Giovanni Pico della Mirandola non nacque in Toscana, bensì a Mirandola come rivela il suo cognome. In Toscana, a Firenze, tuttavia, trovò una tragica fine della quale racconterò più avanti. Partiamo dalle sue nobili radici. Giovanni Pico nacque il 24 febbraio del 1463 da Gianfrancesco I, signore di Mirandola e Giulia Boiardo, contessa di Scandiano. La famiglia di Pico era imparentata con gli Sforza, i Gonzaga e gli Este. Fin da ragazzo mostrò grandi doti matematiche e imparò molte lingue: conosceva perfettamente il latino, il greco, l’ebraico, l’aramaico, l’arabo e il francese. Intorno ai vent’anni entrò a far parte della nuova Accademia Platonica, sancendo il suo arrivo in quella Firenze che fu, di fatto, la sua casa. Giovanni Pico della Mirandola venne in contatto con i personaggi che, nel bene e nel male, contraddistinsero quel periodo storico. Da Lorenzo il Magnifico a Girolamo Savonarola, poi ancora Angelo Poliziano e Girolamo Benivieni e nella sua esperienza dell’Accademia Platonica, Robert Gaguin e Georges Hermonyme. Aveva una memoria davvero fuori dal comune e sapeva recitare tutta la Divina Commedia, perfino al contrario, a dire il vero alquanto inquietante. Nel 1486 Pico arrivò a Roma per partecipare al Congresso filosofico universale, per prepararsi all’evento scrisse circa 900 tesi e senza computer. Ovviamente, come accadeva alle menti che pensavano fuori dagli schemi, fu accusato di eresia e fuggì in Francia, dove venne arrestato da Filippo II. Giovanni Pico fu salvato dal favore che godeva presso il papa Alessandro VI, il quale vedeva di buon occhio la visione di Pico di dimostrare la divinità di Cristo attraverso la magia e la cabala. Giovanni Pico della Mirandola si stabilì definitivamente a Firenze, sotto la protezione dei Medici e dei Gonzaga, che in quel periodo sembravano andare d’accordo. Nella città toscana poté sviluppare le sue idee, che sono, ancora oggi, di straordinaria attualità. Giovanni Pico della Mirandola riteneva che aristotelismo e platonismo potessero essere una sintesi di una filosofia universale, qualcosa che potesse riconciliare le varie correnti di pensiero e accomunarle verso il divino e la sapienza, culminando nella Rivelazione cristiana. Pico pensava che una sintesi si potesse trovare anche tra il pensiero islamico e quello ebraico, quella Cabala che fu fonte di studi e ispirazione, ciò che sta accadendo in Cisgiordania riesce a dare l’idea di quanto fosse moderno il pensiero di Pico della Mirandola. La Cabala merita un capitolo a parte nel racconto di Pico della Mirandola. Secondo lo studioso era una fonte di sapienza dalla quale attingere per decifrare il mistero del mondo e in cui Dio appariva oscuro, ossia irraggiungibile usando la ragione, ma grazie alla fede l’uomo poteva raggiungere la luce attraverso l’oscurità del divino. Come scrisse in una delle sue novecento tesi: “Non esiste alcuna scienza che possa attestare meglio la divinità di Cristo che la magia e la cabala.” Ecco dunque la sintesi di quello che era il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola, la metafisica che rappresentava ciò che si riusciva a vedere oltre il visibile, partendo dalla natura e perfino dalle formule matematiche. Giovanni Pico della Mirandola si interessò anche di astrologia. Distinse quella matematica, cioè l’astronomia da quella divinatrice. Credendo nella libertà e la dignità dell’uomo, nel libero arbitrio, credeva che la prima fosse giusta e la seconda si basasse su credenze popolari e che gli astri non potessero in nessun modo influire sulle scelte degli esseri umani. La dignità dell’uomo fu al centro del suo ideale di concordia universale. Scrisse nel 1486, Oratio de hominis dignitate, nella quale elogiava la capacità intellettiva e deduttiva degli esseri umani, quasi un’esortazione a migliorarsi e affermare la centralità nell’universo. Si trattava di un’orazione scritta in latino, un’ode alla Creazione e alla possibilità di crearsi il proprio destino degli uomini, racchiuso nella frase: faber ipsius fortunae, l’uomo è sovrano e artefice del proprio destino. Della vita privata di Giovanni Pico della Mirandola si favoleggiava. Forse ebbe una disavventura amorosa con una donna di nome Margherita nel suo periodo aretino. Si narrò anche di un intreccio amoroso con Girolamo Benivieni, come alluse Girolamo Savonarola nei suoi scritti, ma quello era poco attendibile. Una cosa certa e determinata è che morì il 7 novembre del 1494, all’età di trentun anni, forse a causa di un avvelenamento da arsenico, probabilmente su mandato di Piero de’ Medici che temeva la vicinanza di Pico con Poliziano e Savonarola. In ogni caso Giovanni Pico della Mirandola, la mente eccelsa, morì in quella Toscana che lo aveva accolto ed ebbe sepoltura dopo circa 50 anni nella Basilica di San Marco a Milano. Giovanni Pico della Mirandola è stato un grande studioso, filosofo e soprattutto una delle menti più eccelse della sua epoca. Il suo nome viene considerato nell’immaginario sinonimo di intelligenza suprema, non a caso il personaggio Disney più intelligente fu chiamato, Pico de Paperis.