Abbiamo parlato spesso di Lunigiana in queste pagine, ma non ci siamo mai soffermati un attimo per capire da dove viene questo nome. La Lunigiana è un territorio che si estende da ovest, abbracciando quella porzione di mare che va da Sarzana fino a Carrara, a est, inerpicandosi lungo le vallate montane che, si dividono ad Aulla e si spingono fino a Pontremoli e al passo della Cisa e del Lagastrello da una parte e fino al passo del Cerreto dall’altra. Il nome deriva dalla città di Luni o forse, ma non cambierebbe di molto, dall’antico culto della Luna che si onorava nelle sue valli. In realtà, già l’antica città di Luni prendeva il nome dall’adorazione della divinità lunare, raffigurata anche nelle famose statue stele assurte a simbolo dell’identità territoriale.
I resti dell’antica Luni si trovano oggi nel comune omonimo che, però, fino al 2017 si chiamava Ortonovo. La mutata morfologia del terreno pone, oggi, Luni, qualche chilometro distante dalla costa, a causa dei sedimenti che il fiume Magra, nel tempo, ha depositato alla sua foce, formando quella che è l’attuale costa di Marinella di Sarzana. La genesi di questa città trova radici nella lotta tra l’espansionismo romano e la resistenza del fiero popolo ligure prima e di quello apuano poi. Già durante la seconda guerra punica, i liguri apuani si schierarono apertamente con Annibale contro Roma, rendendo la conquista romana più difficile del previsto. Numerosi furono gli scontri, fino a quello decisivo nel 180 a.C. circa che vide la deportazione di massa dei liguri apuani nel Sannio, operazione che allontanava in gran parte il pericolo di ulteriori rivolte nella zona. Non è un mistero che l’eco degli scontri riecheggino ancora oggi nella toponomastica locale: luoghi chiamati Marciaso, Marciana richiamano, infatti, Marte il dio della guerra, conservando la memoria di scontri bellici o comunque di eventi legati al passaggio di truppe ed eserciti. Per completare l’opera di controllo del territorio Roma fondò quindi due città: Lucca e Luni. I liguri non smisero, comunque, di combattere gli invasori, almeno fino al 154 a.C. circa, quando il console Claudio Marcello li sconfisse definitivamente. Essi si trovarono, poi, a combattere lealmente insieme ai romani, sotto il comando di Caio Mario nel 102 a.C. contro i Cimbri a Aix en Provence e nel 101 a.C. contro i Teutoni presso Vercelli. Questo valse loro la cittadinanza romana insieme a tutta la Provincia ligure nell’89 a.C., dando il via ad un lungo periodo di prosperità, grazie ai traffici commerciali che confluirono a Luni per la presenza del porto e della via romana Emilia Scauri, che partiva da Luni e arrivava a Vada Sabatia (Vado Ligure), integrando i collegamenti della Via Appia verso la Liguria di levante e di ponente. Da Luni partiva anche un’altra via che la collegava con Parma, passando per il Malpasso, l’odierno Passo del Lagastrello che sull’Itinerario Antonino veniva citato col nome di Passo delle 100 miglia.
Solo dopo il 56 a.C. i Romani riuscirono a superare un’ampia zona paludosa chiamata “Fosse papiriane”, corrispondente, all’incirca, alla zona tra Carrara e Massaciuccoli, permettendo l’espansione dei commerci. In epoca augustea ai veterani della battaglia di Azio, vennero assegnati più di 51 jugeri di terreno (uno jugero è una unità di misura romana che corrisponde al terreno arabile in una giornata da una coppia di buoi attaccati allo stesso giogo, 0,251 ettari circa) con lo scopo di finire di bonificare i terreni trasformandoli in territorio agricolo. Gli storici latini ci hanno lasciato un ricordo delle prelibatezze alimentari che nei suoi terreni venivano prodotti: “Il vino di Luni ha la palma fra quelli dell’Etruria” scriveva Plinio il Vecchio, mentre Marziale si soffermava di più sulle bontà casearie “Il formaggio segnato con il marchio della luna offrirà innumerevoli colazioni ai tuoi figli“. Alimentari, quindi, ma anche prodotti di artigianato ed il marmo bianco di Carrara, che rese Luni il principale porto di esportazione di questo materiale. La città subì una forte espansione, a cui seguirono la costruzione di sontuosi edifici e di un anfiteatro all’interno del quale potevano trovare posto ben 7000 persone. In epoca cristiana, diede i natali ad un papa, Eutichiano e la sua diocesi arrivò ad abbracciare la Garfagnana, Levanto, Forte dei Marmi l’isola di Gorgona e Capraia. Tanto splendore attirò, però, anche le attenzioni dei popoli barbari, che alla fine del V secolo, cominciarono a razziare la penisola italica. Una storia che si sente spesso raccontare vuole che i barbari, giunti a Luni, la scambiarono per Roma tanta era la sua opulenza. I Goti la saccheggiarono nel 552 d.C., dopo una breve riconquista da parte del generale bizantino Belisario nel 540, che la pose agli estremi confini del Impero, nel 642 arrivarono i Longobardi con il re Rotari. La città perse man mano di importanza ed anche la diocesi fu ridimensionata, sottoponendo la città a quella di Lucca. Nel 773 fu la volta di Carlo Magno ad entrare in città, ma il colpo di grazia le fu dato dagli arabi nel 849 e infine dai Normanni di re Hasting nel 860 che la rasero al suolo.
Chi oggi visita gli scavi archeologici di Luni, può solo immaginare il fasto e la ricchezza di una città che, per la sua importanza diede il nome alle valli circostanti. Di notevole rilevanza sono il tempio della dea Luna, i cui resti, conservati al Museo Archeologico di Firenze, lasciano intravedere le contaminazioni greche ed etrusche, a dimostrazione del fatto che, già prima della dominazione romana, l’area era soggetta a numerosi scambi di natura culturale e commerciale. Di grande interesse sono anche i resti delle domus romane, del già citato anfiteatro e del foro con il colonnato, dei portici laterali e il Capitolium, ovvero il tempio dedicato alla triade capitolina Giove Giunone e Minerva, e che riprende il tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio a Roma.
Insomma per partire in un viaggio di esplorazione nell’odierna Lunigiana, non è una cattiva idea iniziare proprio da Luni il cui ricordo stampato nei suoi marmi ci ricorda che eravamo un popolo fiero e combattivo, cosa che non dovremmo scordare mai.