Il teatro nelle foglie è una cooperativa artistica composta da sei artisti provenienti da Genova, da Pordenone, Prato, dalla Francia, dall’Uruguay e dall’Argentina: un mix di culture diverse che si sono stabilite in Lunigiana per trasformarla in una base per i loro spettacoli in giro per il mondo. Mi fermo a fare due chiacchiere con Marta sotto un classico tendone da circo, che è stato montato a Fivizzano per una delle tappe del loro tour che dal 25 aprile durerà fino al 5 maggio.
Sono rimasto colpito dal vostro nome “Teatro nelle foglie”, perché?
Noi nasciamo, innanzi tutto, come artisti di strada e dopo varie esperienze nei teatri abbiamo deciso di farne uno nostro itinerante per cui quello che vedi oggi è il nostro tendone. Questa scelta è stata presa per portare la nostra proposta culturale fuori dai centri urbani, dove già l’offerta è molto variegata, dedicandoci di più ai posti in campagna, in mezzo alla natura e nei borghi: il nostro nome viene da lì. In realtà c’è anche un secondo motivo che ha determinato questa scelta: il nostro primo spettacolo si chiamava “Ballata d’autunno” e la scena veniva letteralmente invasa dalle foglie per cui era davvero un teatro nelle foglie
Quando si dice circo, ci si aspetta di vedere dei personaggi stereotipati: il domatore di leoni, il pagliaccio, l’acrobata. Il vostro, invece, è qualcosa che assomiglia più ad uno spettacolo, piuttosto che ad una mera performance di artisti circensi…
È vero, come avrai potuto notare, noi abbiamo una struttura che ha le sembianze di un tendone da circo, sul quale però c’è scritto Teatro, per cui a livello d’immagine creiamo questa dicotomia nella mente dello spettatore. Quello che noi facciamo rientra nel cosiddetto “circo contemporaneo”, una modalità inaugurata negli anni ’90 dal “Cirque du soleil”, che si distacca, tuttavia, dalla classica visione col domatore, il pagliaccio e via dicendo, proprio per il modo con cui è pensato lo spettacolo. Noi usiamo le discipline del circo con le sue tecniche, il suo linguaggio, ma tutto è al servizio di una narrazione. È uno spettacolo teatrale dove raccontiamo una storia, ma non con la prosa o la recitazione, bensì con le tecniche circensi. Da qui, la scelta di avere la doppia anima del teatro in un tendone da circo. Quando lo spettacolo inizia io faccio subito un discorso introduttivo per sottolineare questi aspetti. Noi vogliamo che le persone che fermiamo al mercato o per strada, vedendo la struttura, escano dall’idea del classico spettacolo circense per farsene una nuova e coinvolgente. Vogliamo che si aspettino qualcosa di diverso.
Spesso l’arrivo del circo in un paese risveglia la paura di dover ospitare personaggi non proprio inseriti nella società, quasi degli sbandati. Insomma a volte i circensi sono ingiustamente accompagnati da un’aura negativa. Cosa vuol dire appartenere a questa categoria?
Noi siamo una cooperativa, un’impresa di produzione. Siamo imprenditori di noi stessi, siamo laureati, abbiamo studiato, ci siamo formati ed abbiamo le nostre case. Non apparteniamo a quel tipo di circo che non so nemmeno se esista più, se non nelle menti di alcune persone. I Togni, gli Orfei, sono imprenditori anche loro e gestiscono dei patrimoni importanti. Il tipo di circo a cui hai accennato, esisteva, probabilmente, negli anni del dopoguerra, nel periodo di boom economico, quando ci si poteva inventare un mestiere senza sapere bene cosa fare. La figura del circense ladruncolo è sicuramente un retaggio antico.
Tu in cosa sei laureata?
In lettere ed ho fatto la Scuola di Cinema come sceneggiatrice. In questo momento sto studiando per conseguire la laurea: sarà la seconda, nella prima Università del Circo in Italia che è una branca del DAMS e si trova a Torino. Elena, la mia socia si è già laureata lì.
Come si diventa circensi?
Beh esistono modi diversi. Come ti ho accennato hanno aperto questa nuova università, ma da tanti anni, in Italia, esiste la Scuola di Circo per formarsi come un professionista. Non tutti abbiamo fatto una scuola apposita. Io ho un background che appartiene alla ginnastica artistica, Damian viene dalla danza, Nicholas dal teatro di strada e pur non avendo una formazione specifica, per lui, valgono molto il talento e l’esperienza. Lilù invece era una tirocinante che, grazie ad una convenzione fatta con l’Università del Circo, è venuta da noi: ci siamo trovati bene ed è rimasta qui.
Chi può fare circo? È una professione aperta a tutti senza distinzione di sesso, età, corporatura o ci sono dei limiti?
Se parliamo di spettacolo dal vivo, ti dico che sì: può farlo chiunque. Se mi parli di acrobatiche circensi, dipende da che livello. Per diventare dei professionisti, più vai avanti con l’età più diventa difficile, per evidenti motivi, perché è più difficile addestrare il corpo a certe situazioni. A livello amatoriale chiunque può farlo, scegliendo attività adatte alla propria persona, laddove non esiste alcuna magia, ma solo allenamento. Serve sicuramente una visione perché è una professione faticosa, che richiede tanto sacrificio. Da fuori può apparire divertente e lo è, ma sono necessarie tante rinunce. Si lavora nei giorni di festa, se i tuoi amici vanno a ballare e tornano tardi, tu non puoi perché il mattino dopo devi allenarti o esibirti, spesso devi rinunciare al tuo tempo libero. Diciamo che è sicuramente come la vita degli atleti, degli sportivi, persone che scelgono di fare quello e quanto meno devono avere una vita sana. Noi abbiamo scelto di mettere base qui in Lunigiana, proprio per far conoscere questa disciplina in questo territorio dove ancora non esiste, per proporre un tipo di attività culturale diversa e, poi, per non dover fare, come negli anni passati, delle tournée estenuanti in giro per tutta Italia, per le quali partivamo a marzo da casa e tornavamo ad ottobre. Io e Nicholas siamo stati per tanto tempo a Barcellona, da dove siamo partiti per le nostre tournée che hanno toccato la Spagna, il Portogallo, il Lussemburgo, la Germania. Insomma: tutto bello, ma molto faticoso. Fino a trent’anni è un tipo di vita che può andar bene; poi, ad una certa età cambi e preferisci goderti di più i posti, le relazioni personali. Questo ci ha portato ad avere un bel rapporto con le persone qui in Lunigiana perché ci seguono dove andiamo. Ci siamo spostati a Bigliolo (Aulla, n.d.r.), a Casola, ad Aulla e la gente ci segue, chiedendoci sempre quale sarà il nostro nuovo spettacolo, dove monteremo i nostro tendone.
Ti voglio fare una domanda un po’ controcorrente, se un giorno dovesse presentarsi un artista che propone un numero con gli animali, lo assumeresti?
Noi non lo facciamo, ma non siamo contrari ai numeri con gli animali. Io non faccio giocoleria per il semplice motivo che faccio acrobatica ma, avendo tre gatti, se riuscissi ad addestrarli a fare un numero li porterei volentieri in uno spettacolo con me. Nicholas ha avuto per molto tempo uno spettacolo con un gallo, per esempio. Non li facciamo perchè non rientra nel tipo di spettacoli che proponiamo e non siamo nemmeno attrezzati sia per il mantenimento, sia per l’organizzazione di un’esibizione: dei cavalli nella nostra pista non ci entrerebbero, per capirci. Noi conosciamo circensi che lavorano con animali e li trattano benissimo, con molto amore proprio perché passano tanto tempo insieme e sono la loro fonte di guadagno e di vita. Certo in passato ci sono stati esempi di maltrattamenti, ma credo siano più delle eccezioni. Anche quel tipo di accesso per cui le persone andavano al circo per vedere un animale che, altrimenti, non avrebbero mai potuto vedere in vita loro, non esiste più dal momento che tutti possono viaggiare più agevolmente, vedono i documentari, insomma hanno altri modi per soddisfare le loro curiosità.
Come affrontate un pubblico che non reagisce come vi aspettavate? Magari non ride o non si entusiasma …
Gli spettacoli che noi portiamo in scena e che sono creati da noi, sono rivolti ad uno specifico tipo di pubblico, per cui, se mi accorgo di aver sbagliato, potrei aver valutato male il tipo di spettatori a cui mi sono rivolta oppure la situazione. Ti faccio un esempio: se mi viene chiesto di fare uno spettacolo per le famiglie durante una cena aziendale, in un determinato tipo di ambiente, non ho sbagliato io lo spettacolo, ma è sbagliata la situazione. Non pretendiamo che i nostri spettacoli piacciano per forza, ma dopo tanti anni sappiamo come costruirne uno. Forse è più facile sbagliare il come ed il dove lo stai presentando, la situazione, l’ora. Conta anche la componente umana, può accadere che un giorno uno sia più triste, più spento, più stanco, per cui può mancare di brillantezza, ma in linea di massima lo spettatore non se ne accorge.
Se tu oggi volessi convincermi a venire a vedere il vostro spettacolo di circo, che parole useresti?
Noi non vogliamo convincere nessuno però, se volessi stare al gioco di questa tua domanda, ti posso dire che una delle risposte classiche che ci vengono date quando noi invitiamo le persone ai nostri spettacoli, è che magari non hanno bambini, oppure che non vanno a teatro. A noi viene da rispondere che il nostro non è il circo dei pagliacci per i bambini, ma uno spettacolo di teatro, nel quale usiamo il linguaggio del circo per raccontare una storia e le storie piacciono a tutti quelli che amano ascoltarle. Bisogna avere voglia di aprirsi verso qualcosa che ti stupisca, che ti sorprenda, che ti muova delle emozioni. Deve esserci il desiderio della scoperta.
In alcuni film il circo è visto come un ambiente visionario, dove bisogna essere disposti anche a credere agli elefanti che volano, per fare un esempio. È così?
Anche noi definiamo visionari i nostri spettacoli, perchè vogliamo che diano degli input, uno stimolo alla fantasia delle persone per farle calare in una realtà diversa di quella quotidiana. Noi vorremmo che chi entra nel nostro tendone, per un’ora e mezza si dimentichi della propria vita quotidiana per passare un bel momento e magari poi tornarci. Ovviamente bisogna avere la voglia, bisogna esserne disposti. Spesso chi esce dalle nostre esibizioni ci dice che siamo riusciti a fargli dimenticare la vita quotidiana con tutti i suoi problemi. Senza fare troppi spoiler, noi lavoriamo molto con le ombre, le illusioni, le ambientazioni, i colori proprio per creare un’atmosfera.
Ti lascio lo spazio per un messaggio…
Per noi è stata una sfida venire qui a Fivizzano, perché è un posto un po’ scomodo da raggiungere. Noi abbiamo spettatori da Pisa, Firenze, insomma un po’ da tutta la Toscana e quando eravamo ad Aulla, con l’autostrada a due passi, venivano con piacere. Qui a Fivizzano non sappiamo se la le difficoltà legate alle strade saranno un ostacolo insormontabile. Una bella speranza è sicuramente rappresentata dalle scuole con le quali abbiamo da subito cercato di stabilire un contatto per fare delle attività con gli studenti. Abbiamo avuto ricevuto risposte dai plessi di Aulla, Sarzana, Fivizzano, un po’ da tutti diciamo e siamo sicuri che questa esperienza sarà un’occasione di crescita sia per noi che per loro.
Il “Teatro nelle foglie” di Marta e dei suoi artisti, rimarrà a Fivizzano fino al 5 maggio Io, appena ne ho varcato la soglia, ho subito avuto la sensazione di entrare in un mondo parallelo dove, veramente, le preoccupazioni di tutti i giorni si sono affievolite e l’atmosfera del fantastico mi ha accarezzato. Credo sia stata una fortuna per la Lunigiana, aver attratto un fenomeno culturale di questo genere e che ci si dovrebbe adoperare per non lasciarselo sfuggire. Questa è una terra magica, l’ho detto più volte, ma è anche un posto dove la poesia, l’arte ed il saper vivere passa attraverso questi nuovi modi di saper raccontare, intrattenere ed affascinare. Non rimane che lasciarsi catturare e per qualche momento farsi portare via.