio un’opera lirica?
Devo dire che si è trattato di una specie di illuminazione che mi è arrivato in uno dei miei ritorni nella mia terra. Stavo facendo il bagno al mare e guardavo le Apuane che si vedono benissimo da lì. In quel momento mi è nata l’idea di comporre qualcosa per celebrare quel luogo e la sua storia e, quasi contemporaneamente ho capito che l’unica forma possibile era solo un’opera, perché l’opera è il genere musicale più profondamente italiano che esista ed è anche una passione molto radicata a Carrara e poi, perché la composizione di nuove opere è una cosa talmente infrequente da non essere quasi percepita.
Cosa intende?
L’opera, la melodia, il belcanto sono nati in Italia e sono stati una prerogativa italiana fino agli anni Venti del ‘900. Fino a quel momento la musica lirica o alta era molto popolare, poi c’è stato un distacco netto Da quel momento in poi si è aperto un gap nella composizione di opere nuove, che non si è più colmato e ancora oggi si continua a rappresentare lo stesso repertorio di opere di oltre un secolo fa. La musica lirica ha perso quel contatto stretto con il popolo ed è diventata interesse di un elite intellettuale. Io ho fatto una summa di tutte le mie esperienze musicali e poi ho scelto di raccontare una storia attraverso la melodia e la cantabilità di un’opera che era il contenitore ideale e lo strumento per fare un tributo alla mia città. Ho cercato di fare un ponte che si ricollegasse all’opera di un secolo fa. Quest’opera è una specie di monumento musicale al marmo.
Qual è stata la genesi dell’opera?
Anche quella è stata casuale. Sette anni fa partecipai a un reading poetico dove conobbi la poetessa Egizia Malatesta, anche lei apuana come me. Le proposi di scrivere il libretto dell’opera che avevo in mente e dopo sei mesi lei mi consegnò un vero capolavoro, basato su eventi e storie vere, tratte dalla sua memoria.
Qual è la trama di “Marmo Bianco”?
Si tratta di una storia ambientata a metà degli anni Cinquanta, più o meno l’epoca delle ultime lizzature. La vicenda di svolge nell’arco di un’unica giornata che comincia, però alla sera, in un’osteria dove i cavatori festeggiano al paga ricevuta, bevendo e cantando e venendo redarguiti dal capocava che ricorda loro il lavoro che li aspetta l’indomani all’alba. Su questo sfondo c’è la storia di una giovane ragazza che dedica il suo canto d’amore al fidanzato cavatore che ha da poco iniziato ad andare in cava e poi ci sono anche le donne carrarine, le mogli, le madri, le sorelle, le fidanzate dei cavatori che si ritrovano al lavatoio per lavare i panni e condividono i loro sogni, le loro paure, le loro speranze. La storia procede fino al pomeriggio quando in città arriva la drammatica notizia di un incidente alle cave. Dentro l’opera ci sono tutti gli elementi simbolo della storia del marmo carrarese: dal suono della buccina, detta mugnon in dialetto, che annunciava lo scoppio di una mina agli scarponi agli arnesi da lavoro dei cavatori. E poi c’è anche la ginestra che rappresenta la sintesi del messaggio dell’opera: la raffigurazione di un mestiere, quello del cavatore, che non dovrebbe distruggere ma rispettare la natura. La ginestra nasce tra le spaccature del marmo, se ne nutre, ma lo rispetta. All’inizio dell’opera ho inserito un canto originale dei lizzatori che venne raccolto da un etnomusicologo che dedicò la vita a registrare i canti di lavoro originali in tutto il mondo. Ho voluto dedicare l’opera a mio padre Bruno Martinelli, che lavorava alle cave e a tutta la gente apuana.
Quanto dura l’opera Marmo Bianco?
Dura due ore. È divisa in due atti e inizia con tre squilli di buccina seguiti dal colpo di una varata e poi dal canto originale dei lizzatori. Ma il 18 maggio ne rappresenteremo solo un estratto di un’ora e un quarto. Ci sarà il coro Montesagro con 18 elementi. Prima di scrivere l’opera sono andato, in incognito, ad ascoltare il coro in un’esibizione per cogliere bene il loro suono e poterlo inserire in ciò che avrei scritto. Devo dire che loro sono veramente straordinari. Non sono un coro alpino, ma un coro d’autore: una vera eccellenza della città che andrebbe valorizzata al meglio. Oltre al coro Montesagro ci saranno sette solisti e una voce narrante. E poi ci saranno i musicisti, otto con me che dirigerò anche. Il tutto sarà fatto senza l’uso di alcun microfono, esattamente come si fanno le opere liriche: sarà tutto vero e crudo come il marmo.
Una nuova opera scritta e dedicata a una città che ama, da sempre l’opera. Una corale che farà canto lirico. Ci sono altre originalità nell’Opera Marmo Bianco?
In realtà, sì: abbiamo scoperto, facendo anche una ricerca che nella storia della lirica non risultano esserci librettisti donne. Quindi la nostra Egizia Malatesta sarà la prima donna autrice del libretto di un’opera nella storia della lirica.
La prevendita dei biglietti per l’opera Marmo Bianco è già aperta su vivaticket.