A Carrara si può venire per vari motivi, soprattutto legati al passato, certificati da una architettura sapiente, in un territorio che degrada fino al mare, da monumenti civili e religiosi, da stradine che si snodano fra file di palazzi che quasi si toccano, da piazze e teatri molto frequentati. Pittori, scultori, poeti di livello mondiale l’hanno vissuta e descritta. Carrara era raccontata anche dalla sua gente, dai cavatori, dagli scalpellini, dagli artigiani, dai vocianti ragazzi delle scuole, dai giovani che sciamavano la sera in interminabili passeggiate lungo via Roma. Ma la cosa che maggiormente la distingueva era la lavorazione del marmo: escavazione, segherie, laboratori, studi, erano visibili in ogni angolo e facevano di questa cittadina un centro di livello planetario. Qualcuno si chiederà perché parlo al passato, la risposta ce la fornisce il trascorrere del tempo, che ha consentito lo svuotamento della città, a causa della cementificazione di tutto il territorio fino al mare. Attualmente, viviamo in un centro silente, che si risveglia soltanto per qualche festività religiosa o in occasione di rari convegni annuali. Ma lo scalpello tace, la sua voce non si ode più negli stretti vicoli, le scaglie di marmo sono sepolte sotto strati di asfalto, l’identità millenaria è stata cancellata e, con essa, l’antico valore.
Tutto quello che vi sto dicendo è certificato nella mostra, che io ho l’onore di rappresentare, allestita nello splendido palazzo Binelli in via Verdi. Un fotografo di grande valore Michele Casseri in arte “Michelino” fin dal 1923 ha visto e fissato con scatti fotografici un’altra Carrara, un altro ambiente, sicuramente più povero, ma più ricco di umanità. Qui potrete leggere una storia ricca di argomenti sociali, civili, sportivi, grazie anche ai nipoti che hanno raccolto la sfida lanciata da Michelino cento anni fa: testimoniare con la fotografia, così come altri con la penna, il pennello, la scultura o il pentagramma, la vita e il pensiero dell’essere umano. Non ho dimenticato di esporre gli strumenti che hanno consentito queste grandi riproduzioni storiche: così come abbiamo visto l’evoluzione dell’aratro per il contadino e della subbia per il cavatore, dobbiamo vedere anche quello della macchina fotografica e possiamo constatare, con notevole meraviglia, con quanta difficoltà e perizia i pionieri di questa arte dovevano fare i conti. Macchine enormi ed estremamente complesse potevano essere maneggiate soltanto da grandi esperti, soprattutto da coloro che avevano intuito le enormi prospettive culturali che le immagini riprodotte avrebbero potuto avere in futuro. Oggi possiamo scattare foto a ripetizione e, fra le tante, forse, una, potrà avvicinarsi occasionalmente all’arte, ma un tempo ogni foto aveva un costo in tempi e fatica, doveva essere a lungo meditata prima dello scatto.
Vi aspetto per coinvolgervi nel contesto, “Mostra Michelino Cento Foto per Cento Anni”.