Ogni paese ha una canzone che evoca le gesta dei suoi eroi, dei suoi sodati che, in qualche guerra, hanno reso la loro patria orgogliosa delle loro gesta. Se andate in Australia, ad esempio, e canticchiate “Waltzing Matilda”, è probabile che in molti si accoderanno a voi, dalle persone più anziane fino ai bambini più piccoli. La canzone, considerata quasi un secondo inno nazionale, è una specie di cantilena molto triste e malinconica che narra le vicende di un giovane, che viene richiamato alle armi e spedito al fronte a combattere in quella carneficina che fu la campagna di Gallipoli durante le prima guerra mondiale, che vide fronteggiarsi l’esercito turco ottomano contro quello dell’impero britannico, rappresentato da soldati provenienti da tutti i paesi aderenti al Commonwealth, Australia e Nuova Zelanda inclusi. Il testo racconta gli orrori di quella guerra e di come il protagonista torni, alla fine, in patria orribilmente ferito, impossibilitato a ballare quel valzer che prima di partire aveva ballato con qualche bella ragazza. Spulciando tra le cronache del tempo, in un articolo di giornale che decantava le gesta dei propri combattenti, si narra la storia di un certo Sottotenente L.G.Casey soprannominato “La Mummia” per le numerose bende che lo avvolgevano e che subì ben 35 ferite, senza che nessuna di queste lo uccidesse. Scorrendo tra le righe dell’articolo, scopriamo che questo coraggioso, ed aggiungo anche fortunato, militare, riportò nell’ordine: una ferita di striscio alla parte alta della testa, la mascella rotta, un occhio danneggiato, un proiettile nella gola, la gola tagliata, l’orecchio destro mozzato, il gomito sinistro fratturato, le mani frantumate, delle ferite all’inguine, 17 schegge di granata in una gamba e 9 nell’altra. Il racconto del suo ferimento è altrettanto terribile: a soli 21 anni, al comando di altre 15 persone, si ritrovò sotto un fitto bombardamento effettuato con granate del peso e della consistenza di mazze da cricket, mentre i suoi uomini rispondevano con altrettanti ordigni esplosivi della grandezza di lattine di marmellata. Ben sei ordigni esplosero uno dietro l’altro all’interno della sua trincea facendo saltare in aria suoi compagni, fino a quando una settima li uccise tutti tranne lui. L’ufficiale, ripresi i sensi si trascinò fino alle retrovie con un braccio penzolante e le dita di una mano mancanti. C’è da rimanere allibiti a sentire questo racconto e soprattutto a sapere che alla fine il ragazzo sia sopravvissuto, ma se facciamo una ricerca più approfondita potremmo scoprire che un altro ufficiale inglese, subì una sorte simile sopravvivendo a ben tre guerre ed a incredibili ferite tanto da guadagnarsi l’appellativo di Unkillable, cioè impossibile da uccidere.
Parliamo di Sir Adrian Paul Ghislain Carton de Wiart, generale ed avventuriero di origini belghe, ma naturalizzato inglese, che combatté nella seconda guerra boera e nella prima e nella seconda guerra mondiale. Pur se educato secondo le rigide regole dell’Inghilterra vittoriana, con tanto di iscrizione alla prestigiosa università di Oxford, scappò di casa per arruolarsi sotto false credenziali nell’esercito di Sua Maestà e, come ebbe a raccontare nella sua autobiografia, il richiamo dell’avventura in lui fu così forte, che se non fosse riuscito ad arruolarsi nell’esercito inglese, avrebbe provato a farlo in quello boero. Divenne ufficiale di complemento e su quel fronte si procurò le prime due di una lunga lista di ferite, quando due proiettili lo raggiunsero allo stomaco ed all’inguine. Fu ricoverato e rimpatriato, ma questo non gli impedì al termine della convalescenza di tornare tra le fila dell’esercito prima in Sud Africa e poi in India. Arrivò poi la prima guerra mondiale e i suoi numerosi atti di vero coraggio furono accompagnati da una serie impressionante di ferimenti e lesioni che, non solo gli valsero numerose decorazioni, ma anche la stima e l’ammirazione di tutti i soldati impegnati nel conflitto. Fu, inizialmente, inviato nel Somaliland, parte dell’odierna Somalia dove, per combattere la rivolta dei Dervisci, fu ferito gravemente alla testa con la perdita dell’occhio e parte dell’orecchio sinistro. Rimpatriato per essere curato, gli fu donato un occhio di vetro che lui scaraventò fuori dal finestrino di un taxi preferendo indossare una benda nera che lo contraddistinse per il resto della sua vita. Dopo un periodo relativamente breve di convalescenza chiese ed ottenne di essere riportato sul fronte, questa volta quello occidentale lungo il confine franco belga tedesco. Durante gli scontri fu ferito altre otto volte e durante la seconda battaglia di Ypres, riportando gravi ferite al termine di un bombardamento, chiese ad un medico di amputargli le dita di una mano che secondo lui non avevano più speranze di essere recuperate. Davanti al diniego del medico se ne strappò un paio coi denti, convincendo quello ad amputargli la mano e parte del braccio sinistro. Non pago ritornò al fronte guadagnandosi il nomignolo di “Nelson”, come l’ammiraglio che sconfisse Napoleone e che come lui era privo di un arto superiore. Tornato a guerreggiare, durante la battaglia della Somme, secondo il racconto delle sue gesta, strappava coi denti i perni di sicurezza delle bombe a mano che lanciava con l’unica mano rimastagli, ma, anche qui ,un proiettile lo colpì attraversandogli la testa, senza, però, danneggiare seriamente il cervello o le vertebre, per cui dopo sole tre settimane di ospedale, ritornò a fare ciò che gli riusciva meglio: la guerra. Terminata la Grande Guerra, dove di tanto in tanto i medici gli asportarono qualche scheggia di granata dal corpo, passò il tempo a cacciare e bere vodka in Polonia, paese che era allora in guerra con tutti gli stati confinanti e fu costretto ad un oscuro lavoro di diplomazia in favore dell’Inghilterra che bramava a conservare delle buone relazioni politiche. Durante una di queste missioni di intelligence, il suo aereo venne abbattuto e lui, nemmeno a dirlo, sopravvisse, ma venne fatto prigioniero dai Lituani. Scappato dalla detenzione si ritrovò in fuga su un treno dal quale cadde, ma, ripresolo al volo, dovette impegnarsi a liberarsi dei russi con lo inseguivano, prendendoli a revolverate. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, vista l’invasione della Polonia da parte delle forze russe e tedesche, dovette rifugiarsi in Romania. Durante il viaggio il suo convoglio fu attaccato da velivoli nazisti, ma ancora una volta si salvò e al suo arrivo scampò all’arresto da parte della polizia locale che ormai era ampiamente coinvolta con i tedeschi. Nel 1940 fu scelto per intraprendere un’azione di guerriglia definita impossibile in Norvegia: durante le operazioni il suo velivolo fu costretto ad un atterraggio di emergenza e, solo l’evacuazione tramite un’operazione di salvataggio navale, gli permise di salvarsi la vita. Naturalmente, ritenendo troppo pericoloso salire a bordo di un gommone, bloccato in un fiordo, attese che gli aerei nemici abbandonassero la zona prima di essere recuperato e riportato a casa da una nave di passaggio. Proprio riguardo a quell’avventura ebbe a ricordare: “la guerra e la politica non andrebbero mischiate, un po’ come il porto e lo champagne. Ma se non fosse per i politici non avremmo la guerra e, per quel che mi riguarda, avrei dovuto rinunciare ad un’attività particolarmente piacevole” Rientrato in patria, in Irlanda, riorganizzò un’unità di combattimento britannica e fu inviato in Jugoslavia, ma durante il viaggio il suo aereo fu abbattuto dalla contraerea italiana al largo della Libia. Tanto per cambiare, sopravvisse e a nuoto (ricordo che aveva solo un braccio) raggiunse la costa, dove fu catturato dai fascisti e rinchiuso nel castello di Vincigliata. Dopo cinque tentativi di fuga, alla fine riuscì a guadagnarsi la libertà strisciando lungo un tunnel che lui stesso aveva scavato nei mesi precedenti. Dopo otto giorni fu riacciuffato anche a causa del suo aspetto facilmente riconoscibile. Rilevata la sua importanza, fu l’artefice degli accordi segreti intercorsi tra il Generale Zanussi e il Comando alleato e che portò alla firma del trattato di Cassibile, che vide la resa dell’Italia fascista l’8 settembre. Per l’occasione, si narra, che ordinò di andare da un sarto affinché gli venisse cucito un abito su misura secondo i dettami della moda inglese e non di quella italiana, che gli uomini utilizzavano, a suo dire, per fare colpo sulle donne. Nel 1943 Churchill lo spedì in Cina per trovare degli accordi diplomatici con il generale Chang Kai Schek. Anche in quel paese sopravvisse ad un incidente aereo, che gli permise più tardi di assistere alla capitolazione dell’Impero Giapponese. Nel 1947, trovatosi a Rangoon per l’ennesima missione diplomatica, scivolò su uno zerbino, cadendo rovinosamente dalle scale e rompendosi diverse vertebre. Nemmeno questo incidente lo fermò, ma, a quel punto, i conflitti erano terminati e finalmente potè ritirarsi nella contea di Cork dedicandosi alla sua amata caccia ed alla redazione della sua autobiografia, intitolata “Una felice Odissea” all’interno della quale dichiarò “Francamente, la guerra mi è piaciuta”. Morì in tutta serenità alla veneranda età di 85 anni il 5 giugno del 1963.
Fu un personaggio davvero incredibile, un immortale, degno di un ruolo da protagonista in uno di quei film in cui l’eroe subisce le situazioni più incredibili uscendone sempre sano e pronto per ricominciare. “The unkillable soldier” questo fu il suo ultimo appellativo e buon per lui, fino alla fine dei suoi giorni, ebbe la possibilità di ballare quella “Waltzing Matilda” che milioni di suoi commilitoni, sentirono per l’ultima volta nelle trincee e nei campi di battaglia di mezza Europa durante i due conflitti mondiali.