parte prima
Diari Toscani incontra l’artista Elisabetta Marcianò: Elmar è il nome d’arte con il quale desidera essere chiamata. Amante della natura, dell’arte e della cucina, vive a Reggio Calabria, città nella quale è nata.
Elmar, quali connessioni ci sono fra natura, arte e cucina?
Sicuramente la predisposizione alla bellezza. Sono dell’idea che prima dobbiamo cercare di salvare la bellezza per dare modo alla bellezza di salvarci.
Lei è Direttore Artistico de “L’Accademia L’A Gourmet”: arte e cibo, quale relazione c’è fra di loro?
Una relazione stretta. C’è una caratteristica che ho riscontrato spesso negli artisti, ovvero la loro “ossessione” per il cibo. Nel 1500 Arcimboldo con il cibo, compresi frutta, ortaggi e verdure, costruiva i suoi personaggi nei ritratti delle sue opere. Nel periodo della pandemia, durante il quale siamo stati relegati in casa, ho avuto modo di riflettere ulteriormente su questa caratteristica perché mi ha sempre affascinato. Un esempio è la cucina futurista: il manifesto detta le regole per l’uomo forte e vigoroso. La cucina futurista ha sempre rivestito un ruolo fondamentale nella storia dell’arte. Ed è stato proprio nel periodo della pandemia che ho avuto modo di leggere con attenzione il libro “Les diners de Gala” di Salvador Dalì, famoso per le sue cene d’arte. Pagina dopo pagina ho capito che quel libro mi avrebbe portato a un qualcosa di interessante; parallelamente si faceva strada un sogno legato al Caffè Le Giubbe Rosse, a Firenze, il primo ristorante galleria, che nel periodo futurista fu un cenacolo letterario e artistico in cui si ritrovavano, appunto, letterati ed artisti che, oltre a condividere l’arte, condividevano pure il desco, talvolta anche con discussioni accalorate. Pagina dopo pagina, pensando alle cene eccentriche di Salvador Dalì e al Caffè Le Giubbe Rosse è sorto il desiderio di parlare con uno chef disposto a dare vita a questo mio sogno. Appena fu possibile organizzai un incontro con Filippo Cogliandro, chef del ristorante L’ A Gourmet l’Accademia, che si trova in un palazzo nobiliare del 1923. L’idea era: “facciamo mangiare l’artista” e studiammo il menù con le ricette di Salvador Dalì!
Cosa sono le cene d’arte?
Sono l’occasione per gli ospiti di vivere un’esperienza a tutto tondo. Marinetti scriveva che il piatto doveva essere un diario. La creazione del piatto è totale e totalizzante. L’idea fu di trasformare il locale, di dargli un’impronta diversa. Da quel momento ogni mese e mezzo presentiamo un artista di Reggio, ma non solo, ci sono stati artisti venuti da fuori, e molti nomi con le realtà più interessanti del panorama Reggino. Le anticipo che a breve questo progetto avrà ulteriori sviluppi anche in un altro luogo.
Quindi la cucina è una forma d’arte…
Assolutamente! La cucina è un dipinto, una scultura, una composizione musicale, è un libro di colori, forme e sapori.
Quanto è importante il colore, sia nell’arte che in cucina?
C’è uno studio sui colori e sull’effetto che producono nella nostra mente. Il colore ha un potere immenso su di noi, ed è fondamentale. Facciamo un esempio, il verde: è riposante, è il colore della natura, è rigenerante e tonificante, anche se mi viene da pensare ai bambini: ha presente quando vedono la verdura nel piatto cosa dicono? Il verde no! Mentre questo non accade con altri alimenti il cui colore è per loro più allettante, altro esempio: il rosso, stimola l’appetito! Il piatto bianco è come una tela intonsa, su di esso il colore esplode.
Quanto essere circondati dalla bellezza influisce sulla sua creatività.
Tantissimo. Io non guido, e posso assicurarle che è solo questione di organizzazione, vero che talvolta può essere problematico, ma c’è un aspetto positivo: camminare a piedi mi ha dato, in questi anni, e continua a darmela, la possibilità di ammirare la mia città e di goderne. Ogni volta ho la fortuna di scoprire scorci, dettagli, fregi nei balconi. Quando hai la possibilità di godere della bellezza, la bellezza diventa una droga, a livello chimico produce adrenalina.
Elmar la domanda è inevitabile: cos’è per lei la bellezza?
Non è un concetto astratto, è pratico, come la solidità di un mattone è necessaria per iniziare a costruire. La bellezza è costruzione, ho quasi un senso materno nel curarla e proteggerla. Quindi la bellezza è qualcosa di concreto che non può prescindere nella vita, se educhi i figli alla bellezza la cercheranno sempre e faranno sì che sia una costante nella loro vita. Anche se devo riconoscere che anche la bruttezza ha un certo fascino. L’irresistibile fascino dell’orrido! Pensi alla fotografa Vivian Maier che andava nei circhi a fotografare i freak, i mostri.
Per rimanere in tema, lei fa parte della squadra “L’Arte in cucina. Gli Artisti incontrano gli Chef”, progetto di grande successo dell’Editoriale Giorgio Mondadori. Di cosa si tratta?
È un progetto che ho trovato estremamente valido. Il vino, la cucina e l’arte, sono tre passioni che ci permettono di evadere dalla quotidianità, quando ne abbiamo parlato in Casa Editrice ho iniziato a coinvolgere artisti e altre figure. Il volume di quest’anno è la settima edizione, ed è improntato sulla pasticceria quindi ho selezionato pittori e pasticceri affinché sapori e colori avessero una loro connessione dando così uno spaccato importante di Reggio.
Da quanto mi racconta, ma soprattutto da come lei parla della sua terra, si capisce che quello che lei nutre nei suoi confronti è un grande amore…
Indubbiamente, questa è una terra ricca di storia e con il mio lavoro cerco di portare sotto la luce dei riflettori la mia città. Anche con il giornale Reggio Informa uno degli obiettivi è mostrare le potenzialità della città, sia ai reggini che ai turisti. Per esempio scriviamo alcuni articoli in greco di Calabria. Sulla zona ionica troviamo, appunto, l’area grecanica dove, nel corso dei secoli è stato mantenuto il greco, che ha dato origine a quella che è una vera e propria minoranza linguistica. Ci sono borghi che quando li visiti fai un viaggio indietro nel tempo di 200 anni. Lì si sente forte l’attaccamento alle radici, alle origini. Pensi che i cartelli stradali delle vie sono scritti sia in italiano che in greco di Calabria, oltre a usanze e tradizioni culinarie, giusto per rimanere in tema cucina, che si tramandano di generazione in generazione.
Può raccontarmi chi è Elisabetta Marcianò?
Non so parlare di me, dovrebbe chiedere agli altri. Quello che posso dirle è che faccio sogni solidi. Ciò che ho in mente è da realizzare, come la bellezza che è un mattone sul quale costruire.
La sua relazione con l’arte
Fino all’età di 10 anni non sapevo disegnare. Un mio zio, professore di liceo, un giorno venne a prendermi a scuola e mi porto con sé nell’Istituto dove insegnava, mi fece accomodare in uno spazio mentre lui aveva alcune cose da fare, in questa stanza c’erano delle matite colorate in una confezione sulla quale era raffigurato un uccellino, forse lo ricorderà anche lei! Presi un foglio, le matite, e mi misi a disegnare. Quando mio zio mi raggiunse rimase stupito per come avevo riprodotto l’immagine dell’uccellino. Da quel momento non smisi più di disegnare. La mia insegnante d’arte è stata colei che mi ha incoraggiato moltissimo a coltivare questa passione, anche i miei genitori mi incoraggiavano, anche se mio padre era solito dire: passione sì, il lavoro è un’altra cosa. Feci la mia prima mostra a 15 anni. Nel 2011 ho sentito la necessità di fare anche altro, volevo contribuire a ridare dignità all’arte nella mia città che troppo spesso è considerata un abbellimento per altri eventi.
Continua…