La giornata è stupenda anzi, per essere a metà aprile, direi che fa pure troppo caldo, comunque, noi, con l’indolenza che ci contraddistingue come gli spensierati di fine settimana, a tarda ora, le 10 del mattino – quando i veri escursionisti sono sulle montagne da ore – decidiamo di partire per la Valle degli Alberghi, sulle Apuane, così denominata per il grande casolare posto a 973 metri di quota, un tempo adibito a sala motori e ricovero dei cavatori che quassù trovavano “albergo”dopo le lunghe ed estenuanti giornate di lavoro.
Partiamo dunque da Massa e risaliamo il corso del fiume Frigido fino al paese di Forno; proseguiamo verso la Filanda, l’antico cotonificio che tanto benessere portò agli abitanti del luogo, prima di essere irrimediabilmente danneggiato dagli eventi bellici. Dopo tre chilometri, eccoci alla fine della strada asfaltata in località Biforco, il cui nome è evidentemente dovuto al fatto che da qui si “biforcano” a sinistra il Canal Fondone, sentieri CAI 167 e168, ed a destra il Canale di Cerignano, sentiero CAI 36.
Parcheggiamo senza alcun problema e superata una sbarra che delimita l’accesso alla zona di escavazione, dopo pochi metri, troviamo le puntuali indicazioni CAI che ci informano sullo stato dei sentieri: in particolare, il 168 per la Foce Rasori risulta essere non praticabile.
Cominciamo a salire sulla sinistra la vecchia via della cava Romana, ora dismessa ed in un tratto semidistrutta dall’impeto delle acque, sotto un sole che inaspettatamente picchia forte sulle nostre teste, abbacinati dal biancore del marmo.A quindici minuti deviamo sulla destra e facciamo una sosta presso l’ingresso, ora sbarrato, della vecchia galleria scavata nella roccia che costituiva l’accesso alla Cava Romana dalla quale si estrae fin dal 1700 il marmo più puro delle Apuane: il Bianco P.Questo pregiato marmo, di una purezza eccezionale, totalmente privo di venature e più bianco del latte si estrae esclusivamente in questa zona ed è ovviamente ricercato e conosciuto in tutto il mondo.
Torniamo sui nostri passi e proseguiamo il cammino fino ad incontrare l’attacco del 167 meglio conosciuto come “Lizza degli Alberghi”, un sentiero costruito dai cavatori con contrafforti e muri a secco, sul quale venivano calati a forza di braccia i blocchi di marmo delle cave aperte a settecento metri di quota più in alto.
Dopo poche centinaia di metri la “Lizza”, fortunatamente per noi, s’inoltra in un bosco ombroso che ci permette di salire, seppure con fatica, protetti dai raggi implacabili del sole; alzando gli occhi, è impossibile non ammirare il verde smeraldo delle prime foglie dei faggi sullo sfondo dall’azzurro terso del cielo.
Il sentiero è tutto sommato abbastanza ben conservata e, lungo di esso, si notano gli inconfondibili fori scavati nel marmo alcuni con i vecchi “piri”, uno dei quali in marmo, ancora piantati che servivano a tenere e mollare le funi d’imbrago dei blocchi.Dopo circa un’ora, arriviamo sul crinale a quota 840 metri; qui il sentiero diventa pianeggiante aprendosi sulla valle e lo spettacolo che si para davanti è di quelli che lasciano senza fiato.
Sulla sinistra, la mole massiccia del monte Grondilice, 1809 metri, poi il Passo delle Pecore e quindi il monte Contrario, 1789 metri, le quattro gobbe del monte Cavallo, 1895 metri, la cui coda discende a sud verso la Punta Carina che sta alle Alpi Apuane come il Dente del Gigante sta alle Alpi Graie.
Al centro della vallata in alto ecco apparire la nostra meta: la Casa degli Alberghi, verso la quale ci dirigiamo, sbagliando strada, inerpicandoci in un aspro canalone roccioso alla sommità del quale ritroviamo il 167, per accorgerci che siamo saliti ben più in alto.Non ci resta che scendere seguendo i segnali CAI fino ad incontrare il bivio con il sentiero blu che ci porta in breve alla meta.
La Casa è ormai fatiscente e completamente abbandonata; al suo interno un vecchio compressore ed i resti di quella che doveva essere un’imponente sala macchine nella quale, a giudicare dalle tracce lasciate a terra, la fanno ormai da padrone le capre; al piano superiore le stanze che davano albergo ai cavatori. Risaliamo fino ad un vecchio rudere posto pochi metri più in alto e qui, finalmente, ci fermiamo in un praticello erboso all’ombra di una parete a rifocillarci e ad ammirare lo spettacolo dell’anfiteatro che si offre ai nostri occhi.
In lontananza vediamo due rocciatori che si arrampicano lentamente sul primo tratto, un lastrone inclinato, della ferrata del Contrario; questa ferrata, la più lunga ed impegnativa delle Apuane, prosegue, poi, per altri quattrocento metri su una parete strapiombante per giungere in prossimità del Passo delle Pecore.
Ovviamente non è pane per i nostri denti ed io mi limito a pensare che forse con qualche anno in meno sulle spalle…Ma insomma già essere arrivati fin qui a godere di questo spettacolo è certamente appagante.
Il ritorno è abbastanza agevole anche se ogni passo deve essere cauto per evitare spiacevoli cadute e mi vien fatto di pensare che, proprio per questa costante e necessaria attenzione da porre sia in salita che in discesa, la mente si libera da ogni pensiero di vita quotidiana, ricevendone qualche ora di completo abbandono.
Giunti nei pressi della cava romana, recuperiamo, in un magazzino fatiscente ed abbandonato, una vecchia cassa porta attrezzi decisamente malmessa che però, a detta di una componente del gruppo, se debitamente restaurata potrebbe diventare un originale oggetto d’arredo. L’ultimo tratto di discesa, con la pesante cassa da portare, presenta degli aspetti indubbiamente esilaranti.
Finalmente a casa dove ci attende il consueto spuntino serale a base di acciughe marinate che questa volta vengono accompagnate con un fresco prosecco anziché dall’ignobile birra che i miei compagni erano soliti bere suscitando la mia indignazione.
Vuoi vedere che, a giudicare da come spariscono un paio di bottiglie, alla fine mi daranno ragione?