foto di Giovanni Viaggi
Diario, luglio 1996
I mercatini di La Paz sono inimmaginabili, vi si può trovare di tutto, dalle più sofisticate apparecchiature elettroniche a quarti di pecora messi in bella mostra, per terra, sul marciapiede (a quella altitudine fortunatamente non esistono le mosche), abiti e stoffe multicolori ed in particolare una quantità inverosimile di ortaggi, frutta e verdure di ogni tipo. Papaia, mango, cipolle, pomodori, ananas, patate, di cui se ne coltivano più di cinquecento varietà, e ancora mais, cacao , enormi sacchi di foglie di coca, cocomeri, banane e il lacayote, che è una grossa zucca che si consuma sia verde che matura. Ma, poiché a certe quote questi prodotti non sono certamente coltivabili, a parte patate e fave, da dove arriva tutto questo ben di Dio? Da Los Yungas.
Los Yungas è una regione, che appartiene al dipartimento de La Paz, costituita da un territorio che va dai 2500 ai 600 metri di altitudine, posto nella zona nord orientale della Bolivia verso la foresta amazzonica e caratterizzato da abbondanti piogge che si riversano nelle sue calde e umide vallate in gran parte terrazzate e coltivate dall’uomo. E allora perché non andare a visitarle?
Solita contrattazione con il tassista, che ormai è diventato la nostra guida ufficiale, e si parte seguendo la Nazionale 3, che s’inerpica sulle montagne. Attraversiamo un piccolo villaggio dove uomini e donne vestiti con il loro caratteristici costumi stanno preparando una festa, lo si capisce dai festoni e dalle innumerevoli casse di birra accatastate nella piazzetta, e poi ancora su fino a 4650 metri di quota dove, in un paesaggio lunare, pascolano indisturbati greggi di alpaca. Cominciamo a scendere e dopo alcuni chilometri e abbandoniamo la Nazionale 3 per immetterci nella 25.
La nostra guida ci informa che proseguendo sulla 3 avremmo dovuto percorrere quella che è conosciuta come Carretera de la Muerte, l’unica strada sterrata, costruita a metà degli anni trenta dai prigionieri paraguaiani durante la guerra del Chaco, che porta alla città di Corico e sulla quale ogni anno si hanno un centinaio di vittime a causa di incidenti o frane. Dal 2006, per la cronaca, è stata costruita una nuova strada e la Carretera è ormai percorsa solo da cicloturisti in cerca di forti emozioni.
Continuiamo a scendere sulla 25, una bella strada asfaltata che corre sul fianco delle montagne e che, in assenza di guard-rail, richiede comunque molta attenzione. Oggi, essendo domenica, il traffico è praticamente inesistente ma durante i giorni festivi essa è percorsa da centinaia di camion che riforniscono i mercati di La Paz di derrate alimentari. Man mano che scendiamo la vegetazione si fa sempre più lussureggiante fino ad arrivare a quello che potremmo chiamare un autogrill, dove una vecchia corriera appena arrivata sta facendo riposare il suo stanco motore. Intorno sono tutte colline verde smeraldo dalle quali scendono innumerevoli rivoli d’acqua; in alto, nei terreni terrazzati si distinguono chiaramente grandi coltivazioni di coca.
Decidiamo di tornare e risalendo incontriamo “El Castillo”, un bell’albergo a 2000 metri di quota, costruito negli anni ‘30 che, onestamente, non si capisce che ci faccia in questa zona così lontana dai centri abitati. È comunque una bella costruzione dotata di tutti i comfort, nella quale ci fermiamo per consumare uno spuntino a base di pane e Llajua, una salsa piccante fatta di peperoncino e pomodori che reclama inevitabilmente una fresca birra. Qui, mentre ce ne stiamo in bel patio a riposare, abbiamo la visita di un maestoso condor che volteggia poco distante sopra le nostre teste.
Torniamo verso La Paz ed attraversiamo di nuovo il villaggio incontrato all’andata. Le casse di birra sono ormai vuote e molti uomini sono sdraiati a terra in preda ai fumi dell’alcol. Una robusta cholita si carica, come fosse un sacco di patate e senza fatica apparente, un uomo sulle spalle e si avvia con passo sicuro probabilmente verso casa.Arriviamo a La Paz nel primo pomeriggio e, essendo troppo presto per esser tardi, su consiglio, sicuramente interessato, del nostro mentore tassista decidiamo di andare a visitare la Valle della Luna a circa dieci chilometri a sud della città.
Si narra che Neil Armostrong, il primo astronauta che nel 1969 pose piede sul nostro satellite, impressionato dalla somiglianza di questa valle con il paesaggio lunare che ben ricordava, suggerì di chiamare così questo luogo. Si tratta in effetti di una montagna brulla ed argillosa sulla quale l’effetto erosivo delle piogge ha disegnato nei secoli uno straordinario paesaggio di stalagmiti che sembrano elevarsi verso il cielo. Ci addentriamo fra questi pinnacoli e lo spettacolo è veramente suggestivo anche perché, la presenza di minerali diversi nelle rocce, dà alle stalagmiti colori che variano dal marrone chiaro al rosso fino al viola scuro creando un paesaggio irreale ed unico.
La giornata volge al termine: stasera ci aspetta una italianissima spaghettata a casa di colleghi che, operando qui da oltre un anno, si sono muniti di pentole a pressione per far cuocere la pasta, visto che a queste quote, senza questo utile accorgimento, l’acqua che bolle a circa 87 gradi ne renderebbe problematica la cottura. Domani si ricomincia il lavoro su quelle criticità delle quali si comincia finalmente ad intravvedere la soluzione.