foto di Silvia Meacci
Pietanza della nostra terra toscana, il peposo è una sorta di spezzatino bruno e invitante, un secondo di carattere, perfetto per l’inverno appena iniziato. In casa nostra comparirà per la prima volta sulla tavola di Natale, lo servirò caldissimo in cocci individuali e lo guarnirò con del rosmarino fresco. Un piatto che ubriaca i sensi, che rinfranca e fa convivialità. La carne adatta a questa preparazione è il muscolo di chianina che dovrà cuocere per almeno quattro ore in una pentola di coccio. Ci vorrà un’intera bottiglia di Chianti, di quello buono, e potrebbe non bastare. E poi un mazzetto di ramerino che avrò rubato alla siepe della mia casa di campagna e chicchi di pepe nero, chicchi sparsi in abbondanza. Un piatto pungente, focoso e insaporito dall’olio extravergine d’oliva e dall’aglio, deciso e prepotente. Ne metterò sei spicchi, in camicia, per almeno un chilo di carne tagliata a pezzettoni che poi avranno il tempo quasi di sfaldarsi e diventare docili e tenerissimi grazie alla lunga cottura dapprima su un fuoco vivace, poi, gradualmente più moderato. Il peposo va accompagnato da fette di pane rigorosamente non salato, toscano, leggermente arrostite.
Lo abbinerò ad un Morellino, ancora non ho deciso, ma sarebbe interessante sperimentarlo con l'”Hybernum“, un vino speziato di origine medievale, ultimamente riscoperto e prodotto in Toscana con pepe, semi di sedano, arancia amara e galanga, una radice che corrobora la digestione.
Sarà bello, assaporando il peposo, ricordarne la storia, o la leggenda, che si tramanda su questo piatto. Il peposo “alla fornacina” o anche “dell’Impruneta“, risale almeno al 1400. Era la pietanza degli operai che lavoravano nelle fornaci del cotto. Dopo aver recuperato pezzi di carne, anche di seconda scelta, più tigliosa, la lasciavano cuocere in vecchi orci dell’olio, vicino all’imboccatura della fornace. Per ingannare il sapore degli stracci di muscolo talvolta non freschi, li ubriacavano con il vino rosso, l’aglio e il pepe. Tutti hanno prima o poi sentito parlare del peposo preparato direttamente sul cantiere della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze: pare che Filippo Brunelleschi in persona ne avesse autorizzato la cottura, facendo issare sui ponteggi il vino e l’occorrente. Anche a Pistoia, attorno al 1520, allorché furono approntate delle fornaci per fabbricare mattoni e ceramiche invetriate, tanti operai, già lavoratori per Brunelleschi e provenienti dall’Impruneta, usavano cuocere il peposo.
Buon appetito, dunque! E Buon Natale!