Firenze: è salito nottetempo sulla base della statua del Nettuno in Piazza Signoria per farsi una foto. Il “furbo” turista è stato rintracciato e dovrà pagare una multa salata: ha causato cinquemila euro di danni. La notizia è di pochi giorni fa. Solo a fine agosto erano state malamente imbrattate le colonne del corridoio vasariano. E che dire del turista che il giugno scorso ha deturpato il Colosseo incidendo la scritta “Ivan + Hailey 23”, per rendere immortale il suo amore per la fidanzata? È vero, ha presentato le sue pubbliche scuse adducendo come attenuante il fatto di non sapere che il Colosseo fosse antico…
L’elenco delle opere d’arte sfregiate nel corso degli anni nelle varie città italiane e all’estero è lunghissimo e parecchie volte le azioni distruttive si sono rivelate irreparabili.
Ma quali sono i motivi che spingono a ferire l’arte?
Gli ultimi episodi accaduti sembrano frutto di ignoranza assoluta, come se i monumenti lesi fossero considerati scenari di scarso valore, riproduzioni hollywoodiane o americanate stile Las Vegas, posti lì a disposizione del turista cretino di turno, che vuole immortalarsi su Instagram. Inutile dire che è mancanza di rispetto anche scalfire un muro privato o scarabocchiarci sopra, ma rovinare beni di immenso valore artistico, fortunatamente godibili da tutti, significa grande povertà d’animo.
Proprio pochi giorni fa, in occasione dell’ultimo atto vandalico a Firenze, il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano ha dichiarato che la legge in arrivo inasprirà le sanzioni e “sarà il giusto deterrente a simili azioni”.
Deturpare l’arte è stato in molte occasioni gesto di squilibrati che intendevano attirare l’attenzione su di sé. Forse alcuni ricorderanno l’attacco a colpi di martello alla Pietà di Michelangelo nella Basilica di San Pietro. Era il 1972, la domenica di pentecoste e l’autore del gesto, un geologo, László Tóth, ha colpito la Madonna, frantumandole il braccio, il naso e le palpebre. L’uomo diceva di essere il nuovo Messia, aveva 33 anni e con Gesù aveva una somiglianza fisica notevole. Al grido di “Cristo è risorto, io sono Cristo”, si era accanito sul capolavoro. Rammentiamo un altro caso eclatante: un certo Pietro Cannata che, per farsi ascoltare, ha sfogato i suoi impulsi rabbiosi su diverse opere. Martellate nel 1991 al David di Michelangelo, spray nero per la targa dedicata al Savonarola e poi sfregi a una statua di Marino Marini, a un dipinto di Pollock e scarabocchi sugli affreschi del Lippi nel Duomo di Prato.
Ultimamente sono stati registrati anche tanti casi di atti vandalici su opere d’arte per mano di attivisti che cercano di richiamare l’attenzione su criticità ambientali, compiendo atti estremi: ricordate la torta sulla Monna Lisa al Louvre? E i due attivisti che si sono incollati le mani al vetro de “La Primavera” di Botticelli?
Ci sono stati anche casi di artisti falliti, che hanno vomitato la loro rabbia su famosi capolavori. Un certo Vladimir Umanets era convinto di fare un’operazione in stile Duchamp quando nel 2012 ha sfogato la sua creatività su una tela di Mark Rothko, alla Tate Modern di Londra.
Secondo il neuroscienziato Semir Zeki e la neuroestetica, la pittura è fondamentale per studiare i processi nervosi attraverso cui il cervello percepisce la realtà ed elabora la bellezza. Se osserviamo un’opera che descriviamo come bella, oltre alle aree cerebrali occipitali deputate alla visione, viene attivata l’area orbito-frontale mediale, che fa anche parte dei centri del piacere e della ricompensa. La bellezza è misurabile, dunque. È invece la corteccia motoria sinistra ad attivarsi se il nostro giudizio nei confronti di ciò che guardiamo è negativo.
Inoltre, grazie ai “neuroni specchio”, chi osserva un’azione altrui, la simula internamente, e questo succede anche con un’immagine fissa. È come se noi avessimo effettuato delle azioni fino ad assumere la posizione del corpo raffigurato e in noi si instaura una immediata simpatia o antipatia, che può anche suscitare senso di astio, di minaccia. Il David di Michelangelo può suscitare ammirazione o invidia.
Esiste un altro tipo di interferenza con l’arte, applicare oggetti, “segni” del proprio passaggio, all’opera d’arte. È il caso dei lucchetti dell’amore sull’inferriata della statua del Cellini sul Ponte Vecchio. Puntualmente i vigili li rimuovono perché è un’infrazione al regolamento di polizia urbana. Una lotta continua tra innamorati e amministrazioni locali.
A Firenze esiste anche un caso in cui un bene architettonico non è stato deturpato ma “arricchito”. Nel 2011, proprio mentre Palazzo Vecchio esponeva il teschio in diamanti di Damien Hirst, Clet Abraham, come protesta, ha installato illegalmente sul Ponte alle Grazie una sua scultura, “l’Uomo comune”, un omino con il piede alzato sul punto di gettarsi nel fiume. Una vera provocazione. La statua è stata più volte rimossa dalle autorità, e poi ricollocata. A tutt’oggi è sul ponte. È molto amata dai fiorentini e dai turisti che si fermano a fotografarla. Peccato che ultimamente sia piena di scarabocchi e adesivi appiccicati da vandali o forse solo “uomini comuni” che vigliaccamente cercano pubblicità o notorietà sentendosi forse più autorizzati a sfregiare un’opera contemporanea. È arte violata anche questa.