Potevamo, noi di Diari Toscani, non farci travolgere dalla Sanremo-mania? Certo che no. E quindi eccoci qui, anche noi, a commentare la megakermesse che per quasi una settimana all’anno ha il potere di far dimenticare guerre e ingiustizie, crisi e tragedie, disastri e difficoltà. Il tempo di “Sono solo canzonette” è finito, purtroppo, da anni e non è quasi più necessaria neanche una minima competenza musicale per esprimere giudizi su uno spettacolo che è quasi tutto costume e solo un poco musica. E allora commenteremo, come al solito non temendo di essere voci fuori dal coro, se sarà il caso o, comunque, provando a guardare le cose da un punto di vista diverso da quello che spesso viene usato o imposto. (san)Remando contro, non al festival, ma alla banalità del pensiero comune.
Sono finiti i tempi in cui i Sex Pistols cantavano su una chiatta galleggiante lungo il fiume Tamigi, mentre a riva si festeggia il giubileo della regina Elisabetta. Qualche giorno fa, per puro caso, ho visto un’intervista rilasciata da Johnny Rotten il cantante di quel gruppo e a vederlo mi è venuto un groppo in gola, parlava dell’errore fatto nel presentare a Sid Vicious, la sua compagna Nancy, la quale lo introdusse nel mondo dell’eroina portandolo poi ad una overdose fatale, non prima che lui la accoltellasse a morte per la precisione. Mi sembrava di vedere Burney Gumble, l’amico di Homer Simpson sempre ubriaco nella taverna di Moe.
Il fenomeno Punk è terminato pochi anni dopo essere comparso, se ne sono accorti i loro stessi seguaci, quando oramai i turisti andavano a Londra solo per farsi le foto di fronte a quelle creste colorate e impertinenti. Erano diventati oramai un qualcosa di folkloristico, ma sono rimasti impressi nell’immaginario collettivo per la loro strafottenza culturale e musicale, per il menefreghismo verso la società normata, che si traduce con due parole molto semplici: anarchia totale.
I punk veri non sarebbero mai saliti sul palco dell’Ariston, perché, se lo avessero fatto, avrebbero inevitabilmente creato un corto circuito identitario. Volendo forzare il sistema e ponendo, per assurdo, che lo avessero fatto, non avrebbero minimamente esitato a sputare e vomitare sulla platea e avrebbero cominciato a cantare soltanto dopo aver insultato uno per uno tutti gli elementi dell’orchestra, il maestro, i presentatori e tutti i tecnici fino alla loro quinta generazione. La performance dei la Sad ieri sera è stata qualche cosa di imbarazzante, già nel modo in cui erano vestiti a metà tra i punkabbestia della stazione centrale di Milano e delle comparse uscite dal film Mad Max. La colpa però è del mainstream che non gli ha dato la possibilità di studiare cosa fosse stato veramente il movimento punk negli anni ’70, o, forse, non si sono nemmeno sprecati per cercare di comprenderlo, prima di copiarlo impunemente. Si sono presentati con il favore del pubblico, semplicemente mostrando delle coloratissime creste colorate, ma, ancora una volta, non hanno capito che per essere punk non basta farsi i capelli in quella maniera: roba che nemmeno Goku e Vegeta di Dragon Ball avrebbero osato tanto. A livello di performance mi aspettavo qualche cosa di dirompente, qualcosa che uscisse fuori dagli schemi e invece si sono messi a cantare una canzone il cui testo sembrava scritto da un ragazzino di prima media, che ha scopiazzato gli appunti passatigli dal padre, che voleva solo fargli fare una bella figura. Un testo, sì, che parla di disagio sociale, ma assolutamente incomprensibile e banale, se poi aggiungiamo il loro modo di cantare simile a quello dei bambini nel cortile dell’asilo Mariuccia che fanno il giro tondo, abbiamo completato lo scempio. Insomma in una parola sola: imbarazzanti! Rubando la battuta scritta sulla pagina Facebook di un mio amico: finiranno per cantare alla sagra della porchetta di Voghera insieme a Orietta Berti dove l’ormai famosa casalinga verserà lacrime di commozione fingendo che sia solo colpa della cipolla che sta sbucciando.
Che le cose, nella prima puntata di Sanremo 2024 non si stessero mettendo bene, comunque, lo avevo capito già dai primi artisti: Sangiovanni canta, ma non si capisce cosa dice, Geolier che sembra il titolo di un’enciclopedia in venti volumi, attacca con un potente yeah yeah, bro, ah ah, yeah, poi non si è capito più nulla. Avesse cantato in dialetto Klingon avremmo avuto più possibilità di intenderlo. Verso la fine degli anni ’70 primi ’80, non ricordo bene, Pino Daniele fece un concerto in Piemonte e prima di cominciare disse: “Noi stasera canteremo in napoletano, se non capirete le parole pazienza, godetevi la musica” ma stiamo parlando dei Napoli Centrale, una delle poche band che veramente faceva musica con la emme maiuscola. Ieri sera accanto all’autotune, ho percepito solo dei ritmi abbastanza scontati e banali.
Ghali si è fatto notare più per l’outfit ispirato alla cartellonista stradale che trovi in cima all’autostrada della Cisa, dove la nebbia è praticamente onnipresente, mentre Mahmood sembrava un pescatore uscito da un festino a tema Village People. Ho apprezzato i pantaloncini lavati in acqua bollente di Annalisa, per il resto mi sembra sempre la stessa canzone, mi sono quasi addormentato sul pezzo della Mannoia, qualcuno deve pure dirle che quella roba poteva andare bene negli anni ’70, non può fare sempre la stessa cosa nel 2024. Il Volo ha presentato un pezzo che ricorda molto il gioco allegriano della Juve, piatto e inguardabile, ma inspiegabilmente stabile nelle parti alte della classifica di serie A.
Ogni anno, in occasione del festival, in casa mia si fa il toto dinosauro, ovvero si cerca di indovinare quale sarà il reperto archeologico che gli autori cercheranno di riesumare. A questo giro, dopo aver prestato attenzione a ogni minimo dettaglio sugli ultimi programmi Rai, dopo aver fatto un’attenta analisi delle comparsate nei vari programmi di seconda e terza fascia, mi ero giocato tutto sulla presenza di Mal in ballottaggio con Albano, ero pronto a giocarmi anche una pizza e birra ma sono stato smentito sul più bello perché alla fine ci sono andati i Ricchi e Poveri, confermando il pensiero del mio figlio più grande, quando dice che questa è gente che vive irrimediabilmente nel passato, per cui non riesce più a guardare avanti. Non ho visto tutta la prima puntata, un po’ per noia, un po’ per sonno, perché una trasmissione così nazional popolare non può finire oltre l’una di notte, sapendo che le persone normali si devono alzare presto la mattina per andare a lavorare.
È tutto da buttare? Se proprio vogliamo salvare qualcuno, almeno fin dove sono arrivato io, Morfeo permettendo, ho visto uno sprazzo di luce con i Negramaro, ho sentito un pezzo decente da Loredana Bertè, nonostante l’evidente gonfiore del viso, dovuto alla reazione allergica all’impepata di cozze della costa di levante, ma qualcosa mi dice che a vincere potrebbe essere Alessandra Amoroso perchè è riuscita a mettere su una canzone che piace all’utente di fascia media e che contiene le tre parole che a noi italiani piacciono di più: sole, cuore e amore.