Una delle cave più alte del comprensorio marmifero delle Apuane è sicuramente la cava Piastreta, che si trova sul versante ovest dell’Alto di Sella ad un’altezza di 1580 metri. Da lì, i blocchi del prezioso materiale venivano portati a valle su una via di “lizza” lunga 3500 metri, che scendendo lungo la Piastreta, il Fosso della Piastrella, il Fosso del Chiasso ed il Canale della Buchetta, altrimenti chiamato Pianel Soprano, arrivava fino al poggio caricatore di Renara a quota 310 m; parliamo quindi di un dislivello di 1270 metri. Ciò sta a significare che cavatori e lizzatori dei sottostanti paesi di Guadine, Redicesi e Gronda, risalendo in cava giornalmente per portare a casa il loro misero guadagno, scalavano settimanalmente il Nanga Parbat: una delle 14 montagne che superano gli ottomila. La cosa andò avanti fino al 1922 quando l’allora proprietario di cava, l’ingegnere inglese Charles Denham, fece installare un’opera di sua progettazione, che avrebbe permesso un più rapido e sicuro trasporto ed un non trascurabile risparmio sui costi di manodopera. I materiali necessari furono forniti dalle acciaierie di Sesto San Giovanni e la loro messa in opera avvenne appunto fra il 1922 ed il 1923. Si trattava di un’opera mastodontica che prevedeva la posa di una monorotaia sulla quale i carrelli della “macchina Denham” riuscivano a portare a valle blocchi di marmo di 11 tonnellate per poi risalire e trasportare in cava materiali vari fino a cinque tonnellate. Nel 1936, a causa dell’invasione italiana dell’Etiopia, vennero applicate al nostro paese le famose sanzioni che prevedevano fra l’altro il blocco delle esportazioni del marmo. A quel punto l’ingegner Denham, non considerando più conveniente continuare l’attività estrattiva a causa della mancanza di acquirenti, decise di chiudere la cava di sua proprietà e con essa la Monorotaia.
Nel 1959 un industriale locale, Ezio Ronchieri, acquistò la cava e fece riattivare la monorotaia eliminando il tratto che andava da Renara al Panel Soprano, lungo il quale fu costruita una strada camionabile. Nel 1975 però fu aperta una via di cava che partendo dal paese di Arni arriva sotto al Passo Sella e da qui, attraverso una galleria, alla cava della Piastreta rendendo antieconomica la monorotaia che da allora fu definitivamente abbandonata.
Oggi con mia figlia e l’amico Giovanni (con noi portiamo anche Pluto il nostro cane e non sarà una decisione saggia) abbiamo deciso di ripercorrere almeno per il tratto del Canal del Chiasso, cioè la parte più impegnativa, questa testimonianza di archeologia industriale. Partiamo da Massa e percorrendo la valle del fiume Frigido, superiamo il paese di Canevara e più avanti al bivio di Forno teniamo la destra costeggiando il torrente Renara fino a superare l’abitato di Guadine e raggiungere Gronda; al bivio teniamo ancora la destra e ci inoltriamo fino alla fine della strada asfaltata dove abbandoniamo la macchina. Qui inizia un breve tratto di via marmifera che costeggia il torrente al di là del quale si notano imponenti tracce della vecchia cava di dolomia.
Dopo pochi minuti incontriamo sulla destra la Buca di Renara, una grotta esplorata per 500 metri all’interno della quale un torrente sotterraneo forma un lago profondo ottanta metri; a quota 310 arriviamo al vecchio poggio caricatore, ormai completamente distrutto dalla furia delle acque che provengono sulla destra dal Fosso del Vestito, sul quale sale il sentiero CAI n°42 EE che s’inerpica fino al passo omonimo. Superato il canale, pieghiamo a sinistra ed iniziamo a salire fino ad incontrare, sulla destra, una vecchia cava abbandonata. Avanziamo sulla strada cementata al termine della quale proseguiamo sullo sterrato che risale attraverso un bel bosco nel quale si possono ammirare grandi alberi di tasso.
Poco avanti la strada è letteralmente scomparsa e dobbiamo arrampicarci sulle rocce fino ad incontrarla di nuovo più in alto. Ancora un breve tratto ed eccoci finalmente, dopo quasi un’ora dalla partenza, alla fine del Panel Soprano dove inizia la monorotaia a quota 525; risaliamo un modesto contrafforte di cemento sul quale giacciono i resti di una “macchina Denham”.
Qui le acque hanno ormai cambiato il volto del terminal del 1959 e, dalle pietre trasportate a valle, emerge la rotaia poggiata su travi di quercia, ancora in buon stato, nonostante siano lì da cent’anni. I gradini di cemento che la fiancheggiano sono, in gran parte, anch’essi mal ridotti, mentre più avanti le pietre rotolate dall’alto hanno distrutto un breve tratto del terrapieno in cemento e divelto la rotaia che, piegata, penzola nel vuoto.
Sulla sinistra incombe maestoso lo Zucco del Chiasso, una bella torre che strapiomba sulla valle; a trecento metri dal poggio comincia il Canal del Chiasso vero e proprio, lungo il quale s’inerpica in maniera crescente la monorotaia, fino a raggiungere pendenze del 100 per cento. La pendenza media di questo tratto comunque non scende mai sotto il 70 per cento. Salgo lentamente, e con fatica lungo il tracciato che, sebbene invaso dal paleo, è abbastanza ben conservato anche se estremamente duro da risalire. Ogni passo, infatti, richiede attenzione ed equilibrio per evitare cadute che potrebbero rivelarsi disastrose. Gli altri, più avanti, salgono agilmente, per poi fermarsi ogni tanto ad aspettarmi. Sulla sinistra, al di là del contrafforte in cemento, si odono scrosciare, nel torrente sottostante, le acque rese impetuose dalle recenti piogge. La giornata è fortunatamente magnifica con una leggera brezza che ci accompagna e, man mano che si sale, il cielo si fa sempre più splendido.
Sul fianco della montagna corre un vecchio tubo dell’acqua che a tratti ci aiuta come mancorrente. Breve sosta per riprendere fiato e notiamo che su un vecchio supporto in ferro piantato nella roccia, qualcuno ha scritto che mancano ancora 540 gradini all’uscita del Canale. Mentre saliamo, Giovanni, che fa da apripista, toglie dai gradini i sassi caduti dalla montagna che potrebbero provocare pericolosi scivoloni durante la discesa.
Finalmente, a quasi tre ore dalla partenza, i 2500 gradini di questo primo tratto sono finiti e siamo fuori dal Canal del Chiasso. Qui incontriamo il bivio per la Focola del Vento, mentre la nostra monorotaia prosegue sulla destra. Ci si para davanti un anfiteatro di splendide guglie, mentre sulla destra, in alto, ecco la nostra meta: il malridotto ricovero dei cavatori con, a fianco, la piccola officina-ricovero della “macchinetta” a quota 1054 poste entrambe su un poggio sovrastante lo strapiombo del Fosso della Piastrella. Ancora uno sforzo e la raggiungiamo per ammirare, in basso, uno stupendo panorama sulla vallata in fondo alla quale si intravede il mare ed, in alto, il prosieguo della monorotaia che con altri 2300 gradini attraversa il Fosso per arrivare su in cava.
Lungo il percorso si notano ancora due costruzioni: la casa dei macchinari a quota 1250 e, più in alto a quota 1350 la casa del custode. Entrambe sono ormai ridotte a poco più che ruderi. Oggi ci fermiamo qui; una breve sosta rigeneratrice per poi iniziare, per tempo, il ritorno, al fine di evitare di essere sorpresi dal buio, che in questa stagione, siamo in novembre, cala assai presto. La discesa, ovviamente ripida, va fatta con estrema prudenza, stando bene attenti ad ogni passo. La pulizia effettuata durante la salita si rivela ora estremamente utile. Tutto avviene nel migliore dei modi fino a quando Pluto che scorrazza avanti e indietro, scende nel torrente e non riesce più a risalire. Viene fatta una non facile opera di recupero e, una volta imbragato con una fune, si riesce a riportarlo su. Grazie Giovanni! Tutto il resto fila liscio a parte le gambe che cominciano a farsi sentire. Finalmente, dopo due ore, siamo di nuovo alla partenza della Monorotaia. Ancora quaranta minuti di cammino e all’imbrunire siamo alla macchina. È stata un’esperienza entusiasmante al punto che ci ripromettiamo, nella bella stagione, di compiere l’intero percorso. Pluto però rimarrà a casa e tornerà con noi solamente su sentieri meno impegnativi.