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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Passeggiando nel Chianti con Claudio Bonci: il castello di Meleto

DiSilvia Ammavuta

Set 30, 2023

La passeggiata nel Chianti in compagnia  di Claudio Bonci prosegue secondo il programma che abbiamo stabilito e ci vede diretti al castello di Meleto. “Sai, – dice Claudio – quando parlo di questo posto ho sempre un certo riguardo e, soprattutto, una certa commozione. Questo è stato il primo luogo che mi ha fatto appassionare alla storia del territorio grazie al mio grande ‘guru’ del passato: il babbo di Renzo, Enzo Centri. Fino agli ultimi anni della sua vita ha accompagnato i visitatori all’interno del castello. Ascoltarlo trasmetteva entusiasmo proprio per l’amore che nutriva per il territorio e la sua storia. Enzo, dopo essere stato maestro in molte scuole del comune, divenne, nei primi anni del ‘60, Direttore Didattico nel distretto di Gaiole, Radda e Castellina. Nel ‘78 fu eletto assessore alla pubblica istruzione e cultura della provincia di Siena.”.

Arrivati davanti al portone del castello ci raggiunge Stefania Lori, Hospitality Manager. Ci presentiamo, e proprio lì, davanti alla porta cinquecentesca, Claudio inizia a dare alcuni cenni storici. “Le origini del castello di Meleto risalgono all’XI secolo come possedimento dei monaci Vallombrosani della vicina Abbazia di Coltibuono. Per quanto riguarda il toponimo, si può fare riferimento al libro ‘MELETO, storia di un castello chiantigiano’ in cui viene specificato: Il toponimo caratterizza sempre e soltanto ‘un luogo detto’, ossia una plaga rurale come risulta da alcune pergamene provenienti dalla Badia a Coltibuono degli anni 1085, 1118, 1123, 1193.  Il primo feudatario del castello è stato un nobile senese, Guarnellotto dei Mezzolombardi, Signore di Tornano. Tale Guarnellotto era un acerrimo nemico di Federico I Barbarossa e, proprio a seguito di questo, nel 1167 venne spogliato di tutti i suoi beni dallo stesso Barbarossa, che affidò il castello alla locale famiglia dei Firidolfi già proprietari di altri castelli della zona e i Ricasoli ne rimasero proprietari fino al 1969. Ecco, il ramo dei Firidolfi Ricasoli ‘meletesi’ ebbe origine da quel momento e, seppur proprietari, lo furono solo sulla carta in quanto Guarnellotto continuò a comandare fino alla sua morte. Le mura sono un tipico esempio di fortificazione medievale e, proprio per la sua posizione strategica, questa fu una delle fortificazioni principali del terziere della lega del Chianti. Pur avendo subìto molteplici attacchi, il castello non fu mai distrutto.”. Prima di accedere al suo interno mi soffermo a fare alcune foto, Claudio coglie l’occasione: “Nel 1478 Meleto fu conquistato dall’esercito aragonese, alleato di Siena, due anni dopo Firenze ne riprese il controllo e queste torri, o torrioni, furono costruiti per rafforzare la struttura. Era una fortificazione veramente ben fatta, con le tipiche feritoie, tanto che nel 1529-1530, resistette all’assedio delle truppe imperiali.

“C’è una cosa interessante che mi piace sottolineare: la mappa dei Capitani di parte Guelfa del 1580-1585 non corrisponde a come effettivamente era il castello. Il disegnatore non inserì le torri e, pur non essendo un vero quadrilatero, lo disegnò perfettamente quadrato, raffigurandolo come un fortino. Perché le torri in questa mappa sono assenti?  Perché il disegnatore volle dare una maggiore importanza militare a questa struttura, per fare ciò decise di non apporle dando così alla pianta un carattere più concettuale che realistico”.

 Stefania apre il portone e accediamo nel chiostro: è indubbiamente rinascimentale come sottolinea Claudio. “Lo riconosci dalla geometria lineare, pulita, essenziale. Puoi veder in alto la loggetta che adesso è chiusa tra colonna e colonna per  un intervento postumo che venne fatto nell’800, mentre il Rinascimento prevedeva un camminamento con la possibilità di affaccio proprio fra colonna e colonna.  Questi interventi di tamponatura venivano eseguiti nelle ville dei padroni o di persone nobili per soddisfare le loro esigenze abitative. Fu proprio nel 1738 che, per volere di Giovan Francesco Ricasoli, il castello fu trasformato in villa e le sue difese furono in parte smantellate. Le sale decorate e affrescate hanno ancora oggi l’aspetto di quel periodo. Quindi, come diceva Enzo: «A Meleto ci troviamo di fronte a una struttura che ha i tre stili storici per eccellenza: il Medioevo con le sue pietre e la sua storia, il Rinascimento che troviamo nel cortile e il Barocco che troviamo all’interno delle stanze.» Dopo aver visto l’austerità del Medioevo esternamente e il Rinascimento nel chiostro, non ci resta che andare a vedere il Barocco nelle sale. Proseguiamo la visita in compagnia di Stefania, attraversiamo corridoi e sale.

In una di esse c’è un grande caminetto, con lo stemma della famiglia, di lato una scritta: il motto dei Ricasoli ‘Rien sans peine’ niente senza fatica.

Riprendiamo la visita e scendiamo una scala, appena scesi troviamo un calesse: era il mezzo con il quale la famiglia Ricasoli percorreva il tratto di strada dal castello di Brolio, dove soggiornava durante l’anno, per trasferirsi al castello di Meleto, la residenza estiva.

Davanti a noi un corridoio che mena in mezzo ai tini, è la vecchia cantina.

Lo percorriamo fino in fondo, sulla destra, c’è una piccola apertura nel muro in pietra e al di là di essa uno spazio angusto: la prigione del castello.

Il nostro giro nel sotterraneo è terminato, risaliamo e veniamo accolti da un cielo luminoso. Ringraziamo Stefania per l’accoglienza e torniamo nel teatrino del castello nel quale ci eravamo affacciati per pochi minuti nel giro precedente.

“Eccoci qui, non è stupendo? – esordisce Claudio. – La costruzione di questo teatrino iniziò nel 1741, e nell’autunno del 1742 entrò in attività. Sai come veniva illuminato? Con lumiere di latta, dai documenti risulta fossero 18, e per migliorare l’illuminazione venivano utilizzati anche dei fogli inargentati.”  Vado a curiosare dietro le quinte, camminando sull’assito del palcoscenico vecchio di 281 anni. La voce di Claudio mi giunge alle spalle. “La scenografia è originale del periodo ed  è interamente dipinta e composta da sei quinte e un fondale.” Seguo la linea delle colonne e poggio lo sguardo sul soffitto a cassettoni: riprende il colore chiaro del palco d’onore che si trova dirimpetto al boccascena. Lì sedeva il signore del castello, protetto da una balaustra dipinta con colonne in stile falso roccocò. Al centro del palco la scritta ‘panem et circenses’. Mi piacerebbe trattenermi e immaginare le storie qui rappresentate, ma il tempo è tiranno e usciamo. Claudio mi indica la zona dove prima c’era l’allevamento di Cinta Senese. “Di questa razza suina ne parleremo prossimamente in compagnia di Renzo Centri, magari davanti a un bicchiere di vinsanto e cantuccini… ho una storia simpatica da raccontarti…”.