“Se vuoi imparare a comporre canzoni per conto tuo, prendi la chitarra e vattene dove una strada ne incrocia un’altra, dove c’è un crocicchio. Arriva lì giusto un po’ prima di mezzanotte. Prendi la chitarra, siediti e suona un pezzo… Devi andarci da solo, sederti e suonare. Un enorme uomo nero arriverà e prenderà la chitarra, e l’accorderà. Suonerà un pezzo e ti renderà la chitarra. Questo è il modo in cui ho imparato a suonare tutto quello che voglio”. Sono le parole di Tommy Johnson, un importante bluesman del Delta che così spiegava come fare per diventare un musicista. Tommy era un personaggio abbastanza fuori dalle righe, fu lui uno dei primi a suonare la chitarra dietro la testa, in mezzo alle gambe e forse pure coi denti, con buona pace di chi pensa che il primo sia stato Jimi Hendrix (sempre sia lodato il suo nome!). In più, per dare maggior peso alla sua fama sinistra, così come raccontò poi suo fratello LeDell, affermò più di una volta di aver venduto la sua anima al diavolo ad un incrocio, in cambio dell’abilità di suonare la chitarra, proprio come abbiamo appena appreso dalle sue stesse parole.
Il blues, trascendentale corrente musicale nata negli Stati Uniti agli inizi del novecento e sorgente primaria del rock’n’roll, prende il suo nome dall’espressione “the blue devils”, che significa avere o vedere i diavoli blu, che a sua volta descriveva quello stato di depressione o agitazione, a seconda di come prendeva, dovuta all’assunzione di una bevanda chiamata “Canned heat” ottenuta estrapolando dell’alcol dallo Sterno, un gel usato nelle bombolette per i fornelletti da campeggio, mischiato ad acqua e zucchero. In poche parole un miscuglio terrificante a base di etanolo e metanolo, in uso nei bassifondi delle città americane in mancanza di bevande alcoliche degne di nome e che poteva portare a cecità, paralisi o addirittura alla morte. Non è sorprendente quindi sapere che questo stile musicale venne presto associato al diavolo, sia per le affermazioni di Johnson che per il fatto che il blues, nei testi e nelle note, riportava anche ad un’idea di disgrazia, di tristezza e di solitudine. Quasi per uno scherzo del destino però, l’associazione col diavolo viene ricordata per opera di un altro Johnson, contemporaneo di Tommy, che venne alla ribalta all’incirca negli stessi anni, col quale, tuttavia, non esiste nessuna correlazione di parentela. La persona di cui andremo a conoscere la vita è Robert Johnson che per la precisione nacque nel 1911 in una cittadina sperduta nel Mississippi. Robert, l’inferno dovette averlo conosciuto per davvero, crescendo in un ambiente dove la discriminazione e la povertà la facevano da padrona. Il sud degli Stati Uniti, dove gli effetti della segregazione razziale aveva prodotto una profonda spaccatura nella società, era un ambiente tanto difficile da vivere quanto prolifico riguardo la cultura musicale. La segregazione razziale quindi, la povertà, l’impossibilità di condurre una vita normale, per i neri del profondo sud furono lo scotto da pagare per la fine della schiavitù che in realtà rimase solo nominale, perché quando si è poveri si rimane sempre schiavi della società che ci circonda. La sua nascita possiede già tutta la tragicità che si conviene ad un grande bluesman: sua madre Julia Dodds, abbandonata da suo marito Charles Dodds per un’altra donna, gli diede i natali a seguito di una relazione clandestina con tale Noah Johnson. Trascorse una vita in povertà e l’unico sollievo gli venne grazie a suo fratello che gli insegnò a suonare l’armonica a bocca, forse strimpellava anche la chitarra ma nel villaggio tutti ricordavano che non fosse granché dotato, anzi tutto il contrario. Tra mille stenti e lavori non troppo gratificanti, all’età di diciotto anni, Robert sposò Virginia Travis trasferendosi a Robinsonville, ma qui, solo un anno più tardi, accade l’episodio che stravolse e forse cambiò definitivamente la sua vita. La giovane moglie, ad appena sedici anni, morì durante il parto e con lei anche la bambina che stava dando alla luce. Robert ne rimase sconvolto e sparì dalla vista di tutti, cominciando un vagabondaggio mistico, alimentato da alcol ed avventure sessuali, che contribuiranno più tardi a fomentare le male voci a suo riguardo. Nel 1931 conobbe e sposò Calletta Craft, ma la sua vita sregolata e la crescente passione per la musica non gli furono d’aiuto tanto che anche quella relazione sprofondò nell’oblio. Ad un certo punto, in quel suo perpetuo vagabondare, che, secondo alcuni era dettato dall’ossessione di cercare il suo vero padre, tornò nei suoi luoghi, cominciando a suonare nei locali e lasciando di stucco i suoi ascoltatori. In tanti cominciarono a chiedersi se quello non fosse lo stesso Robert che prima di allora faceva più scalpore per le sue vicende personali che per quelle musicali e lui stesso, facendo crescere quella personale leggenda che andava creandosi, cominciò a raccontare di strani incontri col diavolo, così come abbiano visto per il suo omonimo Tommy. Nei locali era solito esibirsi rivolto verso il muro piuttosto che verso il pubblico ed accanto a lui non mancavano mai donne ed alcol. In pratica, inventò il prototipo dell’artista bello e maledetto. Se alla base di ogni leggenda esiste sempre un pizzico di verità, questo è anche il caso di Robert Johnson, perché l’uomo nero che disse di aver incontrato allo scoccare della mezzanotte nella sua peregrinazione senza meta, si pensa possa essere stato un certo Ike Zimmerman, altro personaggio avvolto dal mistero, che pareva avere la strana abitudine di andare a suonare nelle ore più buie della notte all’interno dei cimiteri, tra le tombe, proprio come un vero diavolo e che quasi sicuramente gli fece da maestro. Ma se questo non fosse abbastanza, ad incrementare l’aura leggendaria che circonda Robert, circolò anche la diceria che fosse in grado di riprodurre, nota per nota, qualsiasi brano ascoltasse, sia alla radio, che in mezzo ad una folla di persone. Se questo dono è stato accertato in grandi artisti come Mozart, è plausibile che lo fosse anche per lui, perché no?
All’interno dei suoi testi possiamo leggere “Non c’è giorno che non mi preoccupi/C’è un cerbero sulle mie tracce, un cerbero sulle mie tracce” e ancora: “Spiriti maligni attorno al mio letto/È venuto il diavolo e mi ha preso la mano/Mi ha trascinato giù nel suo paese rovente”. Non sappiamo bene dove finisse questa storia del diavolo su cui sicuramente ci marciava, e dove, realmente, prendessero campo i suoi mostri interiori, ma sta di fatto che in quell’incessante girovagare, nel novembre del 1931 appena arrivato a San Antonio in Texas, nel tentativo di suonare la chitarra per strada, la polizia lo picchiò, gli sfasciò lo strumento e lo arrestò. Il giorno dopo, chiuso nella stanza 414 del Gunter Hotel o forse il Blue Bonnet Hotel, non è certo il luogo, insieme a Ernie Ortle compose sedici canzoni che il suo produttore Don Law gli chiese di suonare in almeno due versioni. Finite le registrazioni tornò nel Mississippi e poco più tardi nel 1937 compose altri tredici pezzi che vanno a formare le uniche ventinove incisioni originali a nostra disposizione, oltre naturalmente alle tredici versioni alternative di San Antonio. In uno di questi brani cantava “Questa mattina presto/ quando hai bussato alla mia porta/ ho detto: “Buon giorno, Satana/ credo sia ora di andare” premonendo quello che accadde il 16 agosto del 1938 a Greenwood. Il racconto della sua morte è, ancora una volta, misterioso. Circolarono parecchie versioni a riguardo: se togliamo le cause dovute all’abuso di sostanze alcoliche e soprattutto a quella bevanda davvero demoniaca di cui abbiamo parlato prima, non rimane che affidarsi alle testimonianze di Sonny Boy Williamson e David Honeyboy Edwards, due bluesman divenuti anche loro famosi nel tempo secondo le quali, Robert suonava già da un paio di settimane in un locale a circa quindici miglia di distanza da Greenville, il “Three forks”. Un po’ tutti sapevano che Robert intratteneva una relazione con la moglie del proprietario che, nonostante tutto, faceva orecchie da mercante, ma una sera, complice un’assunzione smodata di alcolici, le sue attenzioni verso la donna si fecero più che evidenti, facendo montare anche le sopite rimostranze del marito. Ad un certo punto gli fu allungata mezza pinta di whiskey e a nulla valse l’intervento di Sonny Boy, che cercò di fargli capire che bere da una bottiglia già aperta lo esponeva al pericolo di essere avvelenato. Robert, più ubriaco del solito, in un atteggiamento di sfida se la tracannò tutta ed infatti poco dopo dovette abbandonare la sala perché non fu più in grado di continuare l’esibizione. Un amico lo accompagnò a casa e, dopo sole due ore, cominciò a delirare. Dopo due giorni di intensa agonia, morì nel suo letto. Aveva solo ventisette anni e se ancora non ci avete fatto caso, fu proprio lui a dare inizio a quella infausta lista di cantanti morti a quell’età, che prese appunto il nome del “Club dei ventisette” di cui fanno tristemente parte, tra gli altri, gente del calibro di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Kurt Cobain e Amy Winehouse. Quanto raccontato da quegli inconsapevoli testimoni non bastò però a far scemare le voci attorno alla sua dipartita tanto che qualcuno scrisse: “Morì nel mistero: qualcuno ricorda che fu pugnalato, altri che fu avvelenato; che morì in ginocchio, sulle sue mani, abbaiando come un cane; che la sua morte aveva qualcosa a che fare con la magia nera.”
Se un giorno voleste andare a rendergli omaggio sulla tomba, rimarreste ancora una volta sconcertati, perché non è ben chiaro dove sia sepolto. Esistono ben tre siti in cui possiamo trovare delle lapidi a lui assegnate, una si trova nella Payne Chapel di Quito (nel Mississippi) dove accanto al suo nome è incisa la frase “May rest in blues”. La seconda è in realtà un obelisco eretto nel 1990 dalla Columbia Records unitamente a dei privati del Mount Zion Memorial Fund sul quale sono incisi i titoli delle sue 29 canzoni e la terza è una lapide restaurata dalla Sony Music, situata sotto un grande albero nel cimitero della Little Zion Church a nord di Greenwod.
Riassumere in poche righe l’impatto che Johnson ebbe sulla musica blues e non solo, occuperebbe troppe righe, ma per averne un piccolo assaggio, possiamo dar credito ad un aneddoto che vuole protagonista Keith Richards, chitarrista dei Rolling Stones, che, quando ascoltò per la prima volta una canzone di Johnson, chiese a Brian Jones che lo aveva invitato all’ascolto: “Chi è l’altro tipo che suona con lui?”, non rendendosi conto che insieme a Johnson non stesse suonando nessun altro. “Dovresti seppellire il mio corpo/Vicino alla strada/Così il mio spiritello cattivo/Potrà prendere un bus della Greyhound e viaggiare” cantava in una delle sue canzoni ed in fondo è bello pensare che, realmente, Robert non abbia mai smesso di girovagare, libero finalmente dalle oppressioni dei suoi tormenti interiori, libero come le note della sua chitarra che ancora echeggiano in tutte le canzoni blues fino ad oggi composte.