foto di Silvia Meacci
I crostini neri sono un antipasto toscano a base di fettine di pane con un pâté di fegati, cuori, talvolta milza, il tutto profumato con acciughe, capperi, salvia e cipolla. Sono tipici della zona fiorentina e aretina, ma sono conosciuti in tutta la regione. Quando ero piccola mi domandavo come potessero le carni color rubino, lucide, scivolose, perfino ributtanti, dei fegatini di pollo, evolversi in una salsa aggraziata e deliziosa come quella dei “crostini neri”. Miracoli della cucina. Ricordo il mio sbigottimento soprattutto quando mio padre “lavorava” la milza appoggiata sul tagliere. Ci passava sopra il coltello con evidente sforzo per far uscire dal tessuto spugnoso una massa rosso fegato. A ripensarci ho un lieve sussulto, non so se potrei assistere adesso alla spremitura della milza, ora che, benché carnivora, comprendo la scelta di molti vegetariani. Allora la compravamo per aggiungerla ai fegatini che mio padre precedentemente aveva ripulito da ogni possibile traccia di fiele, la cui presenza avrebbe altrimenti reso amara la salsa. A me parevano compiti difficili, o almeno così mi faceva credere lui. Eseguiva questa operazione dentro a una vaschetta d’acqua e mi ricordo bene il colore verde muschio della bile che riusciva a rimuovere con soddisfazione.
Lasciava poi “sfrigolare” olio, cipolla e salvia, ci aggiungeva i fegatelli e lasciava cuocere un po’. Successivamente tritava tutto con la mezzaluna. Era un rito, di tradizione, di pazienza, di aspettative, riassunto dell’ingegno della povera gente costretta nel passato a inventarsi ricette e modi di preparare parti meno nobili degli animali. Mio padre tagliava le interiora finemente. La grana sarebbe comunque rimasta granulosa, verace. Un pregio che avrebbe accolto i complimenti dei commensali. Oggigiorno si è tentati di frullare i fegatini con il mixer. Si ottiene un pâté liscio e vellutato, buono, ma non in linea con la tradizione. Un enigma cui non ho mai trovato una soluzione è come si sia pensato di aggiungere acciughe o pasta d’acciughe ad un composto di carne rossa. Più facile comprendere l’utilizzo dei capperi per sgrassare e conferire alla salsa un gusto acido, nota che nel medioevo era data a molti piatti dall’agresto.
Si pensa che l’origine dell’uso del pane per fare scarpette e gustare i sughi risalga ai tempi degli antichi romani e anche prima. È molto interessante ricordare le parole premonitrici di Anchise sul futuro di Enea. “Sentirai la fame tanto da mangiare “le mense”, i dischi di pane o di farro essiccato su cui si posavano le vivande”.
“Or che l’ingorda fame
addir ti deggia a
trangugiar le mense”
Certamente abbiamo testimonianze che in epoca medievale le fette di pane fungevano da “piatto” per appoggiarci sopra il companatico. Era anche un modo per “ammorbidire” il pane raffermo, dato che si faceva una sola volta alla settimana. Vi si appoggiavano vari tipi di cibi e non è da escludere che il sapore della vivanda precedente rimasto sul pane suggerisse nuovi accostamenti nella preparazione di altre ricette. È per questo che si aggiungono le acciughe ai fegatini?
L’utilizzo del pane come base per verdure o carni di seconda scelta era diffuso tra le persone di bassa estrazione sociale, poiché non avevano né i piatti, né i soldi per cibi ricchi. Tuttavia anche i nobili adottarono l’abitudine di servire all’inizio del banchetto varie salse su pane prima di offrire i consueti arrosti di cacciagione.
Nel “Liber de coquina”, ricettario scritto in latino volgare sulle abitudini alimentari delle corti italiane ed europee, troviamo le indicazioni per un “pâté” di fegatini di piccioni o polli, da arrostire, pestare in mortaio con pepe e con pane arrostito e ammorbidito con vino e aceto e da bollire a piacimento.“Pro columbis vel pullis, accipe ficatella eorum sive jecora, quod idem ist. Et assa super prunas. Et pos tere in mo[r]tario cum pipere et pane assato mollificato et distemperato cum vino et aceto. Et fac bullire, si vis”.
Oggigiorno ogni famiglia ha la sua variante tramandata da nonne e bisnonne. Per la base molti utilizzano solo la salvia e la cipolla, altri fanno il soffritto di carota cipolla e sedano. Una variante dei crostini prevede il vinsanto per allungare la salsa o addirittura bagnare, assieme al brodo, le fette di pane arrostite. La trovo molto gustosa e in un certo senso più “medievale”, più affine al gusto agrodolce. Una noce di burro a pàté finito e a fuoco spento è, secondo me, un tocco irrinunciabile.
Di certo i crostini neri sono adatti per buffet, feste, pranzi e cene: accompagnati da salumi toscani e formaggi, sono un antipasto perfetto con un vino rosso giovane e grintoso come un Chianti DOCG “Biskero” 2022, da uve Sangiovese, Canaiolo e Mammolo.
Buon appetito!