Miti e leggende si possono trovare, in abbondanza, in tutta Italia, perché, in realtà, condividono una matrice comune, una radice storica o mitologica che prende forme diverse, adeguandosi e adattandosi all’ambiente in cui si sviluppa. Le due leggende che vi racconterò oggi le ho sentite in un paesino che, già altre volte, ho citato nelle mie righe quotidiane: Sassalbo, nel comune di Fivizzano. Non stupitevi se alla fine dei due racconti una campanella risuonerà nella vostra testa: è possibile che le abbiate già sentite magari in una forma diversa, con nomi variati, con particolarijnvertiti, ma le storie, come ho già detto, viaggiano e si adattano ai voleri ed ai capricci del posto in cui si fermano. Queste due leggende parlano di un tesoro nascosto e di chi, con poca o molta fortuna, si avventurò alla sua ricerca per entrane in possesso.
A Sassalbo, nei tempi andati, esisteva un castello eretto a strapiombo su un torrente e, in esso, risiedeva il signorotto locale, che aveva un atteggiamento ostile e malvagio nei confronti dei suoi compaesani. Il signore non perdeva mai occasione per taglieggiarli e loro lo ricambiavano con odio e disprezzo. Un giorno, durante una battuta di caccia, il signorotto fu ucciso da una fucilata e si sparse la notizia che a spedirlo a miglior vita fosse stato proprio il figlio di un possidente terriero locale che lui aveva privato dei propri averi. Nessuno lo pianse, ma si continuò a parlare di lui perché si sparse la notizia che sotto la torre quadrata del castello, egli avesse nascosto dei forzieri e delle pentole ricolme d’oro e gioielli. Tutti sognavano quelle ricchezze, ma se ne parlava sottovoce, perché esisteva la credenza che tutto ciò che fosse nascosto sottoterra fosse gelosamente protetto dal diavolo in persona, che avrebbe impedito a chiunque di entrarne in possesso. Una sera, tre contadini, probabilmente imparentati tra di loro, forse grazie a qualche bicchiere di troppo che li aveva resi più coraggiosi del solito, decisero di andare a scavare sotto la torre del palazzo del signorotto per impossessarsi del tesoro. I tre giurarono di mantenere il più rigoroso silenzio per non essere scoperti. Arrivarono a notte fonda e cominciarono a scavare. Dopo un po’ di tempo, uno dei tre contadini trovò un tunnel, ci si infilò dentro e tornò in superficie con uno dei tanto sognati calderoni pieni di monete d’oro. Mentre gioivano in silenzio, videro in lontananza avanzare un piccolo gregge di capre seguito da un caprone nero e zoppo. Infrangendo la promessa fatta agli altri, uno di loro derise il malconcio animale che a stento riusciva a stare dietro agli altri e immediatamente i tre furono spazzati via da un turbine potente ed improvviso. Furono ritrovati morti il giorno dopo e tra la gente si sparse la notizia che il caprone zoppo altri non fosse, che il signorotto morto durante la battuta di caccia.
La seconda leggenda narra di un nobiluomo che, rimasto vedovo, si chiuse in sé stesso ogni giorno di più, e, non riuscendo a sopportare il dolore per la perdita della moglie, decise di andare a vivere in una villa nascosta nel bosco, accompagnato solo da alcuni suoi servitori. Il malessere del signore, però, continuava a crescere, per cui decise di distruggere la strada che lo collegava al paese, rimanendo nella più totale solitudine. Una notte sua moglie, che tanto aveva amato in vita, gli venne in sogno dicendogli che era molto preoccupata per lui. Durante il giorno, il nobile signore pensò molto a cosa avesse voluto significare quella visione, senza venirne a capo. Non passarono molti giorni che la donna tornò a visitarlo durante il sonno, dicendogli chiaramente che doveva tornare alla sua vita precedente. Convinto da quelle parole pagò i suoi servi, serrò la casa e dopo averla abbandonata tornò a vivere nel villaggio. Una notte, tre briganti penetrarono nella casa nel bosco ormai disabitata e cercando di arraffare quel che potevano, esplorarono le cantine trovando così tante monete d’oro da non sapere come portarle via. Decisero allora di andare nel villaggio dove rubarono le capienti campane di bronzo della chiesa del paese ed un carro attaccato al quale misero due buoi. Riempite la campane d’oro, si misero in cammino verso il passo del Cerreto al seguito del carro trainati dai buoi. Arrivati vicino ad un lago, i buoi si impantanarono e tutto il carro cominciò a sprofondare nella melma, tra le grida di disappunto dei briganti, che nulla poterono fare per evitare che il prezioso carico sparisse inghiottito completamente dal fango. In tanti provarono a rintracciare il carro perduto, ma ad oggi, mai nessuno è riuscito a ritrovarlo.
Cosa ci insegnano queste due storie? Che a fare del male ci si rimette sempre? Che è meglio non sfidare il diavolo perché sarà sempre più furbo di noi? Che per diventare ricchi è inutile cercare tesori e facili guadagni? Ognuno tragga le proprie conclusioni perché alla fine dei conti, queste storie di saggezza popolare, servono esattamente a farci riflettere su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Aggiungo solo che la storia delle campane io l’ho sentita in diverse versioni e nessuno ha saputo dirmi dove fosse affondato il carro con le campane piene d’oro, tranne uno che però ha subito aggiunto che da bambino sua nonna lo portò sul posto, ma ora non se lo ricorda più. Sarà vero o è un’altra storia anche questa?