Vincere il Premio Nobel è una delle massime aspirazioni per coloro che intraprendono una qualsiasi attività, che possa essere scientifica o artistica. Se poi si arriva a vincerlo, dopo una vita iniziata in salita come quella di Giosuè Carducci, è qualcosa di unico. Il poeta nacque a Valdicastello, nel comune di Pietrasanta in provincia di Lucca, il 27 luglio del 1835. Fin da bambino respirò gli ideali socialisti, al limite dell’anarchico, di suo padre Michele, che era un medico. Proprio a causa di queste inclinazioni del genitore, la famiglia Carducci non navigava in buone acque e fu costretta a trasferirsi prima a Seravezza e poi a Bolgheri. Il piccolo Giosuè fu colpito da continue febbri che furono curate da suo padre con il chinino, elemento che provocò conseguenze sulla psiche del bambino. L’esistenza difficile di Giosuè continuò nel periodo degli studi. A causa della povertà della famiglia non poté accedere all’istruzione pubblica, ma venne educato da un sacerdote e da suo padre. Michele Carducci era membro della carboneria viareggina e per tale motivo la famiglia si dovette nuovamente spostare a Firenze. Nel 1849, Giosuè iniziò a frequentare le Scuole Pie degli Scolopi, da subito manifestò il suo talento. Dopo due anni, la famiglia Carducci si trasferì in piccolo paese alle pendici del Monte Amiata, ma Giosuè rimase a Firenze per proseguire gli studi. In quel periodo si avvicinò alla poetica romantica e alla politica, che gli scorreva nelle vene. Nel 1851 fu ammesso al corso di scienze e lo studio fu la sua unica ragione di vita: era un modo per riscattarsi. Nel 1852 terminò gli studi e compose la novella romantica: Amore e morte, una miscellanea di stili che convogliavano nel romantico. Grazie alle sue liriche fece parte dell’Accademia dei Risoluti e Fecondi e fu notato da Ranieri Sbragia che lo spinse a iscriversi alla Facoltà di Lettere alla Normale di Pisa. Era un periodo di moti rivoluzionari e le istituzioni tendevano al rispetto delle regole ferree, cosa che l’animo ribelle di Giosuè Carducci mal sopportava. Durante il periodo universitario iniziò a collaborare con il giornale: Letture di famiglia che gli consentì di pagarsi gli studi e approfondire la sua immensa curiosità letteraria. Nel 1856 conseguì la laurea in filosofia e filologia con una tesi intitolata: Dalla poesia cavalleresca o trovadorica, era un inno al risorgimento intellettuale e un omaggio a Dante e i classici latini. Nello stesso anno iniziò ad insegnare al Ginnasio di San Miniato. Tra il 1856 e il 1857 compose vari sonetti e ballate di varia natura, dalle romantiche a quelle patriottiche. Il lavoro si concluse con la pubblicazione delle Rime. Concluse l’esperienza nella scuola di San Miniato e tornò a Firenze e iniziò a collaborare con l’editore Barbera, per il quale curò tutte le pubblicazioni e per tale motivo ricevette un buono stipendio. Una tragedia lo colse nel novembre del 1857. Suo fratello Dante si tolse la vita dopo un litigio con il loro padre, motivo per cui si sospettò di omicidio lo stesso Michele Carducci. Giosuè si immerse nel lavoro e nel nuovo progetto del Poliziano, un giornale di studi letterari. Nel 1858 morì suo padre e Giosuè non fece neppure in tempo a salutarlo per l’ultima volta. L’anno seguente si sposò con Elvira Menicucci dalla quale avrà due figli e tre figlie. Nel frattempo ci fu la cacciata del Granduca Leopoldo II e il sogno di un’Italia unita spinse Carducci a scrivere un’ode a Vittorio Emanuele, sperando che il Piemonte facesse la sua parte nel processo di unificazione. Alla fine del 1859 nacque Beatrice, la sua prima figlia, il cui nome era un chiaro omaggio al sommo poeta. Nel 1860 fu offerta una cattedra universitaria a Giosuè, che tuttavia rifiutò la destinazione al nord per non spostarsi molto dai suoi affetti toscani. Ottenne la cattedra all’Università di Bologna che mantenne fino al 1904. Carducci continuò a comporre le sue opere, che ormai godevano di un largo consenso di critica e pubblico. Un capitolo a parte della vita di Giosuè Carducci è rappresentato dall’appartenenza alla Massoneria. In quegli anni la Loggia incarnava i valori di patriottismo e lo stesso Giuseppe Garibaldi ne faceva parte, poi arrivò Licio Gelli, ma questa è un’altra storia. Nel 1864 nacque la seconda figlia e per non fare torto all’altro riferimento poetico, fu chiamata Laura. Furono gli anni in cui Carducci abbracciò gli ideali politici di Francesco Crispi e quelli nei quali sviluppò il lato della poesia laica che si rifaceva a quella francese e tedesca. Giosuè Carducci seguì con passione la spedizione garibaldina, alla quale avrebbe voluto partecipare e dove perse un caro amico, Enrico Cairoli. Nel 1868 pubblicò la raccolta Levia Gravia. La politica tornò protagonista nell’ottobre dello stesso anno, quando scrisse un epodo in memoria delle vittime di una bomba che esplose alla caserma Serristori di Roma, devolvendo gli incassi delle vendite ai famigliari. Nel 1870 morì il suo amato figlio Dante e Giosuè cadde in una profonda depressione: in quel periodo compose le celeberrime quartine di Pianto antico.
L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu, fior de la mia pianta
percossa e inaridita
tu de l’inutil vita
estremo unico fior,
sei nella terra fredda
sei nella terra negra
nè il sol più ti rallegra
nè ti risveglia amor.
Il dolore fu mitigato dalla nascita di sua figlia, chiamata Libertà e dalla consacrazione letteraria. Carducci iniziò a pubblicare con Zanichelli che sarebbe diventato un editore importante negli anni seguenti. In quegli anni intrecciò un’ epistolare e una relazione amorosa con Carolina Cristofori Piva e si vociferò di un figlio illegittimo del poeta. Nel 1876 Giosuè Carducci fu eletto deputato al Parlamento senza l’obbligo di presenza, anni prima di Salvini. Il 4 novembre del 1878 Umberto I e Margherita di Savoia visitarono Bologna e il poeta compose un’ode in onore della Regina che apprezzò molto e lo volle conoscere: Carducci era ormai il poeta nazionale. Negli anni che seguirono fondò il giornale: Il Fanfulla che aveva come base operativa Roma, città della quale Carducci si innamorò perdutamente e frequentò, soprattutto con particolare predilezione per i caffè letterari. Giosuè Carducci amava soggiornare a Courmayeur e in una delle sue vacanze ebbe un malore, i medici gli dissero di diradare gli impegni e lui puntualmente non seguì le indicazioni dei clinici. Nel 1890 fu nominato senatore, ma la caduta del Governo Crispi nel 1891, lo fece disamorare della politica. Dedicò gli anni seguenti al riordino delle raccolte poetiche e nel 1899 una semiparalisi lo colse alla mano destra, costringendolo alla dettatura dei suoi scritti. Nel 1901 ci fu lo storico incontro con Gabriele D’Annunzio che si svolse a Bologna, dove il poeta abruzzese vide rappresentata la sua Francesca da Rimini. Nel 1904 Giosuè Carducci fu costretto a lasciare l’insegnamento e fu succeduto da Giovanni Pascoli, gli studenti dell’epoca erano davvero fortunati. Arriviamo all’ambìto premio che Carducci ricevette nel 1906. Ormai ammalato non poté presiedere alla serata in suo onore e morì il 16 febbraio del 1907, avendo raggiunto l’apice dopo essere partito da una posizione svantaggiata. Possiamo affermare che la sua esistenza dovrebbe essere un monito per chi vuole raggiungere un grande risultato attraverso l’impegno e il lavoro. Giosuè Carducci è stato un poeta, un politico e un uomo che non si è mai arreso di fronte alle difficoltà.