Ormai le Cinque terre non hanno quasi più segreti per noi, ma oggi ci attende la tappa conclusiva, la più lunga e forse anche la più dura: Riomaggiore a Portovenere, per complessivi 14 chilometri e cinque ore di cammino effettivo su un dislivello di 670 metri.
Partiamo perciò di buon’ora dalla stazione di La Spezia, con il solito treno locale e dopo una decina di minuti eccoci a Riomaggiore; il gruppo si forma pronto per partire.
Subito ci aspetta una salitella di mezzo chilometro che, risalendo il paese, ci porta fin all’inizio di una bella mulattiera, la quale, attraverso i tipici vigneti e terreni ormai da tempo abbandonati, si fa, a tratti, abbastanza ripida tanto che la marcia, che avevamo intrapreso di buona lena, si fa ora ben più lenta e cadenzata.
Il paesaggio comincia ad aprirsi e sotto di noi ecco l’abitato di Riomaggiore con il suo splendido mare; a un’ora e venti minuti dalla partenza arriviamo al Santuario di Nostra Signora di Montenero a quota 340 metri, il cui culto, secondo fonti popolari, risale al VIII secolo.
Il santuario è posto su un’ampia terrazza prospicente il mare e da qui si gode un piacevolissimo panorama che spazia ad ovest fino a Punta Mesco, comprendendo tutto l’arco delle Cinque Terre.
Saliamo ancora attraverso i tipici vigneti, che ben presto cedono il posto alla classica macchia mediterranea, che si è impossessata delle tipiche “fasce” sorrette dai muri a secco costruiti nei secoli dagli abili contadini locali per strappare alla montagna i terreni coltivabili.
Questi vigneti erano, ed in parte lo sono tutt’ora, formati da bassi pergolati atti a ricevere il calore del sole e della terra e così protetti dai venti marini. I vitigni autoctoni di Bosco ed Albarola e, introdotto più tardi, di Vermentino erano particolarmente resistenti ai parassiti della Peronospora; a quel tempo infatti l’uso della poltiglia bordolese quale anticrittogrammico sarebbe stato impossibile a causa della totale mancanza di acqua.
Le viti, sottoposti all’umidità ed alla salsedine delle mareggiate, venivano però facilmente attaccate dalle muffe dell’Oidio alle quali i contadini ponevano rimedio con abbondanti aspersioni di zolfo facilmente trasportabile.
Ci si augurava pertanto che prima della vendemmia ci fosse un’abbondante pioggia per dilavare sale e zolfo in modo da avere un vino di qualità eccellente; in caso contrario si avrebbe avuto un vino ugualmente buono ma con un leggero retrogusto salato.
Procediamo, dunque, lungo il sentiero ben segnalato, ma assai poco agevole per alcuni tratti fino al Colle del Telegrafo a quota 530 metri, dove incontriamo la strada che sale dall’abitato di Biassa e, proseguendo quasi parallelamente ad essa, superiamo con una serie di saliscendi il Monte dei Fraschi ed il Monte della Madonna fino a raggiungere, dopo due ore e mezzo di cammino, la chiesetta di Sant’Antonio dove convergono i sentieri provenienti da La Spezia, Riomaggiore, Campiglia, Schiara e Monasteròli.
Qui incontriamo una bell’area attrezzata, con un piccolo chiosco bar, piena di gente che, approfittando della bella giornata, è venuta per godersi la naturale bellezza del luogo. All’ombra della chiesetta facciamo una meritata sosta per rifocillarci e riempire le borracce ad una fontanella lì vicino.
Siamo a metà strada, per cui, una volta riposati, è bene riprendere il cammino che ci porterà in una quarantina di minuti a Campiglia, un grazioso paesino posto sul crinale del monte, dal quale si può godere ad est della vista dell’incantevole golfo di La Spezia con, sullo sfondo, l’Appennino e le Alpi Apuane e ad Ovest del mare aperto, che si vede laggiù 350 metri più in basso sotto i piccoli borghi di Tremonti e Schiara.
Con il procedere del pomeriggio si verifica un’inversione termica, che dà origine al curioso fenomeno della Caligo sul mare, che ci accompagnerà fino a sera, talvolta scomparendo e dando origine a sprazzi di assolato panorama per poi riapparire più fitta che mai.
Subito dopo Campiglia ecco i resti ben conservati di un antico mulino oltre il quale, in una decina di minuti, arriviamo all’ampio parcheggio del paese; dopo un breve tratto di asfalto al primo tornante ci inoltriamo di nuovo nel bosco di lecci, corbezzoli e ginestre selvatiche per un altro lungo tratto in quota godendo di vedute sempre diverse ma ugualmente belle.
Ora si comincia a scendere; davanti a noi l’isola di Palmaria si staglia come un enorme smeraldo sul mare azzurro mentre sotto ecco apparire il promontorio con sopra appollaiata la celeberrima chiesetta di San Pietro. Ancora un po’ di discesa ed arriviamo al Rifugio Muzzerone posto a quota 200 dove facciamo una breve sosta per una meritata birra.
Mentre ci riposiamo, il Castello Doria sotto di noi e la chiesetta di San Pietro vengono avvolti dalla Caligo che li nasconde per poi farli riapparire nel gioco di luci del tramonto dando origine ad uno spettacolo insolito ed affascinante. Scendiamo fino al Castello per prendere poi una scalinata, resa scivolosa dall’umidità, fino a giungere alla piazzetta principale di Portovenere. Siamo ormai all’imbrunire, ancora una rapida occhiata alla balconata delle alte case variopinte avvolte nella nebbia ‘ e con un affollatissimo autobus di linea giungiamo in mezz’ora in quel di La Spezia per rientrare successivamente a casa. Ce le siamo fatte tutte queste Cinque Terre, in varie tappe, da Levanto a Monterosso e poi Vernazza, Corniglia, Manarola, Riomaggiore e infine Portovenere portando a termine un’esperienza che auguro a tutti di poter fare almeno una volta.