Un profumo di cui ho ancora oggi una memoria certa, palpabile, è quello dell’arrosto in forno e del coniglio in teglia di mia nonna, il giorno di Natale. È la “sindrome di Proust”, il potere evocativo dell’olfatto, che in letteratura ha generato inconfondibili suggestioni e racconti. Ecco, chiudo gli occhi e i ricordi si affacciano vividi, ma arruffati, mescolati. Sono alla tavola natalizia di allora, accuratamente preparata per le grandi occasioni. Rivivo un’ansia tutta bambina per l’attesa dei regali, i sorrisi delle mie cugine, ma anche le inevitabili alleanze che si creavano a discapito delle altre, alleanze destinate tuttavia a capovolgersi. Nell’aria risuonano i discorsi degli adulti, tra il serio e il leggero. Associo il Natale ai maglioni che mia nonna confezionava a mano, uno per ogni nipote. Ricordo quello color ruggine, con trecce e losanghe, a collo alto che ben si sposava con la gonna in un bel tessuto a quadri di lunghezza midi. Era l’anno delle gonne “mini, midi maxi”. La libertà della donna di scegliere, cantata e ballata anche da Raffaella Carrà a “Canzonissima”. Io non capivo molto dell’emancipazione, e, a pensarci ora, non sembra nemmeno essere stata una grande conquista, ricordo piuttosto che avere una gonna “midi” mi fece sentire più grande.
Da ragazzina, il Natale era, invece, una veloce cena di vigilia cui seguiva la messa. Natale era l’amore per i miei genitori, la nostra famiglia piccola, i biglietti creati da me con frasi leziose e affettuosissimi ghirigori per mia madre, gli struffoli che arrivavano in casa nostra grazie ad un’amica calabrese, i regalini che compravo io, pur avendo a disposizione pochi soldi.
Da moglie e madre, Natale significava cene e pranzi interminabili con la famiglia divenuta più grande, la gioia dei pacchi scartati da mia figlia, i suoi vestitini che io avevo scelto con cura per l’occasione, il piacere delle foto che fermavano ogni momento, la ricchezza del cibo, il salmone servito con burro forgiato da un arricciaburro ghiacciato, il vino buono, il pesce nei cartocci, le paste ripiene o i pasticci, la ricorrenza di certe pietanze che non potevano mancare, la noia delle tombole statiche e sedute. Tanti pacchi, tantissimi.
Adesso Natale è preparativi, acquisti ben pensati, menù da scegliere e disfare nella testa prima di quello definitivo, è decorazioni, semplici e con materiali di recupero, è attaccare alle porte nastri rossi con appesi i bigliettini augurali ricevuti negli anni, Natale è ricordare i momenti, le persone belle e quelle che non ci sono più. Natale è attesa ed è conferma, è pensiero anche per chi sta male, nel nostro paese e soprattutto nel mondo. È apprezzare la pace che ho e che vorrei per tutti. È quella morsa che ti stringe lo stomaco per le ingiustizie e le differenze inconcepibili tra uomini e uomini. È speranza, sempre più sopita, ma è speranza. Comunque.
Buon Natale
Silvia