Sin dalla notte dei tempi è uso abbinare a certe categorie di persone la figura di un animale, a cominciare dalle favole di Esopo, per esaltarne un tratto caratteriale positivo o negativo. Furbo come una volpe, testardo come un mulo, ignorante come un asino, laborioso come una formica, pungente come una ape, stupido come una gallina e così via. E il cane? Non ricordo di aver mai sentito parlare della fedeltà di una persona, paragonandola a quella di un cane se non in senso dispregiativo. “Scodinzolare come un cane” è segno di ruffianaggine, si dice “abbaiare” quando si fa tanto baccano per poi non arrivare da nessuna parte oppure si parla di “fare il cagnolino” quando si è sottomessi a qualcuno.
Questi sono i pensieri che mi sono balzati in mente quando, qualche mese fa, mi sono imbattuto nelle vicende di un giapponese di nome Toko, che ha speso ben due milioni di yen, circa 13 mila euro, per fabbricarsi un costume che lo facesse assomigliare ad un collie. Lo indossa due volte al mese, cammina a quattro zampe, mangia da una ciotola, va al parco dove si rotola e si fa accarezzare sulla pancia e gira dei video che ottengono ben due milioni di visualizzazioni. In una breve discussione su questo articolo, Lapo il mio gatto di razza ellenica, molto filosoficamente ha commentato dicendo che noi umani non siamo tutti a posto col cervello. La storia sarebbe finita così, se non fosse che pochi giorni fa, Toko il collie è tornato sulle pagine dei social per lamentarsi che, dopo tutti gli sforzi fatti per diventare un cane, i suoi presunti simili lo snobbino lasciandolo ai margini della loro società.
Un caso più da psichiatria che da pagine social? Lo credevo anche io, ma ricercando il link di quell’articolo, inaspettatamente mi si è aperto un mondo che pensavo non potesse esistere. Mi è capitata sotto gli occhi la storia datata aprile 2019 di un certo Kaz James di Manchester che senza spendere cifre folli come il suo omologo giapponese, si è comprato un costume da cane, meno accurato nei dettagli, ma ugualmente simpatico, con il quale dà sfogo alla sua personalità nascosta da cane. Abbaia, corre a quattro zampe, mangia croccantini dalla ciotola e morde le caviglie dei suoi amici che, non è dato sapere con quale spirito, lo accettano per quello che è: un cane. O forse un amico un po’ svitato che crede di essere un cane, l’articolo non specifica. “Non mi sono mai sentito un vero essere umano – ha spiegato – mi sono sempre sentito un cane e quindi nel mondo degli esseri umani mi sentivo fuori posto. Ormai anche i miei amici mi hanno accettato per quello che sono”. Non credete a ciò che scrivo? Digitate su un motore di ricerca “Uomini che credono di essere animali” e leggete con una buona bottiglia, di qualsiasi cosa vi pare, vicino, basta che sia alcolico.
A Oslo, in Norvegia, Nano una ragazza di vent’anni ha dichiarato di essere nata in una specie sbagliata: è convinta di essere un gatto e cerca di dimostrare la veridicità della sua ipotesi per il fatto di avere udito e vista molto sviluppati, di odiare l’acqua e di avere paura dei cani.
A Melbourne, in Australia, un’altra ragazza ha smesso di parlare: miagola e fa le fusa. Crede di essere un gatto e come tale si comporta nella vita di tutti i giorni, compreso quando va a scuola dove i professori non dicono nulla per non offendere la sua libertà di esprimere la sua identità “purché non disturbi il normale svolgimento delle lezioni”. Mi chiedo come faccia a fare le interrogazioni, ma passo oltre. L’articolo fa riferimento ad un termine che non avevo mai sentito prima: “furries”. Qualcosa legato alle pellicce che ancora non capisco per bene, per cui devo continuare ad esplorare.
Alla fine di settembre di quest’anno, a Berlino nella storica Potsdamer Platz, si è tenuto un raduno dove un migliaio di persone si sono riunite ululando ed abbaiando. Licantropi? Ubriachi? Più semplicemente gente fuori di testa? Lapo, il mio gatto filosofo, sonnecchia sdraiato sulla stampante, ma ogni tanto allunga un orecchio ed un occhio ai video ed agli articoli che leggo per documentarmi. Sicuramente sarebbe più propenso per la terza opzione, ma non si pronuncia.
Elizabeth Fein, professoressa di psicologia alla Duquesne University di Pittsburg, ci fornisce una spiegazione: “I theriani possono credere nel fatto di essere gatti reincarnati dentro un corpo umano. Alcuni furries sono Theriani, e alcuni theriani sono furries, ma devono rimanere due gruppi distinti”. Tolte quelle persone che appartengono più al mondo del BDSM cioè la vasta gamma di pratiche e fantasie erotiche, in quello che viene descritto come il Puppy play (gioco del cucciolo), sono finalmente riuscito ad individuare due categorie: i furries ed i theriani, andiamo a vedere cosa sono.
Entrambi sono un sottogruppo degli “otherkin”, parola ottenuta dalla crasi delle parole inglesi other (altro) e kind (specie). Dopo il transgenderismo, quindi, esiste anche il transpecismo? Così sembra. Non si credono umani o almeno non totalmente: pensano, insomma, che la loro mente e/o il loro corpo appartengano a esseri mitologici, a entità non corporee o ad animali. Per esempio, ad angeli, vampiri, draghi, leoni, volpi, elfi, extraterrestri e altre identità. Qui si inseriscono i theriani che, secondo il canale wikifur, sono “individui che credono di essere in parte o interamente un animale intrappolato in un corpo umano”. Molti di loro non ritengono necessario esporre esternamente la loro proiezione di natura animalistica: si considerano, invece, custodi di una specie animale in generale, senza che questa sia rappresentata da un fursona con nome o caratteristiche uniche.” Si distinguono dai furries, perché questi ultimi sono più da considerarsi dei cosplayers, ovvero persone che si travestono da animali per gioco o per impersonare dei personaggi legati al mondo dei fumetti o dei videogiochi. A loro appartiene anche un linguaggio specifico tra le cui parole segnalo: Fursona, un costrutto di parole tra fur e persona (personaggio, avatar); Greymuzzle un mix di parole tra grey (grigio) e muzzle (muso) che indica un membro della sottocultura che ha superato una certa età; Popufur è un portmanteau tra popular e fur, che indica un furry fan (spesso un artista) famoso; Growf, un verso per esprimere dissenso; Murr, un verso per mostrare piacere (emotivo); Meep, un verso acuto per apparire carini.
Alla fine di questa breve ma intensa digressione, dopo aver bevuto tutta la vostra bottiglia, vi sentite più furries o theriani? Oppure come me, vi sentite solo un po’ più stanchi e confusi e ve ne andate a letto?