foto di Silvia Meacci
All’interno del Museo di Antropologia e Etnologia di Firenze, il più antico museo antropologico in Europa, si è tenuto il 3 aprile un talk tra l’artista nativa australiana Maree Clarke e le curatrici Valentina Gensini e Renata Summo O’Connell. Gli studiosi hanno accolto l’ospite nella suggestiva Sala Oceanica, proprio accanto alla grande teca che ospita i reperti afferenti al suo popolo. Durante la conversazione è stata proiettata un’opera video che, idealmente, ha dialogato con i manufatti esposti, trasmettendogli il respiro della natura australiana. Si è trattato di un incontro delicato e sentito, di alto valore culturale ed emotivo, importante per rivalutare la conoscenza e la diffusione delle culture.
Maree Clarke ha detto: “Siamo la più antica cultura vivente al mondo e invece, osservando i vari musei a noi dedicati, sembra che il tempo si sia fermato”. Molto interesse hanno riscosso le riflessioni dei curatori del museo sui loro standard troppo concreti e meccanici nel catalogare i reperti: “I criteri di suddivisione – hanno spiegato i curatori – spesso rispondono solo a un elemento di praticità: oggetti comuni o oggetti rituali. C’è poi da considerare che nel catalogare e conservare si è influenzati da una visione etnocentrica e coloniale. Tuttavia è necessario renderci conto che si possono avere ulteriori valenze. È importante riflettere sul fatto che gli oggetti conservati nei musei non sono solo manufatti tradizionali o utili, ma raccontano storie, anche dure e provanti, di una popolazione. A volte nel luogo di origine certi oggetti non sono stati nemmeno conservati, per le vicissitudini della storia, mentre qui, nella teca, in un altro continente, sono sopravvissuti”.
L’incontro di mercoledì 3 aprile segna un rilevante momento di apertura del museo che diventa punto di approdo di testimonianze di individui, di famiglie, di antenati. In un’ottica nuova il museo si fa luogo di incontro e di ricongiungimento con le origini, per rimediare alla disparità ideologica, a rischio di camminare su terreni sensibili. Non si tratta più del solo conservare o esporre. Si cercano altre vie. Raccontare queste collezioni in modo diverso si può, anche attraverso l’uso di linguaggi diversi, per esempio l’arte, che può raggiungere e coinvolgere più persone.
Maree Clarke è nata nel 1961 a Wamba Wamba/Latji Latji/Wadi Wadi Country, Swan Hill, Victoria. Artista, fotografa, videomaker, attiva da più di tre decenni, si è contraddistinta come figura fondamentale nel recupero e nella divulgazione delle pratiche artistiche aborigene del sud-est australiano. Maree è stata premiata nel 2023 da ACCA Australian Contemporary Centre for Arts come miglior artista nativa. È attualmente in residenza al MAD Murate Art District di Firenze e proprio qui sarà inaugurata la mostra con le sue opere il prossimo 12 aprile. Maree Clarke realizza i suoi manufatti artistici utilizzando elementi che trova in natura, resti vegetali o lasciati dagli animali. Crea collane con spine di echidna, denti, tendini e pelle di canguro, piume. Con le canne di acqua dolce realizza le tradizionali collane di 50 metri. Riprendendo un’antica usanza, crea i mantelli in pelle di opossum. Nella sua tribù il mantello veniva regalato alla nascita e se ne era avvolti dopo la morte. La pelle d’opossum è una delle più calde e a folto pelo e deve essere importata dalla Nuova Zelanda, perché in Australia gli opossum sono protetti. In vetro ricostruisce enormi trappole per anguille secondo l’uso indigeno.
Maree Clarke esplora ulteriormente le tradizionali cerimonie e rituali dei suoi antenati, che spesso, dopo la colonizzazione, sono andati persi o sono dormienti. Clarke fotografa e registra accuratamente i materiali che raccoglie per ogni opera in modo che le generazioni future possano studiarli e apprezzarli. Trasmette e insegna le pratiche che ha imparato dalla sua famiglia e fa uso anche della tecnologia per portare un nuovo pubblico alle arti aborigene.
Tra i temi che ha affrontato. la connessione con il territorio, la cultura e la famiglia attraverso la trasmissione delle conoscenze. La sensibilizzazione sul tema della violenza domestica alle donne (Koori women), le aborigene dello stato del Victoria. L’attenzione alle specie animali in via di estinzione. In un suo prossimo progetto artistico userà dei veri denti di tigre della Tasmania che è estinta già dagli anni trenta.La “stolen generation”, la generazione rubata, con riferimento alla pratica di deportazione dei bambini aborigeni, allontanati dalle loro famiglie per essere inseriti in famiglie ‘bianche’ in un’ottica predatoria e colonialista di integrazione. L’ interesse per le perdute lingue indigene.
Oltre a continuare con la sua arte, Maree Clarke, dopo aver visitato molti musei antropologici nel mondo, ha pensato che sarebbe bello estendere a altri rappresentanti delle tribù australiane la possibilità di vedere gli artefatti esposti nei musei oppure portarvi degli artigiani che potessero replicare questi oggetti sempre con il fine di tramandare la cultura aborigena.
Maggiori informazioni sulla mostra Welcome to Barerarerungar: